Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 
Jean Henri Dunant
Foto: bandierearancioni.it
 

Jean Henry Dunant

Henry Dunant viene spesso descritto come un santo filantropo idealista. Eppure la storia della sua vita è poco nota e ricca di contrasti. Centocinquant'anni fa, la battaglia di Solferino costituì una svolta per colui che poi fondò la Croce Rossa.
Questo contenuto è stato pubblicato il 22 giugno 2009 - 12:36 22 giugno 2009 - 12:36

Simon Bradley

 

«Il suo nome è stato apposto a vie e piazze di mezzo mondo, ma in realtà sappiamo ben poco della sua vita,» dichiara Gerard A. Jäger, l'autore svizzero di una nuova biografia intitolata «Henry Dunant: l'homme qui inventa le droit humanitaire»
(Henry Dunant: l'uomo che inventò il diritto umanitario).
 

Un personaggio dai molteplici volti

Il commediografo svizzero Michel Beretti, autore di una pièce sul fondatore della Croce Rossa, concorda: tracciare il profilo di Dunant è impresa ardua.

«Se lo si considera un santo, allora Henry Dunant fu un santo alquanto singolare dato che la sua personalità e la sua vita appaiono estremamente contraddittorie», puntualizza Beretti. «Insomma, esistono diversi Dunant.»

Jean Henry Dunant nasce a Ginevra l'8 maggio 1828 da una famiglia profondamente religiosa, con un forte spirito umanitario e uno spiccato senso civico.

Henry non è molto portato per lo studio e, visti i suoi voti scolastici mediocri, è costretto ad abbandonare il Collegio Calvino di Ginevra. Dopo qualche anno, intraprende un apprendistato presso una banca.

A 26 anni entra nel mondo degli affari quale rappresentante della Compagnia ginevrina delle colonie di Sétif in Nord Africa e Sicilia. In quel periodo, mette a punto un piano per arricchirsi e diventa presidente della Società finanziaria e industriale dei mulini di Mons Djémila in Algeria. Scopo della società: sfruttare una vasta porzione di territorio per produrre cereali.

Non riuscendo a ottenere i diritti di approvvigionamento idrico, decide di rivolgersi direttamente all'imperatore Napoleone III. L'idea è audace, tanto più che in quel momento Napoleone si trova al fronte impegnato a dirigere l'esercito francese che, al fianco delle armate italiane, tenta di scacciare gli austriaci dalla Penisola.

Lo shock di Solferino

Dunant, quindi, si mette in viaggio verso il quartier generale dell'imperatore francese situato nei pressi di Solferino, località a sud del Lago di Garda, dove per caso giunge all'indomani della celebre battaglia consumatasi il 24 giugno 1859.

Lo scontro tra l'alleanza franco-sarda e l'esercito austriaco per l'indipendenza dell'Italia è stato particolarmente cruento e lo scenario che si para dinanzi agli occhi dell'uomo d'affari ginevrino è terrificante: abbandonati sul campo di battaglia giacciono oltre 40.000 soldati morti o feriti.

Profondamente scosso dalla carneficina, con l'aiuto della popolazione locale Dunant organizza i primi soccorsi per alleviare le pene delle vittime.

«Per Dunant fu un vero e proprio shock che segnò profondamente la sua psiche e dal quale non si riprese mai», spiega Beretti.

Al suo rientro in Svizzera, scrive un libro sulla sua esperienza intitolato «Un ricordo di Solferino» in cui lancia l'idea di un'organizzazione di volontari preparati ad assistere i feriti di guerra. Il suo vuole essere un contributo alla creazione di un mondo più civilizzato e all'alleviamento delle sofferenze causate dalla guerra.

Il Comitato di Ginevra

Nel 1863, con le immagini della battaglia di Solferino ancora impresse nella mente, Dunant insieme ad altri quattro cittadini svizzeri crea un comitato che in seguito prenderà il nome di Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR).

Beretti sorride pensando a come è nato questo organismo.

«Le origini della Croce Rossa hanno dell'inverosimile» afferma. «Cinque signori che decidono di incontrarsi in un appartamento della città vecchia per fondare un'organizzazione internazionale: è semplicemente incredibile! Cose di questo genere possono accadere soltanto a Ginevra.»

Un anno più tardi, con il sostegno dei cinque membri fondatori del CICR, il Governo svizzero convoca una conferenza diplomatica alla quale partecipano i rappresentanti di 16 Paesi e che si conclude con l'adozione della prima Convenzione di Ginevra.

Il trattato pone limiti ai comportamenti sul campo di battaglia, sancendo il trattamento umanitario delle vittime e l'adozione di uno speciale emblema distintivo, ossia una croce rossa su sfondo bianco.

Il fallimento e l'esilio

Nella vita di Dunant, tuttavia, sta per accadere l'irrimediabile che lo porterà a vivere i successivi trent'anni in netto contrasto con la prima parte della sua esistenza.

I suoi affari in Algeria, infatti, vanno male, anche a causa del tempo eccessivo dedicato ai suoi progetti umanitari, e nell'aprile del 1867, il fallimento del Credito Ginevrino lo travolge senza lasciargli scampo.

Costretto a dichiarare bancarotta, il 17 agosto 1868 viene condannato dal tribunale civile di Ginevra che lo ritiene responsabile di aver coscientemente ingannato i sui collaboratori.

Dopo il tracollo finanziario, che coinvolge molti suoi amici ginevrini, Dunant viene messo al bando dalla società e, nel giro di pochi anni, si riduce a vivere come un mendicante.

«Fu allora che Gustave Moynier (cofondatore del CICR), nel timore che la bancarotta e la cattiva reputazione di Dunant a Ginevra potessero compromettere l'immagine della nuova Croce Rossa, lo allontanò dal Comitato», prosegue Jäger.

Nel 1875, profondamente amareggiato, Dunant lascia la sua città natale e dopo brevi soste in vari luoghi si trasferisce ad Heiden, un paesino del Canton Appenzello esterno.

«Fu un duro colpo per Dunant, convinto com'era della buona fede e della necessità del suo impegno umanitario», commenta Jäger.

Malato, nel 1892 viene ricoverato nella camera numero 12 dell'ospizio di Heiden dove trascorre gli ultimi 18 anni della sua esistenza.«La gente lo credeva morto», spiega Jäger. «Durante quel periodo, il CICR continuò a lavorare e a crescere senza di lui

La riabilitazione

Ma la sua figura non è finita nel dimenticatoio. Nel 1985, il giornalista tedesco Georg Baumberger scrive un articolo su di lui che attira l'attenzione della stampa mondiale e lo catapulta nuovamente sotto i riflettori dell'opinione pubblica.

Nel 1901, viene insignito del primo Premio Nobel per la pace per il suo ruolo nella fondazione del Movimento Internazionale della Croce Rossa e per aver iniziato il processo che ha portato all'adozione della prima Convenzione di Ginevra.

Dunant muore il 30 ottobre 1910 e viene sepolto a Zurigo senza cerimonia.

Ma le congratulazioni ufficiali espresse dal CICR per l'ottenimento del Nobel preconizzano la definitiva riabilitazione della sua figura.

«Non c'è persona che meriti questo riconoscimento più di te che, quarant'anni or sono, desti vita all'organizzazione internazionale che oggi presta soccorso alle vittime sui campi di battaglia. Senza di te, la Croce Rossa, la maggiore conquista umanitaria del XIX secolo, non avrebbe probabilmente mai visto la luce», recita il messaggio del CICR.

Senza Dunant, gli altri quattro fondatori della Croce Rossa non si sarebbero mai spinti così lontano, sottolinea Jäger.

«Grazie al suo dinamismo e alla sua ossessione, le cose accaddero molto più velocemente. Cinquant'anni più tardi, la Croce Rossa sarebbe verosimilmente sorta altrove; Dunant non fece altro che accelerare la storia

«Era un idealista, ma uno di quelli che vogliono concretizzare i propri ideali

 

Simon Bradley, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento di Sandra Verzasconi Catalano)

Fonte: swissinfo.ch


Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Ferdinando Palasciano
Foto: wikipedia

Ferdinando Palasciano

 

Nacque il 13 giugno 1815 a Capua da Pietro, segretario comunale proveniente da Monopoli, in Puglia, e da Raffaella Di Cecio.

Compiuti i primi studi presso il seminario di Capua, si laureò in belle lettere e in veterinaria; in seguito in medicina e chirurgia, a Messina, il 27 giugno 1840. Il suo primo lavoro, Sopra le zoppie per la distrazione nei grandi animali domestici (Napoli 1837), indica già il suo interesse per l'ortopedia, cui si sarebbe dedicato anche da medico. Fu allievo di Pietro Ramaglia, medico all'ospedale napoletano degli Incurabili e più tardi professore alla facoltà di medicina, interessato all'anatomia patologica (aveva aperto un museo di anatomia patologica all'ospedale di S. Maria di Loreto) e autore di un noto Manuale di notomia topografica (Napoli 1840) e di un metodo diagnostico, incentrato sulla semeiotica fisica, più volte ricordato da Palasciano nelle sue opere.

Le vicende biografiche di Palasciano, e la misura del suo coinvolgimento nei moti risorgimentali e nell'opposizione al regime borbonico, sono difficili da ricostruire, superando l'aneddotica che viene ripresa da tutti i biografi recenti e che, concentrandosi in particolare sulla disputa di priorità nell'affermazione della neutralità dei feriti di guerra, rende difficile la ricostruzione precisa della sua carriera, in particolare tra gli anni '40 e '50. La difficoltà è ulteriormente accresciuta dal fatto che molti suoi lavori furono pubblicati e ripubblicati in diverse versioni; l'edizione postuma delle opere (Memorie e osservazioni, Napoli 1896), curata dalla moglie, la nobildonna russa Olga de Wavilow, contiene i suoi scritti più importanti ma senza l'indicazione della pubblicazione originale. Inoltre occorre tener conto dalla inesauribile vena polemica di Palasciano, che gli faceva pubblicare su giornali e gazzette interventi e scritti di occasione - interventi che, se letti attentamente, forniscono comunque indicazioni preziose sulla sua idea di chirurgia e medicina e sul suo impegno civile e di medico ospedaliero e militare.

Negli anni '40 Palasciano si dedicò a ricerche sulle patologie e il trattamento chirurgico dei tessuti muscolari e tendinei e in particolare sulla tenotomia, pubblicando articoli su diversi periodici specializzati, come Il Severino: giornale medico-chirurgico. Nel settembre del 1845 partecipò al VII Congresso degli scienziati italiani, tenutosi a Napoli, presentando, il 25 settembre, nella sezione di chirurgia e anatomia, una memoria sulla legatura delle arterie e le sue conseguenze (Diario del VII congresso degli Scienziati Italiani, Napoli 1845, p. 53). Nel 1846 pubblicava sul Giornale di scienze mediche di Napoli (I, vol. 1, n. 3) le Storie di idrofobie curate infruttuosamente nell'ospedale degli incurabili di Napoli, un esame di diversi casi, ripresi dal principale giornale medico italiano del periodo, il milanese Annali universali di medicina (s. 3, 1846, vol. 23, f. 355, pp. 221-226).

Dopo aver constatato che l'idrofobia si tiene celata «malgrado le dissezioni anatomiche» (p. 222), e aver segnalato come sua costante complicazione l'elmintiasi gastroenterica, si scagliava contro un rimedio da ciarlatani, un vino medicato "del cav. Nouveau" che si diceva curasse questa patologia, e che si somministrava in ospedale.

Ancora nel 1846, entrato con il grado di alfiere medico nell'esercito borbonico, pubblicava a Napoli la Guida medica del soldato; nel 1847 a Lione veniva definito chirurgien de l'hôpital militaire du Sacrement de Naples. L'ospedale del Sacramento non era il più importante ospedale militare della città, ma secondo Salvatore De Renzi (Topografia e statistica medica della città di Napoli, Napoli 1845, p. 431) possedeva un anfitetaro anatomico. Per tutta la sua vita di chirurgo Palasciano restò legato al mondo ospedaliero, un fattore non secondario nell'orientarne le scelte intellettuali e di carriera.

Il 7 giugno 1847 presentava con successo una comunicazione alla Société de médecine de Lyon, da cui sembra di capire che avesse lavorato in questa città, e dove ricordava pezzi anatomici parigini del Musée Dupuytren (Du muscle rotateur externe de la jambe et de la luxation consécutive du genou en dehors et en arrière. Nouvelle méthode de traitement des ankyloses angulaires du genou. Mémoire adressé à la Société de médecine de Lyon, par le Dr F. Palasciano,... [Rapport fait à la Société de médecine de Lyon, dans sa séance du 5 juillet 1847, par une commission composée de MM. Bouchacourt et Bonnet, rapporteur.], Lyon 1847). Palasciano rimase in seguito legato ad Amedée Bonnet, chirurgo dell'Hôtel-Dieu di Lione, che aveva adottato il metodo del napoletano per la resezione del tendine e che nel 1858 avrebbe visitato il collega a Napoli e collaborato con lui al tavolo operatorio. Nello stesso anno 1847 rispondeva a un M. C. che sulla Gazette Médicale de Paris aveva criticato le condizioni igieniche di Napoli con una lettera proveniente appunto da Lione (De l'Hygiène à Naples. Lettre à M. le rédacteur en chef de la Gazette médicale de Paris [firma: F. Palasciano. Lyon, 5 août 1847], Paris 1847). Qui difendeva in generale lo stato dell'igiene nella propria città, e in particolare il governo borbonico dall'accusa di non favorire le innovazioni scientifiche, anzi di combatterle.

Nel settembre 1848, Messina, in rivolta, fu bombardata; ne seguirono violenti combattimenti, cui Palasciano assistette nella sua qualità di ufficiale medico. Il generale Carlo Filangieri, principe di Satriano, che aveva stroncato la rivolta, avrebbe pubblicamente redarguito Palasciano per aver curato indistintamente soldati e patrioti, deferendolo poi al tribunale di Guerra. Il chirurgo sarebbe stato rinchiuso nel carcere di Reggio Calabria, ma il re Ferdinando II, che lo conosceva di fama, lo avrebbe fatto condannare soltanto a un anno di carcere, scontato nella fortezza di Capua, anziché alla pena capitale (cfr. Cipolla 2013).

Nel 1850 Palasciano divenne chirurgo all'ospedale degli Incurabili di Napoli; l'anno successivo, consulente chirurgo dell'ospedale dell'Arciconfraternita del SS. Rosario di S. Rocco a Chiaia. Partecipò ai soccorsi alla popolazione di Melfi, colpita da un violento terremoto (14 agosto 1851) e ricevette la medaglia d'oro al merito civile (15 dicembre 1852). Medico ospedaliero, Palasciano si dedicava, come già detto, soprattutto all'ortopedia e in questo campo anche alla strumentaria. Nel 1853, alla Mostra industriale del Reale Istituto di Incoraggiamento, inaugurata il 30 maggio e voluta dalla monarchia come vetrina della produzione nazionale, presentava, ricavandone un premio, uno strumento ortopedico; nel 1854 divenne primario chirurgo dell'ospedale degli Incurabili di Napoli; all'insegnamento in questa istituzione fanno con ogni probabilità riferimento le lezioni di ortopedia contenute in un manoscritto del Fondo Torraca, oggi nella Biblioteca Nazionale di Napoli.

Non si dedicava solo all'ortopedia: la sua chirurgia generale era avanzata e si appoggiava su una approfondita conoscenza anatomica e anatomo-patologica. Palasciano si dimostrava anche attento alla dimensione internazionale. Nel 1858 discuteva al XXXIII Congresso dei naturalisti di Bonn, in Germania, uno dei suoi lavori più importanti, le Memorie ed osservazioni di chirurgia pratica sul restringimento e la gangrena dell'intestino ernioso e su la diagnosi e cura delle emorragie uterine, poi pubblicato, oltre che in diversi periodici, presso l'editore Gioia di Napoli.

Dedicate a Leonardo Santoro e ai professori Stefano Trinchera e Felice De Rensis, illustri chirurghi napoletani, Palasciano vi si richiama alla anatomia patologica come alla guida del chirurgo, che deve mantenere sangue freddo nell'operare; si giustifica per aver difeso ed elogiato la scuola chirurgica napoletana, citando Marco Aurelio Severino come capostipite di una chirurgia "eminentemente conservatrice", ma anche efficace e interventista. Nei casi qui illustrati, infatti, Palasciano propende per l'intervento del chirurgo nella dilatazione dell'intestino, mentre la pratica clinica diffusa preferiva attendere che il fenomeno si verificasse spontaneamente, con esiti spesso letali. La storia della chirurgia non è dunque per lui separabile dalla pratica operativa moderna: oltre che a Severino, Palasciano si richiama a Antonio Scarpa.

Il 20 settembre 1858 leggeva a Karlsruhe, al XXXIV Congresso dei medici e naturalisti tedeschi, una memoria Della perforazione dell'unguis, come tecnica volta a individuare la distribuzione dei tumori alla base del cranio, e a suo dire consultava Rudolf Virchow sulla questione del cranio e della spina bifida, su cui aveva letto una memoria alla Regia Accademia medico-chirurgica di Napoli il 26 gennaio 1856 e su cui sarebbe tornato a scrivere negli anni '70. Il 26 marzo 1859 leggeva alla Regia Accademia medico-chirurgica di Napoli un rapporto sul cefalotribo (strumento utilizzato per comprimere il capo del feto), ripercorrendone la storia e mettendo in luce il ruolo svolto nel suo sviluppo dal chirurgo Pietro Assalini. L'interesse per la storia, spesso interpretata in una chiave, tipica del periodo, di 'rivendicazione nazionale' (meridionale e/o italiana) è dimostrato anche dall'amicizia di Palasciano con Salvatore de Renzi, più volte citato e ricordato nei suoi lavori; Palasciano è invece estremamente freddo nei confronti di un altro protagonista della vita medica napoletana, Salvatore Tommasi.

Il 22 maggio 1859 Ferdinando II di Borbone moriva, e secondo alcune testimonianze Palasciano sarebbe stato chiamato in extremis per un consulto al suo capezzale. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre 1860 partecipava, in qualità di chirurgo militare, alla battaglia del Volturno. Aveva già maturato la convinzione che ai medici militari dovesse essere garantito il diritto di curare liberamente i feriti sul campo di battaglia - partecipando così a una sensibilità crescente verso il tema, che si andava affermando in Europa in quegli anni a causa delle molte perdite subite dai combattenti su diversi teatri di guerra. Il 15 e il 28 aprile 1861 lesse due conferenze all'Accademia Pontaniana di Napoli sul tema della neutralità dei feriti di guerra, proponendo anche un premio di cento ducati (propri) da assegnare a uno scritto sull'argomento della cura delle ferite da arma da fuoco e sul principio della «neutralità dei combattenti feriti o gravemente infermi per tutto il tempo della cura» (Olga de Wavilow, Prefazione a F. Palasciano, Memorie, 1896, p. XII). Un altro discorso, sempre alla Pontaniana, fu pronunciato il 29 dicembre 1861; Palasciano vi proponeva che in caso di guerra i governi degli stati belligeranti si impegnassero in via preventiva alla restituzione reciproca dei prigionieri feriti dopo ogni combattimento, a far curare tutti i feriti intrasportabili sul luogo del combattimento, a fornire e rispettare un salvacondotto per il personale sanitario, all'impianto di un sistema di 'vaglia' interscambiabili per i rifornimenti e il matriale necessari alle cure, e infine, in caso di assedio, a consentire l'uscita degli assediati feriti per essere accolti da un terzo neutro o addirittura dagli assedianti stessi.

Nel giugno 1862 Garibaldi sbarcava a Palermo, e il 29 agosto veniva ferito all'Aspromonte; Palasciano visitò Garibaldi dopo una settimana dalla ferita, identificando il proiettile la cui presenza nella ferita era discussa; Garibaldi fu poi trasportato a Spezia, e nei mesi successivi si aprì una diatriba che presenta un notevole interesse anche per il confronto pubblico tra medici e chirurghi. Palasciano espresse sulla stampa la sua opinione sulla necessità dell'operazione; Garibaldi fu poi effettivamente operato, e una sua lettera di ringraziamento a Palasciano, da Pisa il 6 dicembre 1862, è conservata a Napoli al Museo di S. Martino.

Nel frattempo cresceva il movimento internazionale che avrebbe portato alla fondazione della Croce rossa. Henry Dunant pubblicò nel 1862 Un souvenir de Solférino, che avrebbe molto contribuito a sensibilizzare l'opinione pubblica; nel febbraio 1863, a Ginevra, si costituì una commissione che fu il primo nucleo della futura Croce rossa, e che convocò una conferenza per l'ottobre, alla quale parteciparono i rappresentanti di 14 paesi. Palasciano ne diede notizia in una relazione alla Pontaniana del 27 dicembre 1863, e e in una seconda il 28 agosto 1864, nelle quali sosteneva di essere felice che un congesso internazionale avesse accolto le sue idee; nell'agosto 1864 gli stati europei (non l'Austria) avevano infatti inviato delegati in Svizzera per lavorare a quella che sarebbe diventata la pima Convenzione di Ginevra, adottata il 22 agosto. Palasciano per primo, poi la sua vedova, e in seguito una storiografia interessata, se non compromessa con il regime fascista, si sarebbero nei decenni successivi adoperati a costruire atttorno a Palasciano una leggenda di vittima di una cospirazione internazionale volta ad avvolgere nel silenzio il contributo del chirurgo italiano - che non fu invitato in alcun modo, neppure dallo Stato italiano, a partecipare ai lavori sulla Convenzione - alla discussione. Se è vero che le idee di Palasciano erano relativamente diffuse, anche a livello internazionale (si veda ad es. F. Palasciano, De la Neutralisation des blessés en temps de guerre et de ses conséquences thérapeutiques, Lyon 1864, dove si ricostruisce la storia del dibattito sulla neutralità dei feriti in guerra), anche grazie ai rapporti che egli aveva con il medico svizzero Louis Appia, tra i fondatori del Comitato della Croce rossa, in effetti egli appare isolato dal dibattito e dalle sue implicazioni di politica internazionale (una puntuale ricostruzione delle origini della Croce rossa italiana e del ruolo che Palasciano non vi svolse in Cipolla 2013).

Nel 1863 Palasciano fu nominato consulente ordinario di chirurgia presso l'ospedale Pellegrini di Napoli; nel 1865, professore di clinica chirurgica all'Università di Napoli. Nel marzo 1866 si dimetteva dall'Università, ma era stato costretto a farlo dal ministro Domenico Berti, d'accordo con il rettore Arcangelo Scacchi, dopo un lungo braccio di ferro, perché si rifiutava di far lezione e di operare nel nuovo ospedale del Gesù e Maria, che considerava inadatto alle esigenze didattiche e pericoloso per i pazienti, a causa della contiguità tra i reparti chirurgici e quelli per la cura delle malattie infettive: «la sala di operazione è il luogo più oscuro dello Spedale, e ... la sala degli operati è esposta alle cadaveriche emanazioni, perché situata sulla sala e l'anfitetatro di notomia patologica. Mancano sale per gli apparecchi e per l'armamentario» (Memorie ed osservazioni, I, Napoli 1896, p. 86). La polemica fu lunga e a tratti porta le tracce della difficile personalità di Palasciano, ma è anche di grande interesse dal punto di vista della storia ospedaliera napoletana e italiana in un'epoca pre-microbiologica.

Oltre a occuparsi di ortopedia nelle sue applicazioni alla medicina militare (è del 1865 la Notice sur l'appareil brancard... pour le traitement des fractures compliquées du tronc et des membres inférieurs et pour le transport des blessés de guerre, edita a Parigi), Palasciano si dedicò con grande impegno alla questione della sifilizzazione: sull'onda del successo della vaccinazione antivaiolosa, ci si convinse di poter ricavare dalle vacche un principio in grado di immunizzare (il termine è anacronistico: qui lo si utilizza per esigenze di chiarezza) il paziente dal contagio della sifilide e di altre malattie veneree. Il metodo, nel quale Palasciano riponeva molte speranze, era stato in realtà elaborato e diffuso in Italia e in Francia, ma non ebbe successo. Come testimoniano le memorie postume della moglie, Palasciano considerava questa una battaglia altrettanto importante di quella per l'affermazione della neutralità dei feriti di guerra. Al Congresso medico di Lione del 1864, richiamava infatti l'importanza di «studi dei contemporanei sopra vari problemi della chirurgia pratica, e segnatamente sulla vaccinazione animale contro la sifilide vaccinale, il metodo italiano di eterizzare, le cauterizzazioni successive nella cura dell'antrace e della infezione putrida, e le conseguenze terapeutiche della neutralità dei feriti in tempo di guerra» (Memorie ed Osservazioni, I, Napoli 1896, p. 4).

Nel 1866 iniziò a pubblicare un periodico; polemicamente, decise di gestirlo da solo: «Presso al termine della mia carriera scientifica intraprendendo la pubblicazione di un periodico non poteva dissimularmene i cattivi passi, i quali sono molti e profondi. Ad evitare i prevedibili, mi son posto solo alla compilazione del giornale e ne ho ben determinati gli scopi» (Memorie ed osservazioni, Napoli 1896, edizione postuma, p. 5). L'Archivio di chirurgia pratica uscì dal 1866 al 1877, presso diversi stampatori. Nel periodico Palasciano pubblicava materiale vario: osservazioni varie, lettere a colleghi illustri, materiale polemico.

Intraprese poi la carriera politica: deputato della X legislatura per la Sinistra, eletto il 5 maggio 1867 nel collegio di Cassino (e ancora nella XI e XII, sempre nello stesso collegio), continuò a occuparsi della questione dell'assistenza ai feriti: nel 1867, al Congresso della Associazione italiana di soccorso per i militari feriti, propose una modifica alla Convenzione di Ginevra; tornò a proporre, il 14 giugno 1867 (già deputato, in una lettera al presidente del Consiglio, Urbano Rattazzi) una estensione della Convenzione alle battaglie navali. Nell'agosto 1868 l'Italia non lo invitò a discutere delle riforme alla Convenzione; il Journal de Génève e altri organi di stampa se ne stupirono e Palasciano ne ricavò l'ennesima delusione. È del 1871 il lavoro Il diritto delle genti, lettera sulla Convenzione di Ginevra, edito a Napoli. Nel 1876, come assessore all'Igiene del Comune di Napoli, si occupò personalmente del problema dell'Annunziata, uno dei maggiori ospedali della città, opponendosi per ragioni igieniche a che fosse aperta una Maternità nel brefotrofio. Il 15 maggio 1876 fu nominato senatore del Regno, e giurò in giugno; ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, il 14 marzo 1879; membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione (dal 6 novembre 1881 al 10 maggio 1883), non smise di occuparsi anche di medicina, e nel 1883 fondò la Società italiana di chirurgia con i professori Pietro Loreta di Bologna e Enrico Bottini di Milano. Il 5 luglio 1891 fu nominato socio emerito dell'Accademia Pontaniana. Soffriva già di gravi disturbi mentali.

Morì a Napoli il 28 novembre 1891.

Palasciano fu un uomo colto, un collezionista d'arte, amico di musicisti, fra i quali il pianista Sigismund Thalberg, letterati, come Antonio Ranieri, artisti, come il pittore Edoardo Dalbono, che ospitava nella sua villa di Capodimonte. La sua collezione d'arte è conservata al Museo della Certosa di S. Martino, a Napoli; la sua biblioteca, comprendente anche numerosi libri antichi, è conservata a Capua, al Museo provinciale campano, ed è stata di recente catalogata. Secondo un biografo (Garofano Venosta) la sua collezione di ferri chirurgici fu donata all'ospedale civile di Capua.

Fonti e bibl.: Suoi manoscritti e carte d'archivio presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, nel Fondo Torraca.

F. P., Memorie ed osservazioni, Napoli 1896 (edizione postuma a cura di O. De Wavilow); L. Conforti, Ricordi di Thalberg e Leopardi nella Torre del Palasciano, in Ars et Labor, I (1906), 8, pp. 716-720; F. Garofano-Venosta, F. P., Aversa 1965 (pubbl. dell'Istituto di Storia della medicina dell'Università di Roma); L. Musella, Carte Palasciano, in Inventario delle carte Torraca, Napoli 1988, pp. 85-92; A. Del Chiaro, Piccolo studio su F. P., Firenze 2009; C. Cipolla, Introduzione generale, in Storia della Croce Rossa Italiana dalla nascita al 1914, I. Saggi, a cura di C. Cipolla - P. Vanni, Milano 2013, pp. 36-62.

Fonte: treccani.it

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Serafino Biffi

Serafino Biffi


Milano, 31 Marzo 1822 – Milano, 27 Maggio 1899


Biografia
Nato a Milano da famiglia modesta, compì i primi studi nel Seminario di San Pietro e nel Liceo di Sant’Alessandro, iscrivendosi poi alla Facoltà di medicina dell'Università di Pavia. Qui, sotto la guida di grandi maestri come Bartolomeo Panizza e Luigi Porta, si dedicò all’attività sperimentale di laboratorio, pubblicando sugli Annali universali di medicina, ancora studente, i risultati delle ricerche anatomo-fisiologiche condotte con Giuseppe Morganti Sui nervi della lingua (1846). Ottenuta la laurea nel 1846, con una tesi su L’influenza del gran simpatico e del nervo vago sull’occhio – in cui confermò dal punto di vista sperimentale le dottrine di Heinrich Müller e Gabriel Gustav Valentin sull’innervazione dell’iride –, divenne assistente di Porta presso la Clinica medica pavese, svolgendo contemporaneamente il praticantato all'Ospedale Maggiore di Milano.
Nel 1848, su suggerimento dello stesso Porta, accettò l’incarico di assistente nel manicomio privato di San Celso a Milano (Villa Antonini), dove sostituì Andrea Verga, ottenendo poi nel 1851, alla morte di Domenico Muggetti, la direzione dell'istituto, che mantenne per tutta la vita. Ne fece – a dire di Augusto Tamburini – "uno degli asili più rinomati e ricercati d’Italia, e a un tempo la meta tradizionale e largamente ospitale ai pellegrinaggi degli alienisti italiani e di non pochi stranieri".


Da quel momento ebbe inizio il fruttuoso sodalizio con Verga, tanto che lo stesso Tamburini indicava Biffi come il "secondo campione di quella coppia gloriosa e immortale della scienza psichiatrica", a cui si doveva la nascita della psichiatria come disciplina autonoma e riconosciuta in Italia. Con Verga, infatti, egli collaborò alla fondazione, nel 1852, del primo periodico italiano dedicato alla psichiatria, l'Appendice psichiatrica della Gazzetta medica lombarda, dove pubblicò, tra l’altro, i resoconti dei viaggi che proprio negli anni Cinquanta intraprese in Francia, Belgio e Germania per visitare manicomi, istituzioni carcerarie e gabinetti scientifici di rinomanza internazionale. Un’impressione particolarmente favorevole riportò dalla visita alla colonia di Geel ("Gheel") nel 1852, che fece conoscere in Italia, continuando anche negli anni successivi a sostenere i concetti di riforma più moderni e liberali – come appunto la "colonizzazione dei pazzi" – in materia di organizzazione dei manicomi e trattamento degli alienati.
Dopo essere stato ospite di laboratori scientifici all’avanguardia come quelli di Emil Dubois-Reymond ed Eduard Pflüger a Berlino, di Valentin a Berna, di Claude Bernard a Parigi, pubblicò nel 1857 sugli Annali universali di medicina le Ricerche esperimentali sul sistema nervoso arrestatore del tenue intestino, confutando le teorie di Pflüger.
Il nome di Biffi divenne noto al grande pubblico nel 1858, in occasione del processo – che ebbe grande risonanza sulla stampa – contro l’uxoricida Giuseppe Curti, condannato a morte per aver assassinato nel marzo di quell’anno la moglie e il suocero sullo scalone del Palazzo Arcivescovile di Milano. Pubblicando una lettera aperta a Verga, Biffi dimostrò l’infermità mentale di Curti e ne ottenne l’assoluzione. Da quel momento fu chiamato sempre più spesso a dare il suo parere in questioni medico-legali sullo stato mentale di celebri imputati, come l’omicida Leopoldo Introzzi (1871), il figlicida Achille Agnoletti (1872), lo strangolatore di donne Vincenzo Verzeni (1872), l’omicida paranoico Giuseppe Dossena (1876) e l'anarchico Giovanni Passannante, autore di un attentato a re Umberto I (1878).


Quando nel 1864 Verga trasformò l'Appendice psichiatrica in un giornale autonomo, l’Archivio italiano per le malattie nervose, Biffi partecipò attivamente alla nuova impresa e, sempre insieme a Verga, fu tra i promotori nel 1873 della fondazione della Società freniatrica italiana, di cui divenne prima segretario e poi presidente, succedendo allo stesso Verga.


Si occupò inoltre a lungo di istituti penitenziari e riformatori per giovani, fu due volte presidente del R. Istituto lombardo di scienze e lettere (1890-91 e 1894-95) e primo benefattore della Società di patrocinio pei pazzi poveri della Provincia di Milano, da lui promossa insieme a Verga nel 1874 e costituitasi formalmente nel 1876. Fu infine membro dei Consigli comunale e provinciale di Milano, nonché sindaco di Albiate dal 1878 al 1895.

Paola Zocchi
24/06/2015


Bibliografia
Coari, G. Biffi Serafino, in Dizionario biografico degli italiani, on-line.
De Bernardi, A., De Peri, F., Panzeri, L. (1980). Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese. Milano: Franco Angeli.
Ratti, A. (1902). Commemorazione del M.E. Serafino Biffi letta nella solenne adunanza del R. Istituto lombardo di scienze e lettere il giorno 9 gennaio 1902 (pp. XXV-XLI). In Opere complete del Dr. Serafino Biffi. Vol. I. Milano: Hoepli.
Tamburini, A. (1902). Commemorazione tenuta il 29 giugno 1899 nella Sede della Società di patrocinio pei pazzi poveri della Provincia di Milano (pp. XIII-XXIV). In Opere complete del Dr. Serafino Biffi. Vol. I. Milano: Hoepli.

Fonte: aspi.unimib.it

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

Andrea Verga

Andrea Verga


Treviglio (Bergamo), 30 Maggio 1811 – Milano, 21 Novembre 1895


Biografia
Andrea Verga è considerato uno dei padri fondatori della psichiatria italiana. Formatosi all'Università di Pavia, alla scuola di Bartolomeo Panizza, nel 1836 divenne suo assistente alla cattedra di anatomia. Nel 1842 si trasferì a Milano, dove trovò lavoro presso il Manicomio privato di San Celso. Qui cominciò a dedicarsi alla psichiatria, divenendo nel 1848 direttore del grande Manicomio milanese della Senavra.
Questo incarico gli consentì poi, nel 1852, di ottenere la direzione del più prestigioso Ospedale Maggiore, dove si distinse per le riforme risolute ed energiche che migliorarono il servizio medico-chirurgico nel suo complesso. Nel grande nosocomio promosse anche gli studi anatomo-patologici, riorganizzando il museo anatomico e inviando i giovani medici a studiare all'estero.


Profondo conoscitore dell'anatomia del sistema osseo e del sistema nervoso, diede il suo nome al diverticolo del setto pellucido del cervello posto sotto il corpo calloso, chiamato appunto "ventricolo del Verga".


Nel 1852 fondò l'Appendice psichiatrica, il primo periodico italiano dedicato espressamente alla psichiatria e ispirato ai principi del positivismo scientifico. Allegata inizialmente alla Gazzetta medica lombarda di Agostino Bertani, nel 1864 l'Appendice si trasformò in un giornale autonomo, prendendo il titolo di Archivio italiano per le malattie nervose. Quest'ultimo si fuse poi, nel 1892, con la Rivista sperimentale di freniatria, fondata a Reggio Emilia da Carlo Livi nel 1875.
Nel 1865, a causa di una riorganizzazione interna all'Ospedale Maggiore, Verga dovette abbandonare la direzione del nosocomio, ottenendo però in cambio l'incarico di "professore straordinario di dottrina e di clinica delle alienazioni mentali".


Con l'amico e discepolo Serafino Biffi, contribuì a una più corretta definizione della sintomatologia delle malattie mentali e del concetto dell'infermità di mente, considerata come causa d'irresponsabilità nei processi penali. Insieme a Biffi e a Cesare Castiglioni, è ricordato soprattutto per la sua battaglia a favore del riconoscimento della psichiatria quale branca autonoma della medicina e per aver sostenuto la necessità di costruire un nuovo Manicomio provinciale a Mombello in sostituzione della vecchia e ormai fatiscente Senavra. Considerato un maestro dalla maggior parte degli psichiatri italiani dell'Ottocento, fu in corrispondenza costante, tra gli altri, con gli esponenti di spicco della scuola di Reggio Emilia, Carlo Livi ed Augusto Tamburini.


Nel 1873 divenne presidente della neonata Società freniatrica italiana, fondata a Roma durante l'XI Congresso degli scienziati italiani, ​e nel 1876 fu nominato senatore, su proposta di Cesare Correnti e Agostino Depretis.


Presente in molte delle istituzioni politiche, culturali e scientifiche di Milano, fu a lungo consigliere comunale (1876-1889) e consigliere provinciale (1867-1889), nonché membro dell'Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, di cui fu presidente negli anni 1857-1858 e 1864-1865.

Paola Zocchi
10/11/2012 (aggiornamento 18/11/2020)


Bibliografia
Castelli, G. (1940). Figure dell'Ottocento alla Ca' Granda. Amministratori, medici, farmacisti. Milano: Ed. Meneghina, 443-482.
De Bernardi, A. (a cura di) (1982). Follia, psichiatria e società. Istituzioni manicomiali, scienza psichiatrica e classi sociali nell'Italia moderna e contemporanea. Milano: Franco Angeli.
De Bernardi, A., De Peri, F., Panzeri, L. (1980). Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese. Milano: Franco Angeli.
Spinelli, S. (1956). La Ca' Granda 1456-1956. Milano: Consiglio degli Istituti ospitalieri.
Tamburini, A. (1896). Andrea Verga. Commemorazione. Reggio Emilia: Tip. S. Calderini.
Zago, S., Randazzo, C. (2006). Andrea Verga (1811-1895). Journal of Neurology, 253, 1115-1116.
Zocchi, P. (2008). Tra autopsie, cremazione e suicidio: l'Istituzione Loria di Milano nel pensiero del promotore Andrea Verga (1881-1895). In Cosmacini, G., Vigarello, G. (a cura di). Il medico di fronte alla morte (XVI-XXI secolo). Torino: Fondazione Ariodante Fabretti, 156-184.
Zocchi, P. (2020). Verga, Andrea. In Dizionario biografico degli italiani, vol. 98. Roma: Treccani.

Fonte iconografica
Senato della Repubblica, Scheda del senatore Andrea Verga.

Fonte: aspi.unimib.it

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

Cesare Castiglioni

Cesare Castiglioni


Arluno (Milano) , 16 Gennaio 1806 – Milano, 8 Ottobre 1871


Biografia
Figlio del medico Giuseppe Castiglioni e di Rosa Pogliana, dopo gli studi al Liceo S. Alessandro di Milano, nel 1831 consegue la laurea in medicina presso l’Università di Pavia, dove diventa subito assistente di Giuseppe Corneliani alla cattedra di clinica medica e terapia speciale. Nell’autunno del 1832 si reca a Vienna insieme a Luigi Sacco per studiarvi il colera, e l’anno successivo entra come medico assistente all’Ospedale Maggiore di Milano, dove lavora per quasi vent’anni, occupandosi della cura dei colerosi, dei vaiolosi, dei malati di petecchie, tigna e scabbia. Si interessa anche di sifilide: compiendo indagini teoriche e sperimentando nuovi metodi di cura.
Nel 1843 vince il premio istituito dalla Società medico-chirurgica di Bologna per un lavoro di ricerca sulle alterazioni patologiche provocate dall’artrite a danno delle pareti arteriose. L’anno successivo diventa redattore della sezione di Igiene pubblica e privata nel giornale milanese Lo spettatore industriale, fondato proprio nel 1844 da un gruppo di studiosi guidato da Ercole Maranesi. Nel 1845 viene nominato membro dell’Accademia fisio-medico-statistica di Milano, istituita dal medico Giuseppe Ferrario, e in seguito ne diventa vicepresidente.


Nel 1849 e nel 1850 impartisce lezioni di clinica medica nell'ambito dei nuovi corsi organizzati all’Ospedale Maggiore in seguito alla chiusura delle Università di Pavia e di Padova per motivi politici.


Nel 1852 viene nominato direttore della Senavra, il primo nucleo manicomiale della città di Milano, dipendente dall’Ospedale Maggiore. Inizia così la sua “carriera psichiatrica”, da allora portata avanti insieme ad Andrea Verga e, in seguito, a Serafino Biffi, con i quali costituisce la cosiddetta “scuola milanese di psichiatria”, punto di riferimento in Italia all’indomani dell’unificazione, quando ancora mancava un’associazione nazionale di settore (la Società freniatrica italiana nascerà infatti nel 1873). Nel 1864 Castiglioni, Biffi e Verga fondano l’Archivio italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali, di fatto la prima rivista specialistica pubblicata in Italia.
Nel corso della direzione della Senavra, Castiglioni introduce attività innovative: dal 1856 assume un maestro di musica e nel 1864 impianta un «teatrino dei pazzi» per le recite dei ricoverati, le cui scene vengono dipinte da «un certo Bossi», un pittore internato. Durante queste recite si rendevano possibili incontri «fra ricoverati d’ambo i sessi», nonostante normalmente vigesse la più rigida separazione.


Castiglioni è inoltre fra i promotori della costituzione di un nuovo manicomio milanese in sostituzione della Senavra, più grande e soprattutto costruito in base ai criteri dettati dalla moderna scienza psichiatrica. Quando viene decisa l’apertura del nuovo manicomio di Milano in Mombello, egli pensa di istituirlo sul modello di una «colonia agricola».
L’interesse psichiatrico non esaurisce le iniziative di Castiglioni, che nel 1864 fonda la Croce Rossa Italiana (nata con il nome di “Associazione italiana di soccorso ai militari feriti e malati in tempo di guerra”) e nel 1867 diventa presidente del Regio Istituto dei sordo-muti di Milano.

Elisa Montanari
04/05/2015


Bibliografia
Biffi, S. (1872). Commemorazione di Cesare Castiglioni (tenuta nell’adunanza del 25 gennaio 1872). Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, s. II, vol. V, 31-53.
Castaldini, A., & Cattaneo, G. (2005). Cesare Castiglioni. Medico, psichiatra, filantropo nella Milano dell’Ottocento (1806-1871). Milano: Ares.
Castiglioni Cesare (1979). Dizionario biografico degli italiani. Roma: Treccani, vol. XXII, 138-140, disponibile on line.
De Bernardi, A., De Peri, F., & Panzeri, L. (1980). Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne: il caso milanese. Milano, FrancoAngeli.
Gerosa Brichetto, G. (1966). Storia della Senavra. Milano: Boniardi Arti Grafiche.
Riquier, G. (1942). Medici milanesi nella tradizione neuropsichiatrica. Rivista sperimentale di freniatria, LXVI, 6-37.
Verga, A. (1871). Il dottor Cesare Castiglioni. Annali universali di medicina, CCXVIII, 675-679.


Opere
(1844). Alcune esperienze sulle infezioni per le vene. Gazzetta medica di Milano.
(1842). Risposta al tema pubblicato dalla Società medico-chirurgica di Bologna il dì 15 maggio 1842. Memoria giudicata degna del premio e pubblicata nel volume IV di quella Società.
(1846). Sulla malattia delle patate negli anni 1845 e 1846, considerata in sé stessa, e in rapporto al pubblico interesse ed alla pubblica salute. Memoria letta nella 1° seduta ordinaria dell’anno II dell’Accademia fisio-medico-statistica di Milano il 23 novembre 1846, e pubblicata nel Diario di quell’Accademia.
(1852). Sul tannato di chinina e su la di lui azione contro i mali a intermittenza, osservazione e fatti clinici. Gazzetta medica di Lombardia.
(1854). Il perché debbasi ritenere tuttora sussistente il bisogno di estese positive indagini circa le alterazioni patologiche in rapporto alle alienazioni mentali. Lettura fatta all’Accademia fisio-medico-statistica di Milano nella seduta del 11 giugno 1854, e pubblicata nel Diario di quell’Accademia.
(1855). Su l’aumento o meno dei pazzi nel secolo attuale; particolarmente se ce ne ha in oggi da noi più che non se ne aveva trent’anni or sono. Discorso letto all’Accademia fisio-medico-statistica di Milano. Annali universali di medicina.
(1856). Relazione sopra un viaggio ai più riputati manicomj d’oltralpi e d’oltremare, letta nelle adunanze del 27 novembre 1855 e del 14 febbraio 1856 presso l’Accademia fisio-medico-statistica di Milano. Annali universali di medicina.
(1858). Considerazioni sopra le alienazioni mentali dette simpatiche, e sopra un caso d’alienazione mentale a forma mista con epilessia, in rapporto con un tumore abdominale. Gazzetta medica di Lombardia.
(1862). Della scrofola o malattia scrofolare. Milano: Tip. G. Bernardoni.
(1866). Sui reati assolti perché commessi per causa di forza irresistibile. Archivio italiano per le malattie nervose.
(1866). Idee per una legge sugli alienati. Archivio italiano per le malattie nervose.
(1868). Sul manicomio di Mombello succursale al manicomio la Senavra: notizie. Milano: Rechiedei.

Fonte: aspi.unimib.it

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 
Il Museo rende onore alla Prima Convenzione di Ginevra 1864 - 22 Agosto - 2014
“Onore alla Prima Convenzione di Ginevra nei suoi 150 anni”
Un’azione umanitaria lunga 150 anni: da emozioni e sentimenti, vissuti in questa terra, è nato un progetto innovativo di portata mondiale.
La Coce Rossa si racconta: 150 anni dalla Prima Convenzione di Ginevra e 100 anni dalla nascita dell'Agenzia per i Prigionieri di Guerra.
Venerdì 22 agosto 2014 alle ore 18,30
presso il Museo Internazionale Croce Rossa Via Garibaldi 50 Castiglione delle Stiviere MN per ricordare che l'umanità in guerra, non avrebbe le medesime garanzie, se, 150 anni or sono, non fosse stata firmata la Prima Convenzione di Ginevra.
Il Presidente del Comitato Promotore del Museo
Arialdo Mecucci
 
in collaborazione con il Team dell' Area 4 del Comitato Locale CRI di Castiglione delle Stiviere
R.S.V.P. 0376 638505 – info@micr.it
 
 
 
 


 logo CISCRi

 
 

“.... Carpenedolo, Castel Goffredo, Medole, Guidizzolo, volta e le località dei dintorni vedono arrivare una quantità considerevole di feriti. Ma il maggior numero di essi è portato a Castiglione, dove i meno gravi si sono trascinati con le poche forze rimaste..... Nel frattempo, si è formato un nucleo di volontari. Io organizzo, bene o male, i soccorsi nel quartiere che sembra essere il più carente di aiuti, e mi stabilisco in una delle chiese di Castiglione, chiamata Chiesa Maggiore...... riconosciutomi, mi fermano per esprimere la loro gratitudine per averli curati a Castiglione.” Noi vi chiamavamo il signore in bianco “ mi dice uno di loro nel suo linguaggio pittoresco “ perché eravate vestito di bianco: infatti faceva molto caldo! ”.... Le donne di Castiglione, vedendo che io non faccio alcuna distinzione di nazionalità, seguono il mio esempio testimoniando la stessa benevolenza a tutti questi uomini di origini così diverse e per loro tutti egualmente stranieri. “Tutti Fratelli“ ripetono con compassione. Onore a queste donne compassionevoli, a queste giovani ragazze di Castiglione! Amorevoli e modeste, esse non hanno tenuto conto né delle fatiche né del disgusto né dei sacrifici; nulla le ha fermate, sfinite o scoraggiate.”

Tratto da Un Souvenir di Solferino di Jean Henry Dunant – Versione italiana del manoscritto della settima edizione edito da alter ego

 

La storia

L'Ufficio Storico CISCRì ( Cultore Italiano di Storia della Croce Rossa internazionale) è stato costituito il 13 novembre 2002, su proposta del prof. Paolo Vanni, dal Commissario Comitato Regionale CRI Toscana che ha accolto il suggerimento di organizzare e valorizzare il grande patrimonio storico della Croce Rossa Italiana.

Gli  Uffici  Storici hanno  come  compito  principale  la conservazione,  il  recupero,  la  valorizzazione del  materiale  presente  negli Archivi e la divulgazione della Storia della Croce Rossa.
Con Delibera n°31 del 9 aprile 2006, il Prof. Paolo Vanni, è nominato Delegato Nazionale alla Storia CRI.
 
I Volontari che conseguono il diploma di CISCRi (Cultore Italiano di Storia della Croce Rossa Internazionale),diploma, riconosciuto anche dal SISM (Società Italiana di Storia della Medicina), hanno il titolo di Istruttori e come tali svolgono lezioni sulla Storia della Croce Rossa e della Medicina.

Il Corso, sperimentale nelle sue due prime edizioni, è stato poi riconosciuto ufficialmente, prima con disposizione presidenziale e poi con la Delibera n°210 del 9 giugno 2007, dal Consiglio Direttivo Nazionale.
Questa Delibera, oltre ad approvare definitivamente il Corso, diventando così anch'esso un'attività formativa della Croce Rossa Italiana, in materia di Storia della CRI, dispone anche il rilascio di un  diploma e di un distintivo, conferendo così riconoscimento nazionale ai Corsi, agli Archivi Storici presenti sul territorio e alle Sezioni Storiche di Croce Rossa.
 
 
La storia della Croce Rossa a Pisa
Il 21 ottobre del 1883, a Pisa, veniva presentato il programma per la costituzione del Consolato operaio delle Associazioni liberali della provincia di Pisa, ovvero l’associazione provinciale di tutte le società che si richiamavano ai valori condivisi del Risorgimento. ... continua