Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 

Nasce a Carrara (Massa Carrara) il 24 ottobre 1849
Deceduto a Pisa il 3 agosto 1911
Laurea in Giurisprudenza; Docente universitario, Avvocato

Commemorazioni
AP, Camera dei deputati, Discussioni, 24 febbraio 1912
Il Giornale d'Italia, 5 agosto 1911
Corriere della Sera, 4 agosto 1911

 

Il settimanle Il Ponte di Pisa nell'edizione di domenica 6 agosto 1911 ricordava la figura di Emilio Bianchi con questo articolo

A 61anno di età, quando la fibra gagliarda e ben composta aveva fatto sperare che sui lunghi acciacchi del male che lo tormentava da mesi avrebbe avuto presto rivincita, la salute, fra la quotidiana trepidazione dei suoi cari che pietosamente si illusero fino all'ultimo momento di non essere colpiti da si immane sventura, l'on. prof. avv. Emilio Bianchi, si é spento Giovedì sera, lasciando nel lutto profondo la famiglia e nel cordoglio gli amici ed i conoscenti.

La morte di Emilio Bianchi è lutto oltre che di Carrara che lo vide nascere nel 1849 e di Pisa che lo ammirò giovanetto, assiduo ed intelligente negli studi del diritto e poi fatto adulto rappresentante suo elettissimo in tutti gli uffici più importanti, anche della provincia intera che lo corntò fra le sue personalità cospicue.

Anzi, si può dire senza timore di esagerare, che egli fu la prima personalità della nostra provincia. Perché in breve giro di anni, e non gli manco più dopo la stima che in mezzo a tanta simpatia aveva conseguito, lo ebbero caldo, amoroso ed autorevole patrocinatore tutti i più grandi interessi provinciali, e non vi fu elezione politica nella quale il nome suo non fosse desiderato come il segnacolo della tutela pubblica maggiore per ogni collegio. Ma fu modesto di soverchio; e schivò molte volte gli onori e trepido moltissime volte dinanzi ai rumori della vita pubblica, desideroso di rinchiudere tutta l'anima sua fra gli affetti domestici, le affaticate veglie degli studi prediletti e le incessanti cure della professione. 

Emilio Bianchi fu civilista di primo ordine e lo attestano le opere di lui, specialmente quelle di legislazione agraria che gli fruttarono la cattedra universitaria; fu avvocato di grido per l'acutezza e la genialità dell'argomentazione; e professionista provetto dié prova nel lavoro di tutti i giorni di un temperamento tenace, agile e pronto che anche i più giovani gli invidiavano.

Con amore rappresentò il collegio di Lari che cercò di mantenere immune dalla tabe dei mercanti della politica e del danaro; serbó nell'arringo politico la fedele devozione degli spiriti più eletti e ne fu orgoglioso; alla Provincia, dai banchi di consigliere, e da quelli di presidente della deputazione e di presidente del Consiglio - ufficio che teneva ancora - diresse ogni suo pensiero al bene pubblico, si che nel fragore anche più acre delle lotte e delle passioni non scorse intorno a sé nemici ma soltanto avversarii.

Fu presidente della Cassa di Risparmii, del’ Uficio dei Fiumi e Fossi, di Istituti, di Commissioni importanti: e sedette per molti anni nel consesso municipale.

Non vi è stato mai cittadino che nella città nostra e nella provincia abbia ricoperto ufficii più ragguardevoli ed in maggior numero di quelli che Egli ricopri: ed è vanto questo che va reso alla sua intelligenza preclara, alla sua operosità instancabile.

Ebbe, è vero, alcune volte impeti e sdegni che gli procurarono furiose avversioni: ma l'uomo che aveva il temperamento tessuto di nervi come è quello di tutti i lavoratori, aveva un cuore d'oro; e passata la fugace accensione ritornava freddo, pensieroso e per ciò più amoroso di prima, e chi lo conobbe da vicino e ne investigo l'anima, non poté che ammirare i pregi di lui ed tesoro infinito della sua bontà!

A tutti i congiunti di Emilio Bianchi manda il Ponte di Pisa le più vive ed affettuose condoglianze; ma col cuore di vecchio amico io voglio qui ricordare il figlio di Lui, l'avv. Giovan Battista Bianchi, ed esprimergli tutto il dolore che io provo per la morte del suo padre amatissimo. A Bistino, al povero Bistino colpito nel suo affetto più grande, stringo la mano con la effusione della solidarietà fraterna al suo immenso lutto, nella più triste ora dell' angoscia.

E.M.

Fonte:
Camera dei Deputati portale storico 
Il Ponte di Pisa n.32 del 06 agosto 1911
 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Martchetti militare

Nato a Vicopisano (PI), residente a Cascina (Pi).
Diplomato il 31 luglio 1979 presso l’Istituto Tecnico Professionale ”Pacinotti” di Pontedera.
Ho frequentato per alcuni anni l’Università di Pisa (facoltà di Scienze Matematiche e Fisiche con indirizzo Scienze Naturali).
A 22 anni, chiamato alle armi, mi presento il 12 settembre del 1979 al 28°Battaglione “Pavia” a Pesaro e successivamente vengo trasferito presso il 66° Battaglione “Valtellina” a Forlì.
Il 06 maggio 1980  accedo alla Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo dove frequento il 44° Corso.
Il 25 maggio 1981 vengo ammesso al 189° Corso Sottufficiali Piloti di Elicottero (27° SPOE), presso la Scuola di volo dell’ A.M. di Frosinone .
L’11 ottobre 1981 conseguo il brevetto di pilota di elicotteri.
Ho frequentato successivamente corsi per l’ abilitazione su ERI – 3, quello di qualificazione all’Impiego Tattico su ERI- 3.
Il 9 agosto 1982 vengo assegnato al 26° Gruppo Squadroni Elicotteri “Giove” di Pisa.
Ho effettuato oltre 2.500 ore di volo dal 17 giugno 1981 al 31 dicembre 1999.
Ho frequentato il 13° Corso di Amministratore del Sistema Informativo Esercito – Area Logistica (SIE-LOG) presso l’ Ispettorato Logistico dell’Esercito in Roma.
A seguito dello scioglimento del 26° Gruppo Squadroni Elicotteri vengo trasferito il 02 ottobre 2001 presso il 6° Reggimento di Manovra (Caserma Vito Artale), presso il quale sono stato impiegato in qualità di Amministratore di SIGE (Sistema Informativo Gestionale dell’Esercito Italiano) prima e Sottufficiale addetto alla Sicurezza Informatica dopo.
Promosso al grado di 1° Maresciallo nel 2006, sono stato collocato in congedo nella categoria Ausiliaria il 31 dicembre 2014 ed il 1 gennaio 2020 sono stato collocato nella riserva.
 
Quando gli impegni di lavoro me lo hanno permesso ho cercato di curare i miei numerosi interessi tra i quali cito:
  • Formazione di fotoreporter con Angelo Tondini (fotogiornalista internazionale);
  • Formazione Sommelier A.I.S. (Associazione Italiana Sommelier);
  • Master ReiKi con Gyanprem Ricciarelli (ReiKi pratica spirituale usata come forma terapeutica alternativa per il trattamento di malanni fisici, emozionali e mentali);
  • Master PNL presso IIPNL Bologna (Programmazione Neuro Linguistica);
  • Enneatipi con Paolo Quattrini (Direttore dell’Istituto Gestalt di Firenze );
  • Costellatore Familiare con Corinna Grund (Docente internazionale per costellazioni familiari, psicoterapia sistemica e terapia del trauma);
  • Counselor Olistico (SIAF Italia).
  • Corso di formnazione per la protezione dei beni culturali

Nel 2012 entro a far parte di Croce Rossa Italiana, Comitato di Pisa:
  • Delega per la comunicazione 2012
  • Operatore C.R.I. nel settore delle emergenze 2012
  • Delega per Web master 2013
  • Ricerca storica 2014
  • Operatore TLC C.R.I. 2022
 
Motto
Un saggio disse: “Non ti paragonare a nessuno, tieni sempre la testa ben alta e ricorda: non sei né migliore, né peggiore, semplicemente sei tu e questo nessuno lo può superare.
 
Contatti:
Cell.: 347 2794326
 
 
 Vcard Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 
 

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Il corpo volontario dei Cacciatori delle Alpi, comandato dal celebre Giuseppe Garibaldi, fu istituito su decreto reale il 17 marzo 1859. Inizialmente, un deposito fu stabilito a Cuneo, seguito da altri due a Savigliano. Ma a causa del grande numero di volontari, il 16 aprile 1859, si dovette aprire un quarto deposito ad Acqui per creare un nuovo corpo chiamato "Cacciatori degli Appennini".

Alla vigilia dello scoppio delle ostilità, il corpo dei Cacciatori era composto da tre reggimenti, con un totale di circa 3.300 uomini. Nel mese di luglio, si aggiunse un reggimento dei Cacciatori degli Appennini, composto da circa 1.800 uomini, che furono uniti sotto la denominazione di 4° reggimento. Allo stesso tempo, iniziò la formazione di un 5° reggimento.

Garibaldi aveva la responsabilità della difesa delle vallate alpine, e le sue truppe, ora ingrandite da un reggimento di Cacciatori degli Appennini costituito ad Acqui il 16 aprile 1859, erano pronte per la sfida, anche se quest'ultimo reggimento non aveva ancora combattuto.

 

Fonte: ilpostalista

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Nel 1864, nasceva l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL), nota anche come la Prima Internazionale. Questa organizzazione aveva l'ambizioso obiettivo di creare un legame internazionale tra vari gruppi politici di sinistra, tra cui socialisti, anarchici, repubblicani mazziniani e marxisti, così come tra le organizzazioni dei lavoratori, in particolare gli operai. Inoltre, era conosciuta come Associazione Internazionale degli Operai o Lega Internazionale dei Lavoratori.

La Prima Internazionale si era formata a seguito di un incontro tra delegazioni operaie francesi e inglesi a Londra nel 1862, poiché l'esperienza rivoluzionaria del 1848-1849 aveva dimostrato che i problemi dei lavoratori erano strettamente legati tra i diversi paesi. L'organizzazione cercava di coordinare la lotta a livello internazionale, parallela alla coordinazione della repressione da parte degli stati.

Inizialmente, la maggior parte dei membri cercava un compromesso tra operai e industriali. Tuttavia, un gruppo di membri cominciò a promuovere l'idea dello sciopero, il che portò a una crescente radicalizzazione dell'organizzazione. Le riunioni pubbliche divennero un luogo di promozione delle idee socialiste, guadagnando popolarità tra i lavoratori a Parigi.

La Prima Internazionale divenne sempre più politica, attirando l'attenzione del governo imperiale. Ciò portò all'apertura di vari processi legali e alla repressione da parte delle forze di polizia, ma ciò accrebbe il prestigio dell'Internazionale tra la classe operaia.

Tuttavia, questa prima esperienza fu caratterizzata da divisioni ideologiche. L'organizzazione includeva inizialmente gruppi operai inglesi, anarchici, socialisti francesi e repubblicani italiani. Personalità come Karl Marx, Michail Bakunin e altri vi partecipavano. Emerse una disputa tra marxisti e anarchici, con i primi che teorizzavano la conquista graduale della società comunista attraverso la dittatura del proletariato, mentre gli anarchici cercavano un'azione diretta per eliminare immediatamente lo Stato e le istituzioni.

Il conflitto tra Marx e i seguaci di Proudhon portò all'espulsione di questi ultimi. Successivamente, le dispute tra Marx e Bakunin portarono a una rottura definitiva tra anarchici e marxisti. Nel Congresso dell'Aia del 1872, Bakunin e James Guillaume furono espulsi, segnando la rottura definitiva tra le due fazioni. Gli anarchici decisero di continuare l'Internazionale, mentre i marxisti si trasferirono negli Stati Uniti.

Queste divisioni all'interno della Prima Internazionale, insieme alle controversie con i mazziniani e l'opposizione di Mazzini stesso alle teorie basate sulla lotta di classe, alla fine portarono allo scioglimento dell'organizzazione nel 1876.

Fonte: wikipedia

 

 

 Screenshot Fonte bfsopac.org 1

Fonte: bfsopac.org

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

Associazione dei Reduci delle Patrie Battaglie
 
Presumibilmente Giosafatte Baroni, fu Presidente dell' Associazione dei Reduci delle Patrie Battaglie con sede a Pisa.
Riportiamo di seguito un articolo pubblicato da La nazione relativo alla sede di Pontedera, a titolo puramente informativo.
 
Negli anni ottanta del XIX secolo nacque a Pontedera la "Società dei Reduci delle Patrie Battaglie e Fratellanza Militare". Essa aveva lo scopo di non far sopire lo spirito e gli ideali risorgimentali che avevano animato quei valorosi che si erano battuti affinché l'Italia fosse unita. La Società propagandò l'irredentismo e il culto della patria, che mantenne vivo con numerose cerimonie commemorative e raccogliendo chi, a vario titolo e in diversi periodi, aveva partecipato ai moti risorgimentali. Alla sezione di Pontedera che si distinse per l'accesa polemica anticlericale e razionalista, si affiancò nel 1884 la sezione di La Rotta, costituita "fra coloro che presero parte alle campagne del Nazionale riscatto e fra i militari che hanno fatto o fanno parte dell'Esercito".
 
Lo scopo della società, che prevedeva anche "la mutua assistenza morale e materiale, la fratellanza fra tutti i soci, senza distinzione di gradi, di condizioni sociali o di principi politici" portò il 28 febbraio 1882 alla creazione di una speciale sezione denominata "Compagnia di Pubblica Assistenza", che nel 1889 raggiunse l'autonomia aprendosi anche a coloro che non facevano parte della società promotrice, primo embrione dell'attuale Pubblica Assistenza di Pontedera. La Società dei Reduci delle Patrie Battaglie e Fratellanza Militare era ben inserita nel tessuto sociale della città, e pur mantenendo la propria individualità collaborava con le altre società di mutuo soccorso. Sempre attiva per ogni ricorrenza aveva un vasto seguito e le cerimonie che organizzava erano molto partecipate.
 
[...Nel 1888 venne costituito il Sottocomitato Locale di Pontedera, il cui primo Presidente fu il Dottor Francesco Supino e in questo caso si trattava dell'assunzione di quel ruolo importante da parte di un esponente di una notevole famiglia ebrea e, nello stesso tempo, della conferma del ruolo svolto dai medici nell'organizzazione della Croce Rossa Pontedera, del resto, aveva già una base popolare adatta alla nascita della Croce Rossa perché vi esistevano, una Società di Reduci delle Patrie Battaglie dal 1884, Fratellanza Militare a La Rotta 1884 e dal 1886 la Fratellanza Militare nella città stessa. ... ]
 
Una della personalità più importanti della Fratellanza Militare nel primo novecento fu Serafino Boschi. Attivissimo e stimatissimo in città, ricoprì importanti ruoli nell'amministrazione comunale, fu presidente dell'Ospedale "Felice Lotti" nel 1934 e a lungo presidente dei Reduci delle Patrie Battaglie. La Società continuò l'attività almeno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale quando un altro conflitto bussò forte alle porte dei pontederesi.
Michele Quirici
 
Nel luglio 1917 l' associazione dei reduci delle Patrie Battaglie di Pisa si iscrive come socio perpetuo della Croce Rossa versando le 100 lire di prammatica.
 
Fonti:
La Nazione
Storia della Croce Rossa in Toscana dalla nascita al 1914 - studi a cura di Fabio Bertini, Costantino Cipolla, Paolo Vanni. Edizione Franco Angeli
Massimo Vitale "Però mi fo coraggio" Edizioni ETS

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

 

Consolato operaio delle Associazioni liberali della provincia di Pisa

 

Verso la fine del XIX secolo, il panorama politico ed economico europeo vide emergere movimenti sindacali e socialisti che cercarono di affrontare le sfide poste dalla rapida industrializzazione e dalle condizioni di lavoro precarie. Nel decennio del 1890, questi movimenti guadagnarono slancio, influenzando significativamente la politica e la società dell'epoca.


I movimenti sindacali ebbero origine come risposta alle condizioni di lavoro difficili e all'espansione dell'industrializzazione. Gli operai, spesso sottoposti a lunghe ore di lavoro, salari bassi e ambienti pericolosi, cominciarono a organizzarsi per difendere i propri diritti. Gli scioperi divennero uno strumento comune per ottenere miglioramenti nelle condizioni di lavoro e negoziare con i datori di lavoro.


Parallelamente, emersero movimenti socialisti che proponevano una visione più ampia e sistematica del cambiamento sociale. L'obiettivo principale del socialismo era ridurre le disuguaglianze economiche attraverso la nazionalizzazione dei mezzi di produzione e la creazione di una società più equa. Intellettuali come Karl Marx e Friedrich Engels influenzarono profondamente il pensiero socialista, fornendo basi teoriche alla lotta dei lavoratori.

Nel corso degli anni '90 del XIX secolo, i movimenti sindacali e socialisti si consolidarono attraverso la formazione di partiti politici specifici. Paesi come Germania e Gran Bretagna videro la nascita di partiti socialisti e laburisti che cercarono di rappresentare gli interessi dei lavoratori nelle istituzioni politiche. Nel 1891, fu fondata la Seconda Internazionale Socialista, un'organizzazione che cercava di coordinare gli sforzi dei partiti socialisti in tutto il mondo.

Questi movimenti affrontarono ostacoli significativi, tra cui la resistenza delle élite industriali e politiche. Tuttavia, il loro impatto a lungo termine fu innegabile. Nel corso del XX secolo, le idee socialiste influenzarono le politiche di molti paesi, contribuendo alla creazione di sistemi di welfare e a una maggiore protezione sociale per i lavoratori.

In sintesi, i movimenti sindacali e socialisti degli anni '90 del XIX secolo rappresentarono una risposta organizzata alle sfide dell'industrializzazione, plasmando il modo in cui la società affrontò le questioni legate al lavoro e alla giustizia sociale.

Roberto Marchetti

 

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

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Promuovete questa opportunità anche presso le aziende e partite iva che conoscete.
Da questo gesto apparentemente senza valore e senza nessun onere per chi lo farà, può dipendere invece l’acquisto di uniformi, di veicoli, di attrezzature, lo sviluppo di nuovi progetti, il sostegno alle vulnerabilità.
Aiutateci a diffondere questo appello.
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Cardinal Pietro Maffi
Foto: wikipedia

 

Nacque a Corteolona, presso Pavia, il 12 ott. 1858 da Luigi e da Clementina Manenti. Compiuti gli studi ginnasiali nelle scuole pubbliche, nel 1873, entrò nel seminario di Pavia, dove, dall'ottobre 1876 al giugno 1880, frequentò i corsi di teologia. Il vescovo A. Riboldi attribuì al M., non ancora sacerdote, l'insegnamento di fisica e storia naturale nello stesso seminario, incarico che il M. tenne ininterrottamente sino alla primavera del 1901. Nel frattempo, il 17 apr. 1881, fu consacrato sacerdote a Pavia.
Già professore di scienze matematiche nei seminari di Monza e di Milano, il vescovo Riboldi rinnovò profondamente la didattica nel seminario pavese che si ridefinì alla luce delle esigenze neotomiste manifestate dall'enciclica Aeterni patris (1879). Il M. seguì fedelmente l'indirizzo del proprio vescovo che era amico di molti uomini di scienza e si recava spesso a Brera. A tal proposito, una delle prime iniziative del M. fu il rinnovamento del gabinetto di fisica e di storia naturale del seminario pavese, fondato dal vescovo A. Tosi nella prima metà del secolo. L'attività culturale di mons. Riboldi fu vista con benevolenza da parte del pontefice, anche perché la sua apertura verso la scienza moderna era associata a una netta posizione intransigente.


Durante il ventennio d'insegnamento, il M. si consacrò quasi completamente agli studi scientifici, per i quali si servì principalmente della Revue des questions scientifiques del gesuita I. Carbonelle, degli scritti di un altro gesuita, A. Secchi, e del barnabita F. Denza, all'epoca direttore dell'osservatorio del collegio Carlo Alberto di Moncalieri. In collaborazione con l'osservatorio di Brera e con lo stesso padre Denza, il quale, nel 1881, fondò la Società meteorologica italiana, il M. realizzò alcuni progetti in astronomia, geofisica e meteorologia. Dopo la nomina a prorettore del seminario, avvenuta nel 1886, al M. si presentarono maggiori opportunità per la realizzazione di alcuni progetti. Il 30 nov. 1890, giorno di inaugurazione dell'osservatorio astronomico nel seminario pavese, il M. pronunciò un discorso su La meteorologia del clero, in cui è sintetizzato il suo credo scientifico. Nel criticare il clima anticristiano alimentato dalla cultura positivistica, il M. si faceva interprete di una scienza che, in chiave neotomistica, sostenesse la fede.
L'attività scientifica del M. fu vastissima, dall'astronomia alla meteorologia, dalla sismologia alla scienze naturali. Nel 1895, inviò alla Società astronomica universale le sue osservazioni delle Perseidi, e, sempre negli stessi anni, progettò un nefoscopio per l'osservazione delle nuvole e un altro apparecchio per la misurazione delle acque del sottosuolo di Pavia. Ancora più noti furono i suoi globi meteoroscopici, uno dei quali figurò all'Esposizione universale di Parigi del 1900. Il tentativo di ripetere sulla cupola del duomo di Pavia l'esperienza che L. Foucault aveva compiuto al Pantheon, a Parigi, non fu invece portato a termine per l'opposizione dello stesso vescovo Riboldi, al quale il progetto parve la profanazione di un edificio sacro.

I risultati conseguiti valsero al M. importanti segni di stima da gran parte delle società scientifiche. Fu membro dell'Associazione meteorologica italiana (3 maggio 1892), della Società italiana di scienze naturali (4 marzo 1896), dell'Accademia di religione cattolica (febbraio 1898), della Société astronomique de France (2 nov. 1898), dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei (12 apr. 1899), della Società astronomica italiana (20 dic. 1909). Infine, nel 1904, fu nominato presidente della Specola vaticana.
Sin dai primi anni Novanta, la reputazione conquistata in campo scientifico, come anche la particolare simpatia con cui lo stesso pontefice Leone XIII guardava alle iniziative del vescovo Riboldi, valsero al M. l'attenzione di G. Toniolo, il quale, con lettera del 9 sett. 1892, lo invitò a Genova, al primo congresso scientifico dell'Unione cattolica per gli studi sociali. Allora, la cultura cattolica si trovava agli inizi della stagione politica e culturale aperta dall'enciclica Rerum novarum (1891) che, proprio nell'attività organizzativa di Toniolo, aveva uno fra i suoi vettori più dinamici. Nel settembre 1899, grazie all'appoggio di mons. Riboldi e del vescovo di Padova, G. Callegari, Toniolo fondò la Società cattolica italiana per gli studi scientifici che comprendeva cinque sezioni. La terza, quella per gli studi fisici, naturali e matematici fu affidata alla presidenza del M., il quale - grazie anche ai sussidi di mons. Riboldi - fu direttore della rivista della sezione, la Rivista di fisica, matematica e scienze naturali (nata a Pavia il 1 genn. 1900 con la benedizione di Leone XIII, e uscita sino al 1912).


Il M. associò a questa attività anche pubblicazioni di carattere divulgativo, tra cui il volume Nei cieli: pagine di astronomia popolare (Milano 1896). Tali opere furono date alle stampe al fine di contribuire alla qualificazione scientifica degli insegnanti di scienze naturali, soprattutto di quelli ecclesiastici. Più propriamente apologetiche furono le Riflessioni sui nostri doveri davanti alla scienza moderna e alla fede (Pavia 1898) e il breve discorso, Dio nella scienza pronunciato nel febbraio 1903 (confluito in P. Maffi, Scritti vari, Siena 1904, pp. 419-430). Il M. coltivò anche la storia della scienza che coniugò, talvolta, con quello per i grandi autori della letteratura italiana: nel 1898 dette alle stampe La cosmografia nelle opere di Torquato Tasso con l'intenzione di far conoscere le premesse cinquecentesche di quella "grande giornata d'oro dell'astronomia" che, ad avviso del M., fu il XVII secolo. Testimonianza dei suoi interessi letterari furono anche due romanzi che il M. pubblicò negli anni Novanta, in appendice a Il Ticino (giornale cattolico di Pavia di cui il M. fu fra i più assidui redattori): Fior che muore (1894) e Gli sparvieri (1898).
Il 15 apr. 1901 mons. Riboldi fu nominato arcivescovo di Ravenna. Non volendo privarsi della collaborazione del M., lo scelse quale proprio vicario generale il successivo 6 ottobre. Il 25 apr. 1902, il nuovo arcivescovo morì. Cinque giorni più tardi, un decreto della congregazione del Concilio nominò il M. amministratore apostolico dell'arcidiocesi ravennate. L'11 giugno, Leone XIII lo consacrò vescovo titolare di Cesarea di Mauritania e lo elesse ausiliare di Ravenna. Poco più di un anno dopo, durante il concistoro del 25 giugno 1903, il M. fu designato arcivescovo di Pisa.


Il primo decennio del M. a Pisa si svolse in stretto rapporto con le imponenti trasformazioni che allora stavano investendo il movimento cattolico nella fase finale dell'Opera dei Congressi, sciolta definitivamente nel 1904. Rispondendo a quella ricerca di forme nuove della presenza cattolica nella società, manifestate dal nuovo pontefice, Pio X, il M. si mantenne sempre fedele all'idea di un cattolicesimo tanto più impegnato politicamente e socialmente rispetto ai trent'anni precedenti quanto costantemente regolato dal magistero dei vescovi e del papa. Nel corso del suo episcopato, compì quattro visite pastorali, si impegnò per la nascita di casse rurali, casse operaie, associazioni di mutuo soccorso, fondò un'opera per gli asili infantili che furono incoraggiati in tutte le parrocchie. Testimonianza dei suoi orientamenti fu la settimana sociale di Pistoia (23-28 sett. 1907) in cui si discusse sulla cooperazione, sulle associazioni femminili, sull'educazione della classe operaia, sulla scuola, sulla questione dell'emigrazione. Anche nel seminario pisano, che il M. riorganizzò potenziando l'insegnamento scientifico, fu introdotta la cattedra di sociologia ed economia, affidata a Toniolo.
Tanta operosità fu riconosciuta da Pio X che lo nominò cardinale durante il concistoro del 15 apr. 1907. La designazione avrebbe comportato il trasferimento del M. a Roma, ma una commissione, formatasi spontaneamente tra alcuni cattolici pisani e presieduta da Toniolo, convinse il papa, nel corso di un'udienza, a lasciare che il nuovo cardinale rimanesse a Pisa mantenendo l'ufficio arcivescovile.


Su un piano strettamente politico, il M. cercò sempre di mediare con le posizioni murriane, senza mai prestare loro il proprio consenso. A quest'opera di mediazione fu obbligato dal notevole ascendente che R. Murri aveva sulle opinioni dei giovani toscani - con l'importante eccezione di alcuni gruppi fiorentini e livornesi - sin dal III Convegno regionale democratico cristiano, tenutosi proprio a Pisa il 28 apr. 1902. In realtà, nonostante l'opera di mediazione, alla quale il suo ruolo pastorale lo vincolava, il M. fu sempre convinto della necessità di un'alleanza dei cattolici con i liberali e con i monarchici. Proprio con la monarchia, grazie alla vicinanza della residenza reale di S. Rossore, il M. avviò nel corso degli anni una costante opera di riavvicinamento. Segno di questo rapporto fu la nomina del M. a cavaliere di gran croce, con il motu proprio del re del 26 ag. 1919. Durante la guerra di Libia, il M. si allineò pubblicamente alle posizioni filonazionalistiche della Società editrice romana, il trust di G. Grosoli, cui fu legato per tutta la vita da sincera amicizia. Oltre a comportare alcune tensioni con il papa che criticò il trust nella famosa Avvertenza del dicembre 1912, la scelta del M. causò un allentamento dei rapporti con alcuni esponenti della gioventù cattolica dell'arcidiocesi, tra i quali G. Gronchi che, in occasione delle elezioni del 1913, dichiarò di disinteressarsi delle raccomandazioni della direzione diocesana. Anche durante la prima guerra mondiale, alla luce dell'avvicinamento compiuto tra il movimento nazionalista e una parte dello schieramento cattolico al congresso di Milano del maggio 1914, il M. lasciò intendere chiaramente la propria posizione. Celebre fu, a tal proposito, il discorso Per il trionfo delle nostre armi (11 luglio 1915) che, sin dal titolo, non lascia adito a dubbi sulle caratteristiche del nazionalismo del Maffi.


Dal 1924 egli si adoperò per la soluzione della questione romana, sfruttando i legami personali che aveva da lunga data con l'ex popolare P. Mattei Gentili, sottosegretario al ministero della Giustizia e degli affari di culto, e con altri esponenti del movimento cattolico filofascista Centro nazionale italiano.
Il M. morì a Pisa il 17 marzo 1931.


Fonti e Bibl.: Le carte del M. sono conservate presso la Biblioteca arcivescovile di Pisa, Arch. privato Maffi. Un'informazione dettagliata su tutte le pubblicazioni del M. è in A. Spicciani, Gli scritti di P. M., in Il cardinale P. M. arcivescovo di Pisa. Primi contributi di ricerca, tavola rotonda, 1982, Pisa 1983, pp. 157-163. Oltre a questo volume, punto di partenza per ogni studio sul M., sono da vedere: I. Felici, Il card. M., Roma-Milano 1931; P. Stefanini, Il card. M., Pisa 1958; L. Righi, Una porpora prestigiosa, Fiesole 1978; F. Ingrasciotta, Il cardinale P. M. e la sua attività pastorale a Pisa, 1904-1931, Pisa 1984; M. Andreazza, Alle origini del movimento cattolico pisano: il card. P. M. e il prof. G. Toniolo, Pisa 1991; La Biblioteca arcivescovile "Cardinal Maffi", a cura di G. Rossetti et al., in Galileo e Pisa, a cura di R. Vergara Caffarelli, Ospedaletto-Pisa 2004, pp. 97-120.
di Filippo Sani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

Fonte: treccani
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

MEMFI

Il Menfi fu requisito come nave ospedale della Regia Marina ed ebbe a bordo come infermiera S.A.R. la Duchessa D'Aosta.

Armatore: Sicilia navigazione

Fonte: naviearmatori.net

Sulla Menfi l'equipaggio era così composto: 1Maggiore medico, 1Maggiore commissario, 1Capitano medico, 4Tenenti medici, 1Sottotenente medico, 1Tenente farmacista, 1Sottotenente commissario, 1Capitano Cappellano, 1Furiere maggiore, 5Caporal maggiori, 1Caporale, 8militi, 24 infermiere volontarie.
 


Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

La duchessa crocerossina

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Nel 1908 viene inaugurata a Roma la scuola per infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana e l’anno dopo fra le allieve in divisa bianca c’è anche una signora sottile ed elegante. La nuova aspirante crocerossina si chiama Hélène d’Orléans ed oltre ad essere altissima, affascinante ed energica è anche la moglie di Emanuele Filiberto di Savoia duca Aosta, cugino di re Vittorio Emanuele III. La prestigiosa adesione viene salutata con la massima soddisfazione dai vertici italiani della Cri, poiché la principessa è, come si direbbe oggi, una persona molto dinamica e la cosa in giro si sa. Ispettrice Generale delle Infermiere Volontarie dal 1911, la duchessa crocerossina partecipa alla sua prima missione sulla nave ospedale Menfi che rimpatria i soldati feriti o malati dalla Libia. Nel 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Hélène inizia a visitare ospedali grandi e piccoli lungo tutta la linea del fronte, quello che vede spesso non le piace, ma lei non è certo il tipo da stare zitta e far finta di nulla. “Grazie al suo spirito organizzativo – racconta il nipote, il principe Amedeo attuale duca di Aosta – e insieme a validissime collaboratrici, riuscì ad organizzare il Corpo delle Infermiere Volontarie e a gestire una logistica non facile, con le crocerossine sempre a fianco dell’esercito, che svolgevano la loro missione fin nei luoghi più avanzati del fronte. Grazie al suo forte carattere riuscì ad imporre le sue infermiere in seno ad un ambiente sanitario e militare che fino ad allora tendeva a considerare le donne solo alla stregua di buone samaritane e non certo professioniste preparate e motivate quali erano; bastò poco comunque perché le Sorelle si facessero conoscere ed apprezzare per il loro prezioso lavoro”. La duchessa di Aosta durante tutti gli anni della guerra si impegna in prima persona e, come testimoniano i suoi superiori, dà prova di coraggio, resistenza alla fatica ed ai disagi, e grande efficienza. Ma è anche pronta a protestare quando si trova di fronte a situazioni insostenibili dal punto di vista medico e sanitario. Energica, piena di iniziativa e di una severità che la fa giudicare intransigente (ma ci voleva specie nei primi tempi della guerra) Hélène non si lascia intimidire dalle greche del generali a cui rivolge le sue richieste di provvedimenti. La duchessa crocerossina non ha paura, né dei bombardamenti, spesso resta in prima linea accanto ai soldati, né dei vertici dell’esercito e per tutti gli anni del conflitto combatte una sua personale lotta contro l’inefficienza e le disposizioni assurde. Il diario che tiene in quel periodo è ricco di annotazioni sui feriti trasportati in carri bestiame nei quali le condizioni igieniche sono disastrose, sugli ospedali disorganizzati e sporchi, ma anche sulle strutture dove l’assistenza funziona come si deve. Donna di gran cuore la duchessa crocerossina è spesso vicina ai malati e ai feriti in un modo non certo convenzionale per una signora dell’alta società per di più reale; a Venezia ad esempio non esita ad assistere fino all’ultimo minuto, tenendolo stretto fra le sue braccia, un giovane fante moribondo che nel delirio l’ha scambiata per la madre. “Dai numerosi diari, lettere ed altri scritti di infermiere volontarie – osserva il nipote – si evincono soprattutto le doti di profonda umanità, compassione e bontà (non disgiunta mai da fermezza) della loro ispettrice generale. Sempre preoccupata anche del benessere fisico e psicologico delle sue ‘figliole’ come spesso chiama le sue infermiere o col termine stesso di “sorelle di carità” da lei usato in una commemorazione e che sostituirà definitivamente quello di ‘dame’ utilizzato fino ad allora”.

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Hélène in abito da sposa

Italiana per matrimonio e francese per origini, Hélène è inglese di nascita, ma assolutamente europea per conoscenze, frequentazioni, cultura, studi e abitudini. La principessa, nata a Twickenham nei pressi di Londra il 13 giugno 1871, è infatti una delle figlie di Luigi Filippo “conte di Parigi”, condannato all’esilio in quanto pretendente al trono di Francia. La futura duchessa d’Aosta, che ha una sorella regina del Portogallo e per via materna discende dai Borboni di Spagna, cresce fra Villamanrique, una grande finca vicino a Siviglia, e la Gran Bretagna dove frequenta la corte inglese e ha come compagni di giochi i figli del principe di Galles, futuro re Edoardo VII. Le relazioni sono così strette che una storia d’amore fra i rampolli reali è quasi inevitabile: il duca di Clarence primogenito dell’erede al trono, non resiste al fascino di Hélène, le fa una corte assidua, si comincia a parlare di nozze, ma il padre della principessa, nonostante il prestigio di una tale unione, pone un veto deciso ed irremovibile. Hélène non può abiurare al cattolicesimo, conditio sine qua non per salire sul trono d’Inghilterra, e lo stesso papa Leone XIII fa sapere che una scomunica seguirebbe a ruota ad una eventuale conversione della principessa francese alla chiesa anglicana. Così il matrimonio inglese sfuma. Lui ci rimane molto male, però si fidanza prontamente con un’altra perché la dinastia ha bisogno di eredi, ma una polmonite lo stronca poco prima delle nozze e la promessa sposa passa velocemente al fratello. Saranno re Giorgio V e la regina Mary. Come volergliene alla povera Mary per questo frettoloso rimpiazzo, sapendo che il defunto fidanzato nell’agonia aveva invocato solo la perduta Hélène?

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Emanuele Filiberto duca d’Aosta

Sempre per questioni di fede e di abiure non contemplate va a monte anche un altro progetto matrimoniale, quello con lo zarevic Nicola, figlio dello zar Alessandro III, così Hélène a 23 anni è ancora insolitamente (per la sua epoca e per il suo ceto sociale) nubile. Ci vuole un lutto per cambiare drasticamente la situazione. Al funerale del padre nel 1894, Hélène solleva per un attimo il fitto velo nero ed incontra lo sguardo di Emanuele Filiberto duca d’Aosta, inviato dallo zio re d’Italia a rappresentare i Savoia. Un’occhiata rapidissima, ma più che sufficiente. L’unione, per quanto dinasticamente perfetta, però non è vista di buon occhio in Italia e lo sposo fatica a portare all’altare la sua principessa francese la quale oltre ad un albero genealogico impeccabile pare abbia anche una buona dote (e forse persino qualche lascito dal prozio duca di Aumale), il che non dispiace allo squattrinato duca d’Aosta. I motivi delle perplessità sabaude sono politici (con la Francia i rapporti non sono cordiali) e di opportunità visto che il principe ereditario Vittorio Emanuele è ancora scapolo. Il duca di Aosta la spunta ed il 25 giugno 1895 sposa finalmente Hélène, ma l’accoglienza in Italia è freddina, la principessa cosmopolita, padrona di quattro lingue, colta, a suo agio nell’alta società internazionale, viene guardata quasi con timore da una corte recente e tutto sommato ancora abbastanza provinciale. Il commento apparentemente benevolo della regina Margherita ha un retrogusto al veleno: “per educazione e per fisico è una vera inglese, la dicono buona, intelligente e colta, diventerà una bella donna”. La prima sovrana d’Italia non solo odia cordialmente tutto quanto connesso con la Francia, ma soprattutto ha un figlio che non è un adone (al contrario di tutti i Savoia Aosta) e che non riesce ad accasare. Con il resto della famiglia non va meglio, il principe ereditario è per carattere scontroso e diffidente, la matrigna del marito Letizia Bonaparte, contrarissima alle nozze, mantiene la sua posizione ad oltranza, i cognati uno dedito ai cavalli, l’altro alle esplorazioni (è il famoso duca degli Abruzzi) sono praticamente invisibili, solo il re è cordiale. Così Hélène si butta sulla beneficenza e nel frattempo mette al mondo due figli Amedeo e Aimone che educa secondo il severo modello britannico. Il matrimonio ad ogni modo funziona molto bene e una reale complicità nasce fra i due sposi che non prendono mai decisioni senza il consiglio l’uno dell’altro. Negli anni ci saranno cedimenti e da una parte e dall’altra, ma la coppia resterà sempre unita e solidale. Hélène ha le “physique du role” e lo stile della vera principessa, è brillante, elegante, raffinata, originale e quindi diventa presto molto popolare fra tutte le classi sociali della nuova nazione. Compiaciuta per il rispetto che le dimostrano gli italiani la duchessa di Aosta sposa gli interessi e le cause del suo nuovo paese e la “figlia di Francia” diventa rapidamente più italiana degli italiani.

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Hélène con il marito, i due figli e la madre l’infanta Isabella (figlia a sua volta di Luisa Fernanda sorella della regina Isabella II di Spagna) vedova del conte di Parigi, pretendente Orléans al trono di Francia

La principessa però non gode di buona salute, è spesso febbricitante ed una tosse stizzosa la lascia sovente senza forze, i medici diagnosticano una tubercolosi e, come si usava all’epoca, le consigliano un lungo soggiorno nei climi caldi. La duchessa parte nel 1907, arriva in Egitto e poi si spinge fino all’Oceano Indiano. Torna in Italia giusto in tempo per accorrere a Messina dove presta assistenza alle popolazioni colpite dal disastroso terremoto, il che non giova alla sua salute, così nel 1908 riprende i suoi viaggi, ma questa volta si dirige verso sud, Sudafrica, Rodhesia, poi l’anno dopo Kenya e Somalia. I paesi lontani e sconosciuti l’attraggono in modo irresistibile, nel 1913 arriva fino in Asia, visita l’India, Ceylon, l’Indocina, il Borneo, Sumatra, l’Australia, la Nuova Zelanda, torna attraverso gli Stati Uniti, il Canada e la Spagna. La malattia ormai è solo un ricordo e durante questi lunghi peripli prende appunti che diventeranno dei libri: “Viaggi in Africa”, “Verso il sole che si leva”, “Vita errante”, “Attraverso il Sahara”. Nel frattempo è diventata crocerossina, è stata nominata Ispettrice Generale (lo resterà fino al 1921), ha fondato l’Opera Nazionale di Assistenza all’Italia Redenta e D’Annunzio l’ha celebrata con versi non particolarmente belli, ma molto esaltati. Hélène per il Vate è la personificazione della amatissima Francia unita alla regalità italiana; per la duchessa la “La canzone di Elena di Francia” la sesta delle “Canzoni d’Oltremare” è invece la consacrazione ad eroina sabauda.

Foto5bisE quegli ch’ebbe stritolato il mento/dalla mitraglia e rotta la ganascia,/e su la branda sta sanguinolento/e taciturno, e i neri grumi biascia,/anch’egli ha l’indicibile sorriso/all’orlo della benda che lo fascia,/quando un pio viso di sorella, un viso/d’oro si china verso la sua guancia,/un viso d’oro come il Fiordaliso./Sii benedetta, o Elena di Francia,/nel mar nostro che vide San Luigi/armato della croce e della lancia”. Hélène ammira D’Annunzio per l’eroismo, ma è infastidita da certi aspetti del suo carattere e della sua personalità di uomo libertino e miscredente. Infatti la principessa anticonformista, amica di intellettuali e massoni, è profondamente religiosa e vive il suo rapporto con il cattolicesimo in una maniera intensa e priva di ostentazione.

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Nel 1905 i duchi di Aosta si trasferiscono a Napoli e nel palazzo di Capodimonte Hélène tiene una corte splendida e il suo prestigio diventa quasi quello di una regina. Stimata dalla Chiesa per la sua devozione e la sua carità ossequiata dalle autorità, popolare fra la gente, la duchessa visita i bassi di Napoli e fra la miseria più nera si muove con naturalezza; persino Matilde Serao, la potentissima giornalista de “Il Mattino” le dimostra una certa simpatia.

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Allo scoppio della I Guerra Mondiale la principessa, interventista fin da subito, è al fronte con il marito, comandante della III Armata, ed i figli di 17 e 15 anni. Ottiene una medaglia d’argento al valor militare due croci al Merito di Guerra, due onorificenze francesi, una inglese, e la medaglia Florence Nightingale, ma il drammatico conflitto lascia su di lei una impronta indelebile, scrive: “niente potrà cancellare la visione mostruosa della guerra”. Nel 1919 riprende a viaggiare, ma rientra per manifestare la sua adesione all’impresa dannunziana di Fiume, recandosi nella città contestata accolta dal poeta, ed attirandosi così i fulmini del Governo. Nitti la definisce una “lady Macbeth” che, “nella più pura tradizione di tradimento degli Orléans, sta lavorando per spodestare il ramo principale della casata a favore del marito e dei figli”.

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Una celebre foto, da sinistra il duca d’Aosta, Hélène, e i figli Aimone e Amedeo, tutti e due altissimi e molto belli

Con Mussolini la duchessa ha rapporti amichevoli tanto che il libro sulla sua esperienza al fronte, pubblicato nel 1930 “Accanto agli Eroi. Diario di guerra” ha la prefazione del Duce. Il capo del Governo è sempre deferente verso di lei, accontenta le sue richieste, tollera le asprezze del suo carattere in sostanza se ne fa un’alleata, ma pare che ad un certo punto Mussolini si sia irritato per la mania della duchessa di farsi ritrarre nei suoi sempre molto frequenti viaggi in Africa assieme alle popolazioni locali.

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Il duca e la duchessa d’Aosta escono da una udienza al Vaticano, il figlio Aimone racconterà che la madre si era messa a discutere con il Papa al quale aveva chiesto di intervenire per risolvere un problema legato ad un istituto benefico.

Emanuele Filiberto muore all’improvviso nel 1931, ma lei resta a Capodimonte (dove si installa anche il secondo marito il colonnello Otto Campini, sposato nel 1936) e nonostante l’età e la malattia ai polmoni conserva una stupefacente energia fisica e nervosa. In quel periodo un affetto particolare la lega alla principessa di Piemonte, Maria José del Belgio come lei intelligente, anticonformista, priva di pregiudizi, di mentalità aperta al limite della stravaganza. Sono anche gli anni in cui i figli si sposano, Amedeo con Anna d’Orléans, cugina per parte di madre e per parte di padre, Aimone che all’epoca era considerato uno degli uomini più affascinanti d’Italia, con Irene di Grecia.

Nel palazzo di Capodimonte la duchessa rimane durante tutto il secondo conflitto mondiale e nei giorni dell’occupazione nazista è il suo coraggio a salvare una situazione disperata. “Un giorno un soldato tedesco viene colpito da una fucilata tirata da una finestra del palazzo – racconta il nipote Amedeo – poco dopo si presenta un colonnello delle SS insieme ai suoi uomini armati di mitragliatrici e dopo aver fatto allineare contro un muro tutti i domestici chiede di denunciare il colpevole. Mia nonna scende dai suoi appartamenti e dice al colonnello: ‘signore, in questo palazzo niente si fa senza che io lo sappia. Dunque sono l’unica responsabile. Se lei ha qualcosa da dire o da fare è a me che si deve rivolgere’. L’ufficiale impressionato sparisce con i suoi soldati. A Napoli ancora se ne parla”.

Sono anni di grandi dolori, la morte dei figli lontani (Amedeo, prigioniero degli inglesi nel 1942, Aimone a Buenos Aires nel 1948), la fuga del re, il referendum che cancella la monarchia, ma Hélène resiste e va avanti. Dopo il 2 giugno 1946 si ritira in un albergo a Castellammare di Stabia e quando Umberto impone a tutta la famiglia di lasciare il paese la duchessa non si muove. “Sire – fa sapere al re – sono diventata italiana e resto in Italia”. L’ultimo gesto di amore nei confronti di quella che è ormai la sua patria è il dono, nel 1947, alla Biblioteca Nazionale di Napoli del Fondo Aosta, costituito dalla Raccolta libraria (oltre 11.000 volumi ed opuscoli), ed anche dalla straordinaria Raccolta africana e da una notevole Raccolta fotografica. Hélène d’Oléans duchessa di Aosta muore a Castellammare di Stabia il 21 gennaio 1951.

Fonte: altezzareale.com
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

foto collezione Silvio Fioravanti

(foto collezione Silvio Fioravanti)

Il terremoto della Garfagnana e Lunigiana fu un disastroso evento sismico avvenuto il 7 settembre 1920, che colpì le due regioni storiche della Toscana, tra le provincie di Lucca e Massa Carrara causando, secondo le stime dell'epoca, 171 morti e 650 feriti.
È stato uno degli eventi sismici più distruttivi registrati nella regione appenninica nel ventesimo secolo: fu il più forte mai registrato in Toscana in tempi storici, nonché quello con il più alto numero di vittime del novecento, superando quello avvenuto l'anno precedente in Mugello. Grazie alla buona copertura di notizie, alla disponibilità dei documenti ufficiali sui danni e all'abbondanza di registrazioni da stazioni di sorveglianza in tutta l'Europa, è stato considerato come un caso di studio di prim'ordine per migliorare la conoscenza della tettonica e dell'analisi macrosismica.

La zona dell'epicentro è situata tra l'Appennino tosco-emiliano e le Alpi Apuane, sopra un'area di subduzione tra la placca adriatica e tirrenica; la regione, attraversata da diversi sistemi di faglie attive, presenta variazioni notevoli nella composizione del terreno. La zona è stata interessata da fenomeni di tettonica estensionale dal tardo Miocene al Pliocene. Questa estensione è il risultato dello stesso processo che ha aperto il mar Tirreno durante lo stesso periodo. L'estensione continua ha portato ad una serie di faglie orientate prevalentemente in senso nordovest-sudest, che delimitano bacini riempiti da sedimenti più recenti.

L'evento del 7 settembre fu preceduto durante il giorno precedente da scosse di minore intensità: alle 16:25 da una scossa del sesto grado Mercalli, alle 22:30 da un'altra del quarto grado Mercalli. Il sisma del 7 settembre, alle ore 7:56, interessò un’area di circa 160 km² nella Toscana settentrionale, ai confini con la Liguria: all’epicentro l'intensità registrata fu del IX-X grado della scala MCS (Mercalli Cancani Sieberg). La scossa provocò gravi danni in numerosi centri abitati delle province di Lucca e Massa, radendo al suolo completamente i paesi di Vigneta (frazione di Casola in Lunigiana) e Villa Collemandina (LU), quest'ultima località epicentro del sisma.

Anche Fivizzano, il centro abitato più popolato fra quelli colpiti, fu praticamente raso al suolo: non rimase più alcuna casa abitabile e quelle pochissime che restarono in piedi, riportarono lesioni talmente profonde che alle successive scosse di assestamento rovinarono al suolo definitivamente. Tutta la popolazione rimase all’addiaccio, accampata in tende di fortuna. Sempre in Lunigiana si registrarono danni anche nei paesi di Sassalbo, Vignetta, Regnano, Luscignano, Montecurto, Comano e Ceserano, Villafranca, Merizzo, Fornoli, vittime anche a Virgoletta e a Filattiera.

A Pontremoli la scossa fece crollare il tetto della Chiesa della Misericordia e i detriti caddero sull'antico organo a canne, danneggiandolo.

Il sisma fu avvertito anche in provincia di Bologna dove provocò panico nella popolazione e lievissimi danni vennero segnalati nel circondario di Vergato. In provincia di Pisa, il comune più colpito fu Calcinaia con un morto e quattro feriti e danni, oltre che ad alcune abitazioni, alla chiesa e al municipio. Nella provincia di Modena ci furono tre vittime e alcuni feriti; alcune case crollate e moltissime danneggiate vennero segnalate soprattutto nei comuni di Frassinoro e Pievepelago. Gli effetti del terremoto interessarono anche il territorio della confinante Liguria. In provincia di Genova, nei circondari della Spezia e Chiavari, la popolazione venne presa dal panico e vennero segnalate alcune case lesionate alla Spezia e a Sarzana.

Fu avvertito distintamente sino nelle province di Siena e Livorno, ma senza danni a persone e cose.

La scossa avvenne in un momento della giornata nel quale gli abitanti della zona, in maggioranza contadini, erano impegnati nel lavoro dei campi, mentre nelle case erano rimasti soprattutto donne e bambini, che furono le principali vittime. La disastrosità del sisma fu amplificata dalla tecniche di costruzione degli edifici diffuse in quei paesi: le case, infatti, erano per la gran parte costruite con materiali particolarmente scadenti come grossi ciottoli di fiume arrotondati utilizzati come pietra da costruzione al posto dei mattoni, tenuti insieme da malte di infima qualità.

I soccorsi furono segnati da ritardi e difficoltà di organizzazione, in parte spiegabili con l’interruzione delle comunicazioni telegrafiche; fu impossibile, infatti, avere notizie certe, in particolare dai piccoli centri dell’entroterra montuoso della regione colpita dal terremoto.

L'entità dei danni non fu immediatamente chiara alle autorità: i primi telegrammi, inviati la mattina del 7 settembre dai Prefetti dell’area colpita alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, sottolineavano la violenza della scossa ma ancora non disegnavano con precisione la gravità del danno. Solo nella tarda mattinata da Massa, la provincia più colpita, il Prefetto comunicava i primi preoccupanti dati sulle conseguenze della scossa sismica. Mentre le notizie che giungevano da Lucca, riferite al capoluogo, inizialmente segnalavano solo lievi e rare lesioni. Nel primo pomeriggio del 7 settembre – come si evince dal telegramma del Prefetto Bodo inviato da Castelnuovo Garfagnana alle ore 15.50 – anche in questa provincia lo scenario assunse contorni più precisi: "disastro sempre maggiore. Comuni con case crollate inabitabili, richiesta soccorsi urgenti".

I cronisti del quotidiano “La Nazione” furono tra i primi a recarsi sui luoghi colpiti e a descrivere la gravità delle conseguenze della scossa:

«A mano a mano che ci inoltriamo nella regione colpita, tutto conferma, purtroppo, la fondatezza delle prime notizie. I paesi che sono successivamente attraversati dalla nostra macchina, mostrano sempre più gravi gli effetti della formidabile scossa, che ha scrollato tutto il sistema montuoso che corona le valli del Serchio e dei suoi affluenti. E’ una triste teoria di rovine che mette sgomento nell’animo; un seguirsi di scene di dolore e di disperazione che ci procura una pena infinita per l’impossibilità di portare un soccorso e un aiuto, che possa lenire in parte il danno irreparabile dell’immensa rovina»

Dopo una prima sottovalutazione delle conseguenze dell’evento, quando il quadro cominciò a delinearsi nella sua effettiva gravità, il Ministero dell’Interno attraverso i Prefetti mise in moto la macchina dei soccorsi. Le forze armate svolsero, come era consuetudine, un ruolo chiave per fronteggiare l’emergenza, costituendo l’unica struttura organizzata in grado di intervenire per il primo soccorso e l’assistenza nei luoghi colpiti. Dalla vicina Liguria e dalla Spezia in particolare, furono organizzate le prime squadre di soccorso e inviati marinai della nave Cavour dal comandante della Piazza marittima, adibiti allo sgombero delle macerie, al disseppellimento dei cadaveri, al salvataggio di eventuali superstiti. Per le operazioni di primo soccorso intervennero a Fivizzano e negli altri centri colpiti, oltre ai marinai della nave Cavour, volontari da Spezia, da Massa, da Carrara, squadre della pubblica assistenza e un migliaio di soldati di fanteria, zappatori e del genio da Firenze, Piacenza, Bologna, Reggio Emilia, e la squadra di Vigili del Fuoco inviata dal Comune di Rimini, che operarono, alternandosi, fino al primo dicembre 1920.

Già la sera del 7 settembre dalla Spezia fu organizzato un treno speciale con materiali per il ricovero dei superstiti e l’8 settembre, con altri due treni, furono inviati attendamenti, viveri, medici e medicinali, materiali e attrezzi per lo sgombero delle macerie, ingegneri per la valutazione dei danni e degli interventi di ripristino. La stazione di Aulla divenne il punto di raccolta e smistamento dei materiali.

Fonte: wikipedia
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

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La sequenza iniziò nelle prime ore del 29 giugno con alcune piccole scosse avvertite nella notte; attorno alle 10:15 della mattina (ora locale) ci fu una forte scossa che causò alcuni danni a Borgo San Lorenzo (FI) e in alcune piccole frazioni vicine, e che allarmò notevolmente la popolazione, la quale si riversò all’aperto; seguirono altre scosse più leggere nelle ore successive. L’evento principale avvenne nel pomeriggio, alle 17:06 ed ebbe effetti distruttivi, causando molti crolli e danni gravissimi.

Epicentro del terremoto è stato Vicchio, che ha avuto parecchie case distrutte e dove sono molti i feriti e una quarantina i morti. […] Nei paesi limitrofi, quasi tutte piccole frazioni costituite da case basse dove fortunatamente l’agglomerazione di persone è scarsa, queste case sono state completamente rase al suolo. Ho visto io stesso abitati di cui non resta pietra su pietra.” [Corriere della Sera, 1 luglio 1919] 

Con queste parole l’inviato del Corriere della Sera descrive gli effetti gravissimi della scossa nel territorio di Vicchio (FI), il comune più colpito. I piccoli abitati di cui “non resta pietra su pietra” erano le frazioni di Mirandola e Rupecanina, dove crollarono quasi tutti gli edifici e il terremoto raggiunse un’intensità pari al grado 10 della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). Altri piccoli centri, come Casole, Rostolena, Villore, Vitigliano, e la stessa cittadina di Vicchio, subirono effetti gravissimi con la distruzione di circa la metà degli edifici (intensità pari a 9 MCS).

Danni molto gravi e diffusi si ebbero anche nei vicini comuni di Borgo San Lorenzo e di Dicomano, sempre in provincia di Firenze. A Borgo San Lorenzo moltissime case subirono lesioni gravissime e divennero inagibili. Fu rilevato che in generale gli edifici all’esterno sembravano apparentemente poco danneggiati, mentre all’interno erano gravemente lesionati o completamente crollati. A seconda delle fonti, tra il 50% e il 75 % dell’edificato di Borgo San Lorenzo divenne inabitabile. Gli effetti nel capoluogo del Mugello sono stati stimati tra i gradi 8 e 9 della scala MCS.

La devastazione causata dal terremoto nella frazione di Casaglia, nel comune di Borgo San Lorenzo (FI), in una cartolina d’epoca [Archivio EDURISK]. In questo villaggio sul crinale appenninico vi furono due vittime e numerosi feriti [Corriere della Sera, 01.07.1919].

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Gravi danni interessarono anche decine di località situate sul versante romagnolo dell’Appennino, nell’area denominata all’epoca “Romagna Toscana”, che in parte rientrava nelle attuali provincie di Firenze e di Forlì. Qui l’impatto dell’evento fu notevolmente aggravato dal fatto che appena 7 mesi prima, il 10 novembre 1918, un forte terremoto aveva colpito il territorio dell’Appennino forlivese, con effetti distruttivi in diversi centri delle alte valli del Savio e del Bidente. La scossa del 29 giugno 1919 causò nuovi danni diffusi e crolli in centri come Santa Sofia, Bagno di Romagna, Galeata, Civitella di Romagna (FC), dove la ricostruzione era appena iniziata e il patrimonio edilizio risultava ancora indebolito, con una vulnerabilità peggiorata proprio a seguito del terremoto precedente.

Fu colpita anche la provincia di Arezzo, soprattutto il territorio del Casentino, dove ci furono danni diffusi a Pratovecchio, Poppi, Stia e a Bibbiena. Anche qui l’impatto fu aggravato dai danni preesistenti che erano stati causati dal terremoto del novembre 1918. Danni furono registrati infine nel Valdarno superiore, in particolare a Loro Ciuffenna, Terranova Bracciolini, San Giovanni Valdarno (tutti in provincia di Arezzo) e a Figline Valdarno (FI).

Le vittime complessivamente furono poco meno di un centinaio, di cui una settantina nel solo territorio di Vicchio. Un numero relativamente contenuto, se rapportato alla elevata intensità della scossa e alla gravità delle distruzioni. Contribuirono a limitare il numero di morti una serie di circostanze “fortunate”: in primo luogo le scosse avvenute nel corso della mattina (soprattutto quella forte delle 10:15) allarmarono enormemente la popolazione e la spinsero a riversarsi all’aperto dove rimase per molte ore, scampando all’evento principale delle 17:06, come scrive anche l’inviato del Corriere della Sera: “tutta la popolazione, avvenuta la prima scossa, si è riversata sulle piazze e questa circostanza ha fatto sì che le vittime non fossero tante come avrebbero potuto essere se alla scossa più forte la popolazione si fosse trovata nelle case.” (Corriere della Sera, 1 luglio 1919); in secondo luogo, anche il fatto che il terremoto colpì un’area prevalentemente rurale e avvenne in piena estate, in ore diurne, quando una buona parte della popolazione si trovava all’aperto e nei campi. Se la scossa fosse avvenuta in piena notte e non fosse stata preceduta da scosse minori, con tutta probabilità il numero di vittime sarebbe stato molto più elevato.

 

Fonte: ingvterremoti

Ricerca storica: Roberto Marchetti

I treni ospedale della croce rossa italiana nella prima guerra mondiale
Raffaele Attolini
 
Treni ospedale
 
Durante la Prima Guerra Mondiale lo sgombero dei malati e feriti per ferrovia veniva fatto con treni appositamente allestiti (treni-sanitari), oppure con treni ordinari per viaggiatori o per merci (treni-trasporto improvvisati).

 
 
Opedalizzazione militare in guerra
 
I treni sanitari per trasporto feriti e malati vanno distinti in:
treni-ospedale allestiti dalle Associazioni di Soccorso e destinati a viaggi di parecchi giorni per trasportare i feriti nell’interno del paese (fonte: Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato 1918).
Croce Rossa 
1918
numerazione da I a XXI con 300 barelle
1918
numerazione XXII e XXIII (contumaciali) con 96 barelle e 240 
posti a sedere
1918
numerazione XXVI (contumaciale) con 300 barelle
 
Treni ospedale 3

Treni attrezzati della Sanità Militare utilizzati soltanto per il trasporto a brevi distanze di infermi e feriti leggeri (fonte: Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato 1918)
Treni composti con carri F
1918 numerazione da 1 a 24 con 300 barelle
Treni composti con carrozze CIz
1918 numerazione da 25 a 38 con 300 barelle
1918 numerazione da 49 a 54 con 236 barelle e 64 posti a sedere
Treni composti con carrozze CT
1918 numerazione da 39 a 47 con 360 barelle
1918 numerazione 48 con 180 barelle e 160 posti a sedere
1918 numerazione 55 contumaciale con 180 barelle e 160 posti a sedere
 
Treni ospedale 2

Composizione del treno ospedale della croce rossa (1915)
(fonte: Rivista tecnica delle ferrovie italiane – luglio 1915)

Il treno ospedale, lungo 240 metri esclusa la locomotiva, poteva trasportare 206 infermi (tutti coricati su letti-barella).
Il personale era composto da:
Ufficiali:
1 Direttore del treno,
4 medici (un medico capo + 3 medici assistenti),
1 farmacista,
1 cappellano,
4 infermiere
Uomini di truppa:
impiegati amministrativi e contabili, militi per i servizi di infermeria e di manovalanza.
 
La formazione delle carrozze del treno ospedale era la seguente:
Carrozza n°1: bagagliaio
Carrozza n°2: alloggio personale direttivo
Carrozza n°3: cucina
Carrozza n°4: mensa, magazzino viveri, infermeria (12 barelle)
Carrozza da n°5 a n°11: infermeria (24 barelle)
Carrozza n°12: sala medicazione, farmacia, bagno, infermeria (12 barelle)
Carrozza n°13: alloggio personale assistenza
Carrozza n°14: infermeria per infetti (14 barelle)
 
Treni ospedale 1
 
Treni ospedale della croce rossa mobilitati
(fonte bibliografica)
1915-1918

Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato
1915 Circolare n. 87 del 2 dicembre 1915

Treni ospedali della C.R.I.: 21 (numerazione da I A XXI)
1916 Circolare n. 15 del 10 febbraio 1916
1916 Circolare n. 45 del 11 maggio 1916
1916 Circolare n. 80 del 12 ottobre 1916

Treni ospedali della C.R.I.: 22 (numerazione da i a XXI più XXVI siculo)
1918 circolare n. 59 del 17 ottobre 1918

Treni ospedali della C.R.I. 24 (numerazione da I a XXI più XXII, XXIII, XXIV (contumaciali)
 
1915-1919
C.R.I. archivio storico. – “ opera svolta dalla cri durante la guerra 1915-1919“
Treni ospedali della C.R.I.: 24 (numerazione da I a XXI più XXII, XXIII, XXVI)

1924
Ministero della guerra – “i rifornimenti dell’esercito mobilitato durante la guerra alla fronte italiana 1915-1918”
treni ospedali della C.R.I.: 24 (nessuna numerazione citata)

1939
ministero della guerra – “indice delle truppe e dei servizi mobilitati durante la guerra 1915-18 - volume ii: i servizi”
treni ospedali della C.R.I.: 22 (numerazione da I a XXII)

1990
Belogi r. – “il corpo militare della croce rossa italiana – volume i “ treni ospedali della C.R.I.: 25 (numerazione da I a XXIV più treno ausiliario) 2005
Rebagliati n. – “i treni ospedale “
Treni ospedali della C.R.I.: 25 (numerazione da I a XXI più XXII, XXIII, XXIV, treno ospedale della sicilia)
 
Treni ospedale 4
 
Elenco dei treni ospedale della croce rossa mobilitati
(fonte: c.r.i archivio storico. – opera svolta dalla cri durante la guerra 1915-1919)

I treno ospedale centro mobilitazione Torino
 
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre 
- I armata da gennaio ad aprile e da giugno a luglio III armata a maggio intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad agosto e da novembre a dicembre IV armata a settembre III armata a ottobre
1918 da gennaio a dicembre intendenza generale
 
II treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre 
- II armata da gennaio a marzo I armata da maggio a luglio intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre 
- intendenza generale da gennaio ad agosto e da novembre a dicembre
- IV armata a settembre
- III armata a ottobre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad agosto e da novembre a dicembre
- IV armata a settembre
- III armata a ottobre

III treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio a maggio
- V armata a giugno intendenza generale luglio II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre 
- IV armata da gennaio a marzo intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre 
- intendenza generale da gennaio a novembre
- I armata a dicembre

IV treno ospedale centro mobilitazione Verona
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- II armata a gennaio e da marzo a maggio
- III armata a febbraio intendenza generale da giugno a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a marzo
- zona Gorizia da aprile e maggio
- II armata da giugno a ottobre intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre 
- intendenza generale da gennaio ad aprile e a dicembre
- III armata da maggio a novembre

V treno ospedale centro mobilitazione Verona
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre 
- II armata da gennaio a marzo   
- zona Gorizia aprile e maggio  
- II armata giugno a ottobre
- intendenza generaleda novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile
- IV armata da maggio ad agosto
- Grappa altipiani da settembre a ottobre
- IV armata da novembre a dicembre

 

VI treno ospedale centro mobilitazione Verona
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- IV armata a gennaio a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a maggio
- VI armata da giugno a settembre
- I armata a ottobre
- intendenza generaleda novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
 -intendenza generale

 

VII treno ospedale centro mobilitazione Bologna
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- IV armata a gennaio ad aprile
- III armata da maggio ad agosto
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a marzo
- intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
 - intendenza generale da gennaio a novembre
- III armata a dicembre

 

VIII treno ospedale centro mobilitazione Bologna
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- I armata a gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio ad agosto
- III armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio a marzo
- IV armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- IV armata a dicembre

 

IX treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile e da giugno a luglio
- III armata a maggio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

X treno ospedale centro mobilitazione Firenze
Dipendenza:
1915 da maggio
- II armata
1916 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a marzo
- I armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XI treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1915 da giugno
- III armata
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- I armata da maggio a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- III armata a dicembre

 

XII treno ospedale centro mobilitazione Bari
Dipendenza:
1915 da giugno
- II armata
1916 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile
- III armata da maggio a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a marzo
- intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XIII treno ospedale centro mobilitazione Roma
Dipendenza:
1915 da giugno
- III armata
1916 da gennaio a dicembre
- II armata generale da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a luglio
- IV armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- IV armata da gennaio a marzo
- I armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XIV treno ospedale centro mobilitazione Roma
Dipendenza:
1915 da maggio
- marina da maggio a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a luglio
- IV armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- IV armata da gennaio a marzo
- I armata da aprile a maggio
- VI armata da giugno a settembre
- intendenza generale da ottobre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XV treno ospedale centro mobilitazione Napoli
Dipendenza:
1915 da giugno
- II armata da giugno a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- IV armata generale da gennaio a luglio
- zona Puglie da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- zona Puglie da gennaio a maggio
- intendenza generale da giugno a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile
- I armata da maggio a dicembre

 

XVI treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1915 da giugno
- intendenza generale da giugno a luglio
- III armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XVII treno ospedale centro mobilitazione Firenze
Dipendenza:
1915 da giugno
- zona Carnia da giugno a luglio i
- intendenza generale da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- II armata a maggio
V armata a giugno
- intendenza generale a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a febbraio
- zona Gorizia da aprile a maggio
- II armata da giugno a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XVIII treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1915 da giugno
- II armata
1916 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a maggio
- I armata da giugno a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XIX treno ospedale centro mobilitazione Ancona
Dipendenza
1915 da giugno
- III armata
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a marzo e da novembre a dicembre
- IV armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- IV armata a dicembre

 

XX treno ospedale centro mobilitazione Torino
Dipendenza:
1915 da giugno
- zona Carnia da giugno a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile e da giugno a luglio
- II armata a maggio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a maggio
- VI armata a giugno a settembre
- I armata a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- I armata a dicembre

 

XXI treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1915 da luglio
- intendenza generale luglio
- III armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio ad aprile
- IV armata a maggio a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a marzo
- intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- IV armata a dicembre

 

XXII treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1918 da novembre
- intendenza generale da novembre e a dicembre

 

XXIII treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1918 da dicembre
- intendenza generale a dicembre

 

XXVI treno ospedale Sicilia centro mobilitazione Palermo
Dipendenza:
1915 da giugno
- intendenza generale da giugno a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- disposizione ministero a gennaio
- Bari - Brindisi da febbraio a marzo
- zona Puglie ad aprile
- Taranto a maggio
- zona Puglie da giugno a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- IV armata generale da gennaio a febbraio
- intendenza generale da aprile a maggio
- zona Puglie da giugno ad agosto
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da novembre
- intendenza generale a dicembre
 
 
Treni ospedale 5
 
 
Fonti:
I treni ospedale della croce rossa italiana nella prima guerra mondiale
 di Raffaele Attolini.
Guerrabianca.it
 
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 

 

BURCI, Enrico. - Nacque a Firenze il 26 maggio 1862 da Gaetano e da Laura Zagri-Chelli. Si laureò in medicina e chirurgia nell'università di Pisa nel 1885. Uno zio paterno, Carlo Burci, fu un celebre chirurgo; i suoi primi maestri in chirurgia furono G. Corradi e P. Landi. Divenuto subito dopo la laurea, nel 1886, assistente effettivo presso la clinica chirurgica di Pisa, per circa tre anni il B. concentrò il suo interesse su argomenti di fisiopatologia sperimentale, di patologia generale, di igiene; in seguito si dedicò esclusivamente alla pratica chirurgica e allo studio di argomenti di patologia di interesse chirurgico. Dopo aver prestato servizio nei R.R. Ospedali di Pisa in qualità di chirurgo primario, nel 1892 conseguì la libera docenza in patologia chirurgica e nel 1898 quella in clinica chirurgica e medicina operatoria. Professore straordinario di patologia chirurgica a Padova nel 1899-900, e nel 1902 a Firenze professore di patologia chirurgica nell'Istituto di studi superiori e direttore della clinica chirurgica pediatrica dell'ospedale Mayer, nel 1903 divenne titolare della cattedra di clinica chirurgica dell'università di Firenze. Durante la guerra balcanica nel 1912 diresse una importante unità sanitaria militare in Serbia; durante quella del 1915-18 fu consulente chirurgo negli ospedali militari del corpo d'armata di Firenze e presidente del comitato sanitario regionale del dipartimento di Firenze e La Spezia. Fu inoltre ispettore straordinario nazionale per l'assistenza ai mutilati e agli invalidi di guerra nel 1916 e presidente della delegazione italiana nel Comitato interalleato per l'assistenza degli invalidi di guerra nel 1917. Dal 1926 al 1930 fu rettore dell'università di Firenze.

Il B. fu autore di ben 124 pubblicazioni e vantò una casistica clinica di oltre 30.000 interventi. Nel primo periodo della sua attività condusse studi accurati soprattutto in campo batteriologico, alcuni dei quali particolarmente originali e interessanti, anche per i loro riflessi pratici (Contributo alla conoscenza del potere patogeno del Bacillus Pyogenus Foetidus. Nota clinica, Pisa 1892 [estr. della Riv. gener. ital. di clin. medica, IV, 1891]; Sulla mutabilità di alcuni caratteri biologici del Bac. Coli comune, Pisa 1892). Ma ben presto il B. cominciò ad affrontare quegli argomenti di patologia chirurgica e di medicina operatoria che dovevano rappresentare il settore di studi preferito. Fu autore di interessanti ricerche sulla patogenesi e sul processo di guarigione della peritonite tubercolare, sulle localizzazioni extragenitali del gonococco, sull'actinomicosi dell'uomo; escogitò nuovi processi operatori e introdusse tecniche chirurgiche personali, che furono più tardi largamente seguite dagli altri chirurghi, quali la nefropessia, la riduzione dell'ernia ombelicale e di quella epigastrica, la resezione epatica e degli organi parenchimatosi in genere mediante sutura incavigliata semplice o combinata con legatura elastica. I suoi lavori nel campo della chirurgia intestinale contribuirono validamente alla soluzione di delicati problemi tecnici, rappresentati principalmente dalla difficoltà di intervenire in condizioni di asepsi e di operare correttamente sull'intestino (Ricerche sperimentali sopra alcuni mezzi che possono servire a diminuire i pericoli delle sepsi nelle operazioni del tubo digerente, Firenze 1894 [estr. da Lo Sperimentale, XLVIII, sez. clinica]; Le enterostasi durante le operazioni sull'intestino. Proposta di un nuovo enterostato, Firenze 1896 [estr. da La settimana medica dello Sperimentale, L]; Ricerche sperimentali sulla enterostasi, Pisa 1897; Sul saldamento della mucosa intestinale ravvicinata mediante la sutura, Firenze 1897 [estr. da La settimana medica dello Sperimentale, LI]). Di particolare rilievo fu, soprattutto, l'opera del B. nel campo della chirurgia vascolare: i progressi che si erano registrati in questo settore, dovuti in larga misura ai problemi terapeutici imposti dalle lesioni traumatiche e dalle dilatazioni aneurismatiche, consistevano essenzialmente nelle perfezionate conoscenze anatomo-topografiche, e nella conseguente precisazione dei vari tratti arteriosi o venosi ove poter effettuare le legature rispettando i circoli collaterali, e nelle corrette tecniche di tali interventi. Fu opera del B. l'aver dimostrato la possibilità di suturare i vasi sanguigni ripristinandone la continuità e conservandone la pervietà del lume, e di aver descritto le metodiche idonee a tale processo operativo per le arterie e per le vene. Egli iniziò i suoi esperimenti con poveri mezzi, non più che due semplici pinze emostatiche con le branche rivestite da tubicini di gomma e un sottile ago da sutura; ma questo strumentario gli fu sufficiente a effettuare la riparazione di ferite longitudinali e trasverse dei vasi sanguigni e a praticare brillanti interventi di anastomosi termino-laterali e termino-terminali, i quali ultimi sono oggi di comune impiego nella moderna chirurgia cardiovascolare. Nel corso delle sue ricerche in questo settore, il B. dimostrò sperimentalmente la possibilità di decorticare le arterie mediante l'asportazione della tunica avventiziale, senza determinare lesioni anatomiche e funzionali del vaso: tale tecnica fu successivamente perfezionata e impiegata nella terapia delle arteriopatie obliteranti, grazie soprattutto alla genialità di R. Leriche che, riprendendo precedenti studi sull'argomento, introdusse il processo operatorio nella cura della causalgia (De la causalgie envisagée comme une névrite du sympathique et de son traitement par la dénudation et l'excision des plexus nerveux périartériels, in LaPresse méd., XXIV [1916], pp. 178-180). Al B. spetta dunque il merito di aver dato inizio agli studi clinici e sperimentali di chirurgia vascolare e di aver intrapreso la sistemazione nosografica delle vasculopatie di interesse chirurgico (Malattie chirurgiche delle arterie, in Trattato ital. di chirurgia..., Milano s.d., II, parte 2, pp. 75-172; Malattie delle vene [con Q. Vignolo], ibid., pp. 173-189).

Il B. morì a Firenze il 30 ott. 1933.

Bibl.: G. F., Prof. E. B., in Pensiero medico, XVIII (1929), pp. 748-49; D. Taddei, E. B., in Policlinico, sez. pratica, XL (1933), pp. 1835-36; C. Righetti, Comm. del prof. E. B., estratto da Boll. d. Acc. pugliese di scienze, IX (1933); E. B., in Riv. di ter. moderna e di med. pratica, XXVI (1933), p. 55; G. D'Agata, E. B., in Riv. san. sicil., XXI (1933), p. 1779; J. Fischer, Biograph. Lex. der hervorragendenÄrzte..., I, pp. 201-02.

Fonte: Treccani

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Comm. Prof. Franco Mosca

Il professore Franco Mosca, chirurgo di fama internazionale,ha promosso l'utilizzo della robotica nelle sale operatorie e luminare dei trapianti di organi.
Nel 2018 era entrato nell'olimpo mondiale della chirurgia, con il conferimento dell'onorificenza massima per un chirurgo, venendo nominato «Honorary Fellow» dall'American College of Surgeons, la più grande e prestigiosa società scientifica di chirurghi al mondo.

Mosca era nato a Biella nel 1942 e aveva portato a Pisa i trapianti d'organo, fornendo le competenze e la spinta necessaria per l'apertura dei centri trapianti di fegato e di pancreas e per lo sviluppo di quello di rene, per quest'ultimo, proseguendo l'attività che aveva già iniziato insieme al suo maestro, il professor Mario Selli. Aveva quindi guidato i rispettivi centri trapianti, dove oggi vengono a curarsi pazienti da tutt'Italia, raggiungendo numerosi primati e portandoli ai vertici nazionali e internazionali per volumi di attività, risultati e reputazione scientifica.

Prima di essere collocato a riposo nel 2012, presso l'Aoup Mosca è stato direttore delle Unità operative di Chirurgia Generale e Sperimentale, Chirurgia Generale e Trapianti, Chirurgia Generale 1 Universitaria, del centro EndoCas e del Dipartimento di Chirurgia Generale. Dal punto di vista accademico, invece, è stato nominato professore ordinario di chirurgia generale all'Università di Pisa nel 1986 e, nel corso della sua carriera, è stato vicepreside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, direttore del Dipartimento di Oncologia dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, oltre che di diverse Scuole di Specializzazione e di Dottorato.


Fonte: Il Messaggero
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

Cav. Gran Croce Dr. Rodolfo Bernardini

Cav. Gran Croce Dr. Rodolfo Bernardini

Dirigente bancario, attivista politico, giornalista pubblicista, uomo impegnato nel volontariato cattolico, collezionista raffinato, studioso e storiografo. Sono solo alcuni dei molteplici tratti che hanno caratterizzato l’impegno e i poliedrici interessi di Rodolfo Bernardini, distintosi in ogni sua attività per un profondo rigore, divenuto insieme modello e irrinunciabile stile di vita. Due lauree (economia e giurisprudenza), Bernardini ha svolto tutta la sua carriera professionale all’interno della ex Cassa di Risparmio di Pisa raggiungendo il massimo grado del personale direttivo, ma sempre ha coltivato una divorante passione per la storia della sua città, collaborando alle principali iniziative storico-rievocative, dalla Regata delle antiche Repubbliche Marinare (per 25 anni è stato componente del Comitato) alla ripresa nel Gioco del Ponte nel 1982.

Anche l’impegno politico, che lo vide giovanissimo, a guerra non ancora finita, partecipare alla costituzione clandestina della Democrazia Cristiana, partito del quale sarà a lungo ai vertici e per 15 anni (dal 1970 all’85) consigliere comunale e provinciale (una legislatura) e al quale rimarrà iscritto fino allo scioglimento del 1993. Poi l’avvicinamento al Ccd-Centro Cristiano Democratico — del quale è stato presidente provinciale per alcuni anni — e in seguito a Forza Italia, nelle cui liste Bernardini è risultato primo dei non eletti alle Comunali del 2003. Cresciuto nelle file dell’Azione Cattolica è sempre stato impegnato in attività e associazioni di volontariato, a partire dalla Misericordia, al cui interno ha ricoperto la carica di Governatore.

Nel campo culturale il suo impegno prevalente è stato rivolto all’Istituzione dei Cavalieri di Santo Stefano, che ha presieduto per un quarto di secolo (fino al 2007) promuovendo decine di convegni e una collana storica («I Quaderni Stefaniani») che ha prodotto oltre 80 volumi, che oggi resta punto di riferimento per gli studiosi e quanti vogliano approfondire la storia stefaniana e più in generale toscana. Socio di una ventina di Accademie e Istituzioni culturali, Bernardini è stato autore prolifico di studi, pubblicazioni e ricerche ed è stato insignito di onorificienze italiane e straniere e riconoscimenti culturali. Basti dire che per ben sei volte ha ricevuto il Premio cultura della Presidenza del consiglio dei ministri: l’ultima nel 2006 per la trilogia «Un pisano racconta» (ed. Ets), diario storico, politico e di costume della nostra città dagli anni Venti a oggi. La camera ardente è allestita alle cappelline della Misericordia in via Pietrasantina e le esequie saranno celebrate domani, martedì, alle ore 17 nella Chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano. In questo momento di immenso dolore «La Nazione» è vicina alla signora Anna Maria, alle figlie Francesca e Giovanna e alla sorella Lucia, alle quali giungano sentite condoglianze dalla nostra redazione.


Fonte: iagiforum - Guglielmo Vezzosi
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 Gr.Uff. Dr. Paolo Padoin

Paolo Padoin è nato nel 1947 a Firenze, dove ha compiuto i suoi studi fino alla laurea in Giurisprudenza, conseguita nel 1969. È Procuratore legale. È coniugato con Lucia Lazzerini, professore ordinario di Filologia romanza all’Università di Firenze.
Nel 1972 ha iniziato il servizio presso la Prefettura di Arezzo.
Dal 1980 al 1984 ha prestato servizio quale amministratore presso la Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles.
Nominato Prefetto nel 1993 è stato destinato al Ministero dell’Interno. Nel maggio del 1997 è Prefetto di Pavia, nel 2000 di Pisa, da febbraio a dicembre
2003 di Campobasso (dove ha affrontato i problemi dell’emergenza post-terremoto che ha colpito San Giuliano di Puglia e altri comuni della zona), dal dicembre 2003 al marzo 2008 di Padova, dal marzo 2008 all’agosto 2010 Prefetto di Torino e fino all’aprile 2012, Prefetto di Firenze, la sua città, dove attualmente ricopre l’incarico di presidente dell’Opera Medicea Laurenziana.
Esperto di diritto comunitario, di amministrazione locale, di sicurezza, di immigrazione e di protezione civile, è autore di numerosi volumi e articoli, ed è collaboratore della Guida Normativa per l’Am- ministrazione locale.
Ha pubblicato due edizioni del libro Il Prefetto questo sconosciuto, Torino 2010 e 2015.

Fonte: prefettura.it
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Auschwitz: La Tragedia Inenarrabile Diventata Simbolo di Orrore
 
Auschwitz binari di Valeria Alpi 768x601
Fonte: informareunh
 

Il campo di concentramento di Auschwitz, situato nei pressi della cittadina polacca di Oświęcim, è un tragico monumento che testimonia la brutale ferocia perpetrata durante la seconda guerra mondiale. Conosciuto anche come Konzentrationslager Auschwitz o KZ Auschwitz, questo complesso di campi di concentramento e sterminio è diventato il simbolo universale del lager nazista, rappresentando il culmine dell'orrore dell'Olocausto.

Tra il 1940 e il 1944, oltre un milione di prigionieri, principalmente ebrei, furono uccisi nei campi che costituivano Auschwitz. Il campo principale, Auschwitz I, fu solo l'inizio di un complesso che comprendeva anche il noto campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III) e altri 45 sottocampi. Questi luoghi divennero tristi testimonianze di un progetto di "soluzione finale della questione ebraica", che nascondeva lo sterminio sistematico di milioni di persone.

Durante l'occupazione tedesca della Polonia, il complesso di Auschwitz si espanse su circa 40 chilometri quadrati, includendo aziende modello e agricole volute personalmente da Hitler, dove i prigionieri venivano sfruttati come schiavi. Le espropriazioni forzate e le demolizioni delle proprietà crearono un clima di terrore che avvolgeva l'intera regione.
La liberazione di Auschwitz avvenne il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche raggiunsero il campo. Il Giorno della Memoria, istituito nel 2005, simboleggia il ricordo delle vittime e l'importanza di preservare la memoria di queste atrocità.

Dopo la guerra, nel 1947, il parlamento polacco decise di creare un memoriale-museo che comprendesse le aree di Auschwitz I e Auschwitz II. Nel 1979, il sito fu dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO e la sua denominazione fu modificata in Memorial and Museum Auschwitz-Birkenau - German Nazi Concentration and Extermination Camp.

Auschwitz rimane una ferita aperta nella storia dell'umanità, un monito contro l'odio e la brutalità. La sua memoria è essenziale per garantire che tali atrocità non si ripetano mai più, e il suo status di patrimonio dell'umanità è un impegno a mantenere viva la testimonianza di chi ha sofferto e perso la vita in quel luogo di orrore.

Roberto Marchetti

Fonte: wikipedia

 


Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gunter Demnig (Berlino, 27 ottobre 1947), artista tedesco. 

Gunter Demnig

Gunter Demnig è diventato una figura di rilievo grazie all'iniziativa delle pietre d'inciampo, un progetto che ha avuto inizio nel 1992 e si è diffuso in tutto il territorio europeo. Questa iniziativa, volta a commemorare le vittime del nazismo, prevede il posizionamento di piccole pietre d'ottone nei luoghi in cui vivevano o lavoravano le persone prima di essere perseguitate.

Prima di dedicarsi a questa importante missione, nel 1985 Demnig ha aperto il suo studio a Colonia, in Germania, dove si è impegnato su diversi progetti locali. La sua carriera è stata caratterizzata da un profondo impegno sociale e dalla volontà di rendere tangibile e duraturo il ricordo delle vittime dell'Olocausto.

A partire dal 1994, Demnig ha collaborato attivamente con l'IGNIS-Kulturzentrum (IGNIS Cultural Center), contribuendo alla diffusione della consapevolezza storica e culturale attraverso progetti concreti e significativi.

L'iniziativa delle pietre d'inciampo è diventata un simbolo tangibile della memoria collettiva europea, sottolineando l'importanza di preservare la memoria storica per le generazioni future. Demnig ha dimostrato con il suo lavoro che anche un semplice gesto, come posare una pietra, può avere un impatto profondo nel mantenere viva la memoria delle tragedie del passato e nell'inculcare valori di tolleranza e umanità per il futuro.

Roberto Marchetti

Fonte: wikipedia
 
 
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