Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 

Letizia da Cascina

Sorella Letizia Da Cascina Del Punta Cristiani
San Giuliano Terme 10 giugno 1946
Marciana di Cascina 30 maggio 1990
 
Ispettrice provinciale delle Infermiere Volontarie della CRI di Pisa.
Insieme alla Sorella Gina Bargagna Brogi ed al Dott. Ferdinando Brunori, direttore Sanitario CRI, furono le Monitrici di Primo Soccorso del Primo corso per aspiranti Volontari CRI che si concluse il 10 dicembre 1984, dando vita al primo nucleo di Volontari CRI a Pisa.
Se fosse una favola comincerebbe con “C’era una volta” ma questa non è una favola, è la storia vera di una donna, una grande donna vissuta nei nostri tempi e dei quali è stata una bellissima espressione.
Parliamo di una Sorella della Croce Rossa pisana, Letizia Del Punta Cristiani.

Letizia nata a San Giuliano Terme da una buona famiglia locale il 10 giugno 1946, sposò il Conte Umberto Da Cascina. Impiegata come bibliotecaria all’istituto di tedesco presso la facoltà di Lingue e Letterature Straniere, non paga del solo “lavoro” segui e superò con ottimi risultati il corso da Infermiera Volontaria. Grazie al suo costante impegno e dedizione diventò, nel 1977, la più giovane ispettrice d’Italia a soli 31 anni, incarico che si concluse solo con la sua prematura scomparsa.

La sua attività di crocerossina va inquadrata nel particolare periodo storico in cui è vissuta: un periodo di attività non di guerra ma improntato dal boom economico e dalla necessità di coinvolgere tutti in questo processo di rinascita e ricrescita.
Dotata di un carattere determinato e molto disponibile era capace di farsi carico delle vulnerabilità di tutti
Sorella Da Cascina, così amava farmi chiamare, riuscì a risollevare le sorti dell’ Ispettorato,  facendo conoscere su larga scala il Corpo delle Infermiere  Volontarie e le attività che venivano svolte dalla CRI sul territorio pisano.
Pur coinvolta, naturalmente, in prima persona nell’operare affinché si valorizzassero le attività del Comitato, non antepose mai sé stessa ed il suo personale interesse o ambizione ma fu guidata solo dal perseguimento di obbiettivi di valore sociale.

Inspirata dai propri valori morali, era sempre protesa verso gli altri, non solo in senso metaforico, ma anche fisicamente: era solita abbracciare i meno fortunati e i più bisognosi per trasmettere fino in fondo la sua umanità e il senso di protezione verso di loro, a partire dai senza fissa dimora, come diremmo oggi, ma che ai tempi erano “solo barboni” e come tali “intoccabili”.
Di lei hanno anche un ottimo ricordo personale tutti volontari che la consideravano un’amica, attenta nell’ascolto senza essere giudicante, protesa verso le novità e curiosa del mondo e del suo divenire.
Letizia riuscì anche a raccogliere e conservare i documenti storici della Croce Rossa di Pisa che altrimenti sarebbero potuti andare persi durante i numerosi traslochi effettuati dal Comitato.
Aveva una grande passione: la musica. 

Suonava il pianoforte senza spartito ricordando ogni nota a memoria,  e proprio questa sua peculiarità e grande passione furono determinati per comprendere che qualcosa non andava: iniziò dimenticare le sue amate note ... purtroppo una diagnosi infausta l'avrebbe colpita li a poco. 
 
Su questa terra siamo tutti di passaggio, certo, ma Sorella Letizia Da Cascina ha lasciato un’indelebile traccia che ancora oggi è ben visibile e perdura nei cuori di chi ha avuto la fortuna di conoscere lei e il suo operato. 
 
 
16 settembre 1998 Sarà scoperta una stele in ricordo della crocerossina Da Cascina
La Croce Rossa festeggia 90 anni

PISA - Il Comitato Provinciale della Croce Rossa italiana di Pisa, quest'anno festeggia il 90 anniversario della fondazione delle infermiere volontarie della CRI.
Un segno indimentacabile lo ha lasciato l'ispettrice Letizia Da Cascina che dal 1977 al 1990 è stato un punto di riferimento per tutti prima della sua morte prematura.
Il consiglio provinciale della CRI di Pisa ha eretto una stele alla memoria proprio di Letizia Da Cascina, realizzata dallo scultore Merlo che sarà scoperta sabato prossimo alle 16 presso la sede in via Pietrasantina 161/A alla presenza del prefetto e delle massime autorità civili, militari e religiose. [...]
Fonte: Il Tirreno  
 

 Sorella Letizia da Cascina 3

Nel 2005 la stele fu ricollocala nella sede della CRI Comitrato di Pisa in via Panfilo Castaldi, 2 a Opsedaletto - Pisa


 

Ricerca storica: Roberto Marchetti 

 

 

 

 

 

 

Filippo Corridoni
Foto: Filippo Corridoni, rielaborazione dal''originale
Fonte: dal web
 
Filippo Corridoni: L'Apostolo del Lavoro, Eroe della Patria
Nel turbine della Grande Guerra, tra le moltitudini di uomini coraggiosi che hanno sacrificato la propria vita per la gloria e la difesa della patria, c'è un nome che risuona con particolare reverenza nel cuore del popolo italiano: Filippo Corridoni.
Nato a Pausula nelle Marche il 23 ottobre 1888, Corridoni ha incarnato l'essenza stessa dell'eroismo e della dedizione. La sua vita, brevemente tracciata ma intensamente vissuta, è un racconto di sacrificio, ideali ardenti e fede incrollabile nel destino della propria nazione.

La sua giovinezza è segnata dal fervore mazziniano, dalla passione per la giustizia sociale e dall'impegno sindacale rivoluzionario. Dopo aver completato gli studi presso la scuola industriale superiore di Fermo, si trasferisce a Milano nel 1905, dove lavora come disegnatore presso la Miani-Silvestri. Ma la sua vera vocazione risiede nella lotta sociale, nel tentativo di emancipare i lavoratori attraverso il sindacalismo rivoluzionario.
Corridoni abbraccia con fervore le idee di Georges Sorel, Enrico Leone e Georges Hervé, convinto che solo attraverso la lotta di classe i lavoratori potranno ottenere la loro emancipazione. La sua militanza lo porta ad essere un agitatore instancabile, un propagandista infaticabile che incendia le folle con i suoi ideali.

Nel 1907, fonda insieme a Maria Rygier il giornale antimilitarista "Rompete le file", combattendo strenuamente contro la Confederazione Generale del Lavoro e difendendo con ardore le cause dei lavoratori. Le sue esperienze in Italia e all'estero modellano e ampliano le sue concezioni sindacaliste, portandolo a predicare non solo la rivolta delle masse operaie, ma anche quella della borghesia.

Tuttavia, il tumulto della guerra porta una svolta nella vita di Corridoni. Pur rimanendo fedele ai suoi ideali socialisti, vede nella difesa della patria un dovere sacro. Abbandonando le illusioni internazionaliste, si schiera apertamente a fianco di Benito Mussolini per l'intervento italiano nel conflitto. La sua decisione coraggiosa non solo lo porta a fronteggiare il pericolo sul campo di battaglia, ma lo consacra come un eroe nazionale.
Nonostante la sua inabilità alle dure prove della guerra, Corridoni si fa inviare volontariamente al fronte, testimoniando con il suo stesso sacrificio il suo impegno per la causa italiana. La sua visione profetica della vittoria delle armi italiane contro gli Imperi centrali lo anima e lo guida attraverso i campi di battaglia.

La sua morte sul Carso, nella "trincea delle frasche", il 23 ottobre 1915, lo ha reso immortale nel cuore del popolo italiano. Il suo coraggio e la sua dedizione sono stati riconosciuti con la concessione della medaglia d'argento al valor militare, poi trasformata in medaglia d'oro da Benito Mussolini, che lo ha definito "apostolo del lavoro, eroe della patria".

Filippo Corridoni non è soltanto un eroe della guerra, ma un simbolo della determinazione e della passione che hanno guidato l'Italia attraverso quegli anni tumultuosi. La sua vita è un monito per le generazioni future, un richiamo alla fedeltà agli ideali e al sacrificio per il bene comune. Che il suo esempio continui a illuminare il cammino della nostra nazione.
Roberto Marchetti

 

 

Valor militare oro 

Alla sua memoria, con r. d. 30 aprile 1925, è stata concessa la medaglia d’oro al v. m. con la seguente motivazione:

Soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e la parola tutto se stesso diede alla Patria con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la grande guerra, anelante alla vittoria, seppe diffondere la sua tenace fede fra tutti i compagni, sempre di esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi e con sereno ardimento all’attacco di difficilissima posizione e tra i primi l’occupava. Ritto, con suprema audacia sulla conquistata trincea, al grido di Vittoria! Viva l’Italia! incitava i compagni che lo seguivano a raggiungere la meta, finché cadeva fulminato da piombo nemico. – Trincea delle Frasche (Carso), 23 ottobre 1915.

Bibl.: F. Corridoni, Sindacalismo e repubblica, Parma 1921; U. Barni, Corridoni, Roma-Milano 1929; T. Masotti, F.C., l'uomo e la vita, Milano 1926; E. Malusardi, F.C., Torino 1930.

Fonte: treccani, combattentiliberazione.it

Ricerca storica: Roberto Marchetti 

 

 

 

 

“Ugo Antoni è stato e resterà nella mente e nel cuore di chi ha avuto l’onore e il piacere di conoscerlo, una figura di altezza morale e intellettuale di primissimo piano; un pioniere del volo fra i più illuminati; un anticipatore di teorie che trovano conferma nelle attuali e più progredite applicazioni aerodinamiche; un gentiluomo dal volto sorridente e dal cuore sempre giovane che ispirava confidenza e simpatia a prima vista.”
(Ricordo del gen. B.A. Gabriele Casini, comandante la 46a Aerobrigata Trasporti Medi, in occasione della scomparsa di Ugo Antoni il 15 novembre 1967).

Ugo Antoni 1

Ugo Antoni nacque a Pisa il 26 ottobre 1884 da Giuseppe e Vittoria Libera Fascetti. Trasferitosi in tenera età nella provincia, a Peccioli, dove il padre esercitava la professione di veterinario, il giovane Ugo visse a stretto contatto con la natura e proprio tra queste ridenti colline pisane iniziò ad interessarsi al fenomeno del volo. Aveva appena otto anni, quando dopo una lunga e attenta osservazione dei volatili, si costruì due ali rudimentali di canne e stoffa che si fece legare al torace dalla sorella Clara per buttarsi giù dalla sommità di un grosso fico. Il capitombolo che ne seguì… non lo scoraggiò, anzi proseguì con passione quasi morbosa nei suoi esperimenti, realizzando dei modelli “tutta ala” con i quali fece volare, e questa volta con successo, il suo primo passeggero: un ignaro gattino che aveva legato al centro delle ali.
 Questa prima fase della vita di Ugo Antoni è fondamentale per comprendere le sue successive realizzazioni, tutte ispirate al principio del moto esistente in natura. Ugo analizzò infatti non solo le ali dei pennuti, dei coleotteri e dei pipistrelli, ma anche le pinne dei pesci e perfino le membrane di certi semi che le piante abbandonano al vento per riprodursi molto più lontano. Si rese conto che c’era un legame tra loro, ossia una conformazione che, con le dovute differenze, risolveva la necessità del massimo rendimento con il minimo sforzo da compiere.

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Terminato il servizio militare nella Guardia di Finanza a Sondrio, Ugo raggiunse il fratello maggiore Guido a Cagliari dove lavorava come disegnatore presso l’Ufficio Mappe Catastali. Fu assunto anche lui al Catasto e poté così rendere partecipe il fratello dei risultati delle sue lunghe ricerche. Insieme decisero che fosse giunto il momento di passare alla realizzazione pratica.
Appoggiandosi all’officina dell’ing. Cagnoni, costruirono una prima macchina ad ali battenti che battezzarono e brevettarono nel 1906 come “Volumano”. Le prime prove dettero risultati così incoraggianti che decisero non solo di potenziarla – accoppiando alle ali un aerostato fusiforme e successivamente un motore a scoppio – ma addirittura di lasciare l’impiego e di tornare in continente per cercare persone disposte a sostenerli.

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Fu quindi scontato il loro ritorno a Pisa, dove era disponibile una rinomata Università presso cui vi erano ancora amici e compagni di studi sia del padre che dello zio. Guido, che aveva maggiore senso pratico di Ugo, si mosse per primo esponendo le loro teorie in Sapienza. I due fratelli trovarono subito l’appoggio del prof. Dario Bocciardo, titolare della cattedra di fisiologia, e di altri esponenti del mondo accademico come il prof. Aducco e l’on. prof. Angelo Battelli, che videro negli studi di Ugo la base di partenza per una serie di realizzazioni pratiche. Lo stesso cardinale Pietro Maffi, da sempre attento a qualsiasi innovazione scientifica, mise a loro disposizione la limonaia dell’Arcivescovado per impiantare una prima officina.
Successivamente ebbero modo di esporre le loro teorie dinanzi al Re, Vittorio Emanuele III, il quale concesse l’uso del Prato degli Escoli nella Tenuta Reale di San Rossore per condurre gli esperimenti sulle ali battenti e, poco più tardi, per costruire e collaudare il loro primo vero aereo. Era il 1907, anno in cui nacque a Pisa la prima società a carattere aeronautico, denominata dapprima Sindacato Nautico Pisano e poi nel 1909 Società di Aviazione Antoni. Ne facevano parte, oltre ai già citati esponenti del mondo accademico, numerosi cittadini che vi avevano investito i loro risparmi.

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Punto focale della teoria di Ugo era la constatazione che l’ala degli uccelli, proprio grazie al suo spessore ma soprattutto alla sua elasticità, aveva una capacità portante e propulsiva, sia durante il battito che nel volo librato. Si trattava quindi di riprodurre meccanicamente tale fenomeno sulle ali degli aerei. L’inventore pisano non tralasciò tuttavia alcun aspetto del moto nei fluidi e nel 1908 progettò e costruì presso i Cantieri Gallinari di Livorno un originale modello di sommergibile, munito di pinne battenti come i pesci. Le prove ufficiali si svolsero a Livorno il 14 febbraio 1909 alla presenza di autorità nazionali e straniere con risultati lusinghieri.

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Ma furono soprattutto gli studi sul volo degli uccelli che portarono Ugo Antoni a costruire insieme al fratello un’ala a curvatura e profilo variabili dietro comando meccanico del pilota che venne brevettata in tutte le principali nazioni, Stati Uniti compresi. Tale modello, via via migliorato, conferiva al velivolo una grande stabilità ed una grande sicurezza specie alle basse velocità, consentendo di decollare e atterrare in spazi brevissimi.
Nel maggio del 1910 i due fratelli pisani poterono collaudare così il loro vero primo aereo sul Prato degli Escoli a San Rossore per poi trasferirlo presso l’Aerodromo di Cameri, a Novara, per i collaudi ufficiali. I risultati furono incoraggianti, tanto che la Società di Aviazione Antoni decise di costruire altri velivoli di questo tipo e di dotarsi di un proprio campo di volo con relativa scuola di pilotaggio. Dopo vari sopralluoghi, fu scelta una vasta aerea di prato in località San Giusto in Cannicci, a sud della città di Pisa, dove nel giugno del 1911 sorse quello che sarebbe poi divenuto l’attuale aeroporto di San Giusto. Nel contempo la Società Antoni si trovò nella necessità di impiantare anche una propria officina, la prima di questo tipo realizzata a Pisa, non potendosi più appoggiare ai Cantieri Gallinari a causa del loro fallimento.
Nella nuova officina vennero costruiti i nuovi modelli di velivolo monoposto e biposto, tra cui l’eccellente “Modello 1912”, che consentirono alla scuola di pilotaggio di decollare. Il primo pilota a brevettarsi fu il pisano Armando Jacoponi il 26 agosto 1912, seguito da altri allievi, tutti istruiti dai “maestri aviatori” – come si diceva allora – della Società: Alfredo Cavalieri e Nino Cagliani.

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A conferma dell’interesse suscitato da questo originale tipo di velivoli, la Società Antoni ricevette la visita ufficiale del ten.col. Cordero di Montezemolo che, per incarico del Ministero della Guerra, consegnò di persona l’ordine per due monoplani “Modello 1911”. Anche diversi aviatori, reduci dalla Guerra di Libia, si recarono sul campo di San Giusto per provare i monoplani Antoni, rimanendo tutti soddisfatti per le loro eccellenti qualità.
Il”Modello 1912”, in particolare, si rivelò da subito un ottimo velivolo, tanto che i costruttori pisani pensarono di pubblicizzarlo attraverso un’impresa clamorosa che potesse compiere. Dopo aver pensato a vari raid, decisero di farlo volare da Pisa a Bastia in Corsica per tentare di battere il record mondiale di traversata marittima detenuto fin dal 1909 da Louis Blériot con la traversata della Manica. Ci avevano già provato, senza successo, l’americano Mc Curdy con un volo da Key West all’Avana conclusosi con un tonfo in acqua a circa due terzi del percorso, e il francese Edoard Bagué che perse addirittura la vita durante il secondo tentativo di un volo da Nizza alla Corsica.
L’impegnativo incarico della traversata venne così affidato allo spericolato Nino Cagliani, che il 9 ottobre 1912, con un superbo volo di un’ora e 43 minuti, atterrò felicemente a Bastia, polverizzando il precedente primato di Blériot. 

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L’impresa ebbe risonanza internazionale e all’aviatore furono riservate trionfali accoglienze anche a Pisa. Non altrettanto ai due costruttori, che furono esclusi da qualsiasi festeggiamento senza ricevere alcun riconoscimento ufficiale, se non quello degli abitanti della borgata di San Giusto che donarono loro una medaglia d’oro a ricordo dell’eccezionale impresa. In pratica, il fronte “anti-Antoni” si era già messo in moto da tempo: a livello societario per estrometterli dalla conduzione dell’impresa e sfruttare commercialmente le loro realizzazioni, e a livello industriale per il pericolo che la diffusione del loro originale modello di ala rappresentava per gli altri costruttori. Prova ne fu la mancata omologazione del raid da parte dell’Aero Club d’Italia, a differenza dell’Aero Club di Francia che prontamente lo omologò, e il fallimento, dopo appena due mesi dal prestigioso raid, della Società di Aviazione Antoni.
Malgrado fino a quel momento i due costruttori pisani avessero potuto vantare una capace officina aeronautica, due ottimi modelli di velivolo immessi sul mercato, sperimentazioni aerodinamiche d’avanguardia ed una scuola di volo dotata di istruttori esperti, senza aiuti governativi la loro impresa non potè durare a lungo.
 La mancanza di acquirenti dei velivoli fu purtroppo una nota costante dell’attività societaria dei due fratelli pisani benché i loro modelli non avessero nulla da invidiare agli altri aerei dell’epoca, anzi, per certe soluzioni erano nettamente superiori.

A questo punto nella travagliata vicenda dei fratelli Antoni si inserì l’armatore genovese Francesco Oneto, che nel 1913 acquistò dal fallimento quanto c’era di utilizzabile della società, affidandone la direzione al più capace Ugo. Venne realizzato il primo velivolo biplano e riaperta la scuola di San Giusto, tentando con dei raid dimostrativi di risvegliare l’interesse da parte delle autorità militari. Degni di nota furono il volo Pisa-Isola d’Elba-Pisa nel 1914 in occasione delle celebrazioni napoleoniche, e il volo Pisa-Genova-Pisa con atterraggio e successivo decollo da una strada del Lido di Albaro.
Purtroppo neanche queste due imprese servirono per far acquistare qualche velivolo Antoni, poiché i responsabili militari del tempo anziché valorizzare prototipi nazionali si rivolsero sul mercato francese. A nulla valse anche il successivo tentativo dell’armatore Oneto di concedere all’amministrazione militare, a titolo gratuito, il terreno per impiantare una scuola di pilotaggio a fianco di quella già esistente a San Giusto, nella speranza che vedendo volare i velivoli Antoni e con l’approssimarsi ormai dell’entrata in guerra dell’Italia potesse nascere una proficua collaborazione. Anzi, fu l’inizio di una serie di screzi e di incomprensioni che portarono dapprima al divieto per tutti i piloti militari di provare i velivoli Antoni e successivamente alla chiusura d’autorità della scuola civile. Unica consolazione per Oneto fu quella di inserire la propria officina di Pisa nel gruppo di aziende fornitrici del Ministero della Guerra, ottenendo la riparazione e la costruzione su licenza dei velivoli francesi Farman e Blèriot.
La prematura scomparsa nel 1918 dell’armatore Oneto fece approdare a Pisa l’imprenditore genovese Rinaldo Piaggio che rilevò l’officina aeronautica impiantata dagli Antoni. Ciò portò ad una prima separazione tra i due fratelli: Ugo accettò la direzione tecnica del reparto aviazione della SIPE (Società Italiana Prodotti Esplodenti) a Forte dei Marmi dove trasferì alcuni dei suoi velivoli; Guido invece, dopo aver peregrinato nel nord Italia alla ricerca di sostenitori, riuscì a costituire nel 1922 una nuova società, la SIBA (Società Italiana Brevetti Antoni), con sede legale a Firenze ed officina con relativa scuola di pilotaggio sul campo di Coltano, non molto distante da San Giusto.

Superate  non poche difficoltà, tra cui un incidente di volo a Forte dei Marmi che costrinse Ugo a letto per lungo tempo, i due fratelli ripresero a lavorare insieme sul campo di Coltano realizzando due nuovi interessanti velivoli: il biplano Antoni 25 e il biplano a cabina chiusa per trasporto passeggeri Antoni 26 che furono collaudati con successo dal celebre pilota fiorentino Vasco Magrini.
Ma anche questa volta, nonostante la stima e l’appoggio di personalità come Guglielmo Marconi e Gabriele D’Annunzio, i due velivoli rimasero allo stato di prototipi. Proprio il “poeta soldato” in una lettera indirizzata al col. Moizo scrisse a favore di Ugo: “…So che ella protegge e difende ogni sforzo condotto con piena coscienza ed alto favore. Le sarò grato italianamente se vorrà aiutare questo costruttore geniale a vincere i soliti ingombri.”
E di “ingombri” ce ne furono davvero tanti, non ultimo il progressivo deteriorarsi dei rapporti tra i due fratelli fino a quando, nel 1926, Ugo, ormai esacerbato dalle continue azioni di Guido per appropriarsi delle sue invenzioni, abbandonò la SIBA proseguendo da solo i suoi studi ed esperimenti. Fu la fine di ogni rapporto tra i due fratelli che, dopo un ultimo quanto gelido incontro avvenuto a Roma nel 1944, non si videro mai più.
Messo a punto un nuovo e più perfezionato tipo di ala a profilo variabile, Ugo cercò di farlo installare su di un velivolo civile di serie per dimostrare, anche ai più scettici, il miglioramento delle prestazioni ottenibile. Non riuscendo a trovare interlocutori validi in Italia, convinse la società inglese Gloster e nel 1933 si trasferì in Gran Bretagna, dove fondò la società Antoni Safety Aircraft. Le dimostrazioni in volo furono condotte dal pilota Vasco Magrini, utilizzando un monorotore Breda 15 dotato della nuova ala Antoni, e successivamente dal collaudatore della Gloster Stocken, ottenendo in entrambi i casi risultati superlativi.
Purtroppo il sogno di Ugo di veder adottata la sua ala ebbe breve durata e al 33° volo il velivolo, ai comandi di un nuovo pilota inglese, andò distrutto contro un filare di alberi in fondo al campo di Brockwort. Proprio quel giorno era atteso il Ministro dell’Aria inglese per assistere alle prove…
L’inventore pisano gridò subito al complotto e lo stesso fece alcuni anni più tardi, quando il suo Breda 15, ricostruito e collaudato con successo a Guidonia (Roma) nel 1938 da Vasco Magrini e dal cap. Sergio Sostegni, scomparve nel nulla… sul campo romano.
Ugo però non si arrese e tentò ogni altra strada per dimostrare la validità delle sue invenzioni. Nel 1941 presentò tutti i suoi studi al direttore della società Siemens in Italia, ing. Michele Auteri, il quale ne informò tempestivamente la direzione di Berlino. Questa segnalò le invenzioni dell’ Antoni al Ministero dell’Aeronautica del 3° Reich che organizzò subito un incontro a Roma con un loro tecnico. Dopo aver visionato modelli e disegni, il funzionario inviato non ebbe esitazioni nell’affermare che la concezione Antoni era la più interessante e ben studiata tra le oltre cinquemila invenzioni che negli ultimi anni aveva esaminato. Propose ad Antoni di recarsi a Berlino, dove il Ministero dell’Aeronautica stava organizzando un convegno delle più importanti industrie costruttrici di velivoli, in modo da illustrare personalmente le sue invenzioni e concordare una immediata applicazione della sua ala sugli aeroplani di serie allora in costruzione. Tutto era pronto per il viaggio a Berlino quando il precipitare degli eventi bellici vanificò irrimediabilmente questa importante occasione.
Del carteggio con la Luftwaffe trovarono traccia poco dopo gli americani e lo interessò al punto che nell’immediato dopoguerra fecero più volte visita a casa di Ugo Antoni, fotografando e sequestrando disegni e documenti di ogni tipo.
Nel contempo il fratello Guido, resosi conto degli insuccessi a catena delle sue iniziative in campo aeronautico, pensò bene di dedicarsi ad altre attività e sfruttando la laurea ad honorem in ingegneria, soffiata ad Ugo…, divenne imprenditore edile a Firenze dove risiedeva.
Le ultime realizzazioni di una certa rilevanza del geniale Ugo Antoni furono invece nel campo della nautica, con esperimenti riusciti di navigazione subacquea nell’ambito della Mostra d’Oltre Mare di Napoli del 1954.
Quando però nel 1956 apparve sul mercato il caccia imbarcato statunitense F-8 “Crusader”, dotato di un dispositivo alare simile a quello da lui ideato, Ugo si ricordò delle visite fatte dagli ufficiali statunitensi presso la sua abitazione, protestando energicamente perfino con la Casa Bianca, ma senza ottenere alcun risultato essendo ormai scaduto il relativo brevetto.

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Su Ugo Antoni scese a quel punto, inesorabile, l’oblio e solo nel 1962, in occasione del cinquantenario del raid Pisa-Bastia, l’inventore venne ricordato almeno nella sua città, potendo tenere una lezione presso l’aula magna della Facoltà di Ingegneria a senato accademico riunito e presso il Comando della 46a Aerobrigata su quello storico aeroporto di San Giusto che aveva fondato nel 1911 con il fratello Guido.
 
Qualche anno più tardi, il 15 novembre 1967 Ugo Antoni si spense nella sua abitazione di Sant’Angelo a Lucca, portandosi con sé quello straordinario bagaglio di entusiasmo e di genialità ma anche di illusioni e di amarezze che avevano caratterizzato la sua luminosa esistenza.

Fonte: centroaeronauticoantoni

Ricerca storica: Roberto Marchetti 

 

 

 

 

 

Livia Gereschi
Livia Gereschi
(Pisa, 7 gennaio 1910 – Massarosa, 11 agosto 1944)
 

Livia Gereschi, eroina italiana della seconda guerra mondiale: una luce di speranza nei momenti più bui

Sommario:
Livia Gereschi, nata il 7 gennaio 1910 a Pisa, è stata una figura straordinaria durante la Seconda Guerra Mondiale, un'eroica insegnante e infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana. La sua storia di coraggio e sacrificio emerge durante un rastrellamento nazista nei Monti Pisani, vicino a Molina di Quosa, dove si distinse nel salvare donne e bambini. La sua conoscenza delle lingue tedesca e francese e la sua formazione umanitaria presso la C.R.I. la resero una difensore instancabile dei diritti umani in tempi di guerra.

La Vita di Livia Gereschi:
Livia Gereschi proveniva da una famiglia rispettabile di Pisa, con un padre commercialista e una madre insegnante. Fin dal 1932, si dedicò alla Croce Rossa Italiana come infermiera volontaria, svolgendo il suo servizio presso l'ospedale di S. Chiara e l'ambulatorio di Pronto Soccorso fino al 1941. La sua esperienza e la sua formazione la resero una paladina del Diritto di Protezione nei confronti delle persone in difficoltà.

L'Atto di Coraggio:
Durante lo sfollamento della città di Pisa a causa della guerra, Livia si trovò a Pugnano, rifugiandosi in una stalla con sua madre. La notte del 6-7 agosto 1944, le SS tedesche eseguirono un rastrellamento a "La Romagna", trovando principalmente civili. Nonostante le minacce, Livia difese i prigionieri, ottenendo il rilascio di donne e bambini. Tuttavia, lei stessa fu imprigionata e trasferita a Ripafratta insieme agli uomini.

L'Inferno di Nozzano:
Separata dagli altri prigionieri, Livia fu portata a Nozzano sede del centro di comando di Max von Simon, Comandante La 16ª SS Panzergrenadier Division "Reichsführer SS", dove subì torture insieme ad altri. Questo periodo di terrore culminò nella tragica esecuzione a "La Sassaia". Grazie al coraggio di sopravvissuti come Oscar Grassini, il mondo ha appreso delle gesta eroiche di Livia Gereschi e della sua tragica fine.

Un Esempio di Compostezza e Dignità:
Coloro che furono vicini a Livia durante quei giorni ricordano la sua compostezza, dignità e la capacità di consolare i compagni di sventura. Il suo comportamento esemplare rifletteva il coraggio e la maturità di una donna che affrontava l'orrore della guerra con fermezza.

Eredità e Ricordo:
Livia Gereschi, con il suo sacrificio, ha contribuito a preservare la dignità umana in tempi di orrore. La sua storia è tramandata grazie ai superstiti, come Oscar Grassini, che ha portato avanti il ricordo di questa eroina italiana. La memoria di Livia Gereschi è una luce di speranza nei momenti più bui della storia italiana.

Livia Gereschi, un simbolo di coraggio e umanità, rimane un esempio eterno di come un individuo possa resistere all'ingiustizia e alla barbarie in nome della giustizia e del diritto di protezione delle persone vulnerabili. La sua storia dovrebbe continuare a ispirare generazioni future a difendere i valori umanitari anche nei momenti più difficili.

Roberto Marchetti

Fonte: wikipedia

 

 

Di seguito il tragico racconto di quei giorni nelle parole di sua madre Giuseppina Cucci (vedova Gereschi), rilasciate al Capitano dei Carabinieri Arturo Vitali nel 1947 e reperite dallo storico Paolo Pezzino nel Public Record Office di Londra:
Nell’agosto del 1944 mi trovavo assieme a mia figlia Livia Gereschi, sfollata in località Romagna sui monti di Molina di Quosa. All’alba del 7 agosto un reparto della SS tedesca operò una spedizione in detta località col pretesto di scovare i partigiani. Case e baracche furono circondate dai tedeschi e uomini e donne senza distinzioni di età furono fatti uscire di casa e radunati in un grande prato. Gli uomini furono separati dalle donne e gli ufficiali delle SS si rivolsero alle donne per indurle con minacce di morte a rivelare i nomi e le dimore dei partigiani. Poiché nessuna donna parlò, i tedeschi decisero la deportazione di tutti i catturati. Degli uomini furono fatte due colonne: una di coloro che accettarono di lavorare, un’altra di quelli che, avendo accusato una qualche inabilità, avevano chiesto una visita medica. Fra le donne vi era mia figlia, infermiera volontaria della Croce Rossa, la quale parlava benissimo tedesco e fece da interprete ottenendo dopo molte ore che tutte le donne venissero rilasciate. Lei però, senza motivo alcuno, fu trattenuta ed aggregata alla colonna degli uomini invalidi (una settantina) e con essi avviata a piedi a Nozzano ove tutti furono rinchiusi nella scuola locale. In detta scuola mia figlia fece da interprete, ma sempre trattata brutalmente. L'11 agosto i tedeschi cominciarono a far uscire dalla scuola a piccoli gruppi i disgraziati i quali credevano di essere portati a Lucca per la visita medica, come era stato loro fatto intendere, e venivano invero condotti in aperta campagna e mitragliati. Dopo le 17 dello stesso giorno i 29 superstiti tra cui mia figlia furono fatti salire su un automezzo e condotti nella località «La Sassaia» nel Comune di Corsanico. Qui furono fatti scendere dall’autocarro, radunati in un posto solitario e ad un cenno dell’ufficiale uccisi con raffiche di mitraglia. I morenti furono finiti dall’ufficiale con un colpo di pistola. I tedeschi delle SS non vollero che i cadaveri venissero sepolti la sera stessa. Il giorno dopo altri giovani rastrellati dalle SS ebbero ordine di scavare una fossa comune e a mia figlia – unica donna – non fu concesso dai tedeschi di essere sepolta in una tomba a parte. 

Tratto da: Livia Gereschi, insegnante e infermiera. Articolo di Alessandro Colombini, storico
Fonte: gariwo

 

 

 

 

massarosa cippo di sassaia 1
Cippo in ricordo dell'eccidio di Livia Gereschi e delle altre persone del gruppo.
  

 

Onorificenze e decorazioni

CRIArgentoW  Medaglia d'Argento al Merito con Palma alla memoria

 

Intitolazioni
L'Istituto Comprensivo ”Livia Gereschi“ via S. Antonio, 3 Pontasserchio (Pi).
Una piazza all'interno di un complesso abitativo presso San Giuliano Terme (Pi).
Una scuola elementare Livia Gereschi, via Umberto Viale 16, Pisa.
Una via del quartiere di San Francesco in Pisa.

 

Bibliografia 
  • L'eccidio della Romagna. Agosto 1944, Pisa, Comune di San Giuliano Terme, Comitato interparrocchiale per le onoranze ai martiri della Romagna, Associazioni dell'Antifascismo, della Resistenza e Combattentistiche, 1994.
  • Carla Forti, Dopoguerra in provincia: microstorie pisane e lucchesi, 1944-1948, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 24-25, ISBN 88-464-8528-9.
  • Michele Battini, Paolo Pezzino, Guerra ai civili: occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana, 1944, Padova, Marsilio, 1997, ISBN 88-317-6773-9. 
Fonte: wikipedia 
 


 

 

 Ricerca storica: Roberto Marchetti