Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 

L’ex pugile senegalese fa il mediatore culturale

 

Muhammad Ali Ndiaye

 

Muhammad Alì Ndiaye lavora in un centro d’accoglienza della Croce Rossa «Spiego ai migranti che è il momento di restituire ciò che hanno ricevuto»

PONTEDERA. «L’accoglienza è dare e avere. Lo dico sempre ai ragazzi del centro. Basta chiedere, è il momento di restituire ciò che è stato dato loro attraverso un’integrazione sana. Sogno africani a fare i controllori sui treni, allo sportello della posta o della banca. Il mondo sta cambiando e in Italia non siamo ancora pronti, dobbiamo svegliarci».

Di colpi duri se ne intende. Quando era sul ring, Muhammad Alì Ndiaye, ex pugile, senegalese di origine ma pontederese d’adozione, era rapido e letale. E le sue sventole erano devastanti. Dirette, come le parole che oggi, a 38 anni, utilizza per spiegare il suo punto di vista sull’immigrazione. Un’idea maturata dopo aver vissuto le due facce della medaglia: ieri venditore abusivo in spiaggia, oggi volontario della Croce Rossa nel centro d’accoglienza in via della Faggiola, a Pisa. La sua è una storia fatta di sacrifici. Ed è già un modello per i 48 ragazzi ospiti del centro.

«I migranti di oggi sono fortunati, perché loro hanno una serie di aiuti che io non ho avuto. Nel 2000 – racconta ancora Alì – io non dormivo in un centro. Non ero seguito da volontari e per mangiare dovevo lavorare e comprarmi il cibo».

Muhammad Alì Ndiaye ha iniziato a fare il mediatore culturale dopo aver sostenuto e superato il corso di base da volontario della Croce Rossa.

«Devo ringraziare il presidente della Croce Rossa di Pisa, Antonio Cerrai che mi ha dato la possibilità di aiutare ragazzi e ragazze reduci da viaggi terribili. Siamo quattro operatori – prosegue il pugile – e ci occupiamo di assistere gli ospiti della struttura. Controlliamo che tengano in ordine le camere, verifichiamo che i loro documenti siano in regola e li accompagniamo in ospedale in caso di necessità».

Molti giovani della struttura di accoglienza hanno instaurato un rapporto di confidenza con il campione dell’Unione Europea del 2011, che ha già ottenuto una sua prima vittoria: «Ho convinto molti ragazzi a iscriversi a scuola. Sono oltre 20 quelli che studiano. A loro – dice – ho spiegato che per integrarsi devono lavorare, e per lavorare devono studiare. Per stare bene in Italia è fondamentale che conoscano lingua e cultura del paese».

Ndiaye infine bacchetta le istituzioni: «Non è più il tempo di feste e giochi per strada. Gli stranieri si integrano attraverso fatti concreti, inserendoli nel nostro mondo del lavoro e nella nostra società. Sarebbe bello vedere, tra qualche anno, africani nell’esercito italiano. L’Italia deve cambiare mentalità, ma chi arriva qui deve essere consapevole che ha l’obbligo di restituire un favore che gli è stato fatto, lavorando o aiutando lo Stato. Io l’ho fatto, prima nei vigili del fuoco e ora nella Croce Rossa. E voglio insegnarlo agli italiani del domani».

Tommaso Silvi
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