Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 

Nozzano: Il Cuore Storico della Toscana che Resiste al Tempo

 

Nozzano Foto fondoambiente
Foto: Nozzano Foto tratta da  fondoambiente

 

Sulla riva destra del fiume Serchio, a pochi chilometri dal capoluogo lucchese, si erge il suggestivo borgo di Nozzano, un vero e proprio scrigno di storia e cultura immerso nelle verdi campagne toscane. Composto dalle tre frazioni di Nozzano Castello, Nozzano San Pietro e Nozzano Vecchio, questo antico insediamento racchiude in sé un patrimonio millenario che affascina e incanta visitatori provenienti da ogni parte del mondo.

Le Origini e la Forza della Fortezza

Le origini di Nozzano risalgono al lontano IX secolo, quando i Lucchesi eressero una fortezza per difendere il territorio dalle incursioni pisane. Ancora oggi, il maestoso borgo fortificato di Nozzano Castello domina l'orizzonte, testimone di epoche passate e di battaglie che hanno plasmato la storia della regione. La leggenda vuole che la contessa Matilde di Canossa abbia avuto un ruolo nella sua costruzione, aggiungendo un tocco di fascino e mistero al luogo.

Tra Storia e Tragedie: Nozzano nel Corso dei Secoli

Nozzano ha attraversato momenti cruciali della storia toscana, accogliendo i Guelfi fuggiti dalle città toscane dopo la battaglia di Monteaperti nel 1260 e resistendo agli attacchi delle truppe pisane nel corso dei secoli. Tuttavia, il borgo non è stato immune dalle tragedie della guerra: durante la Seconda Guerra Mondiale, fu teatro di orrori quando le SS trasformarono la scuola locale in un carcere, da cui furono prelevati e brutalmente fucilati numerosi detenuti, principalmente partigiani e civili.

Il Ricco Patrimonio Artistico e Culturale

Oltre alla sua importanza strategica, Nozzano vanta un ricco patrimonio artistico e architettonico. Tra le sue principali attrazioni spiccano la Chiesa di San Giuseppe, la Chiesa di San Pietro e la suggestiva Cappella di Nozzano Vecchio, insieme a monumenti come il Monumento ai Caduti e il memoriale della tragedia del 1944, che testimoniano il passato glorioso e la resilienza della comunità.

Eventi e Tradizioni: Nozzano Vive la Sua Storia

Nozzano continua a mantenere viva la sua storia e le sue tradizioni attraverso eventi come "Il Castello Rivive", una rievocazione medievale che trasforma le stradine del borgo in un vero e proprio viaggio nel tempo, con mercatini, osterie e rappresentazioni di mestieri antichi. Un'occasione unica per immergersi nell'atmosfera suggestiva di un'epoca passata e scoprire le radici profonde di questo incantevole luogo.

Un Gioiello Nascosto da Scoprire

Nozzano è molto più di un semplice borgo storico: è un tesoro della Toscana che continua a resistere al tempo, conservando intatto il suo fascino e la sua autenticità. Ogni pietra, ogni via, ogni racconto custodisce un frammento prezioso di storia, pronto ad essere scoperto da chiunque abbia voglia di immergersi nell'essenza più autentica della regione.

Roberto Marchetti

Fonte wikipedia

 

Ricerca: storica Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

Distintivo Volontari UNPA 

 

L'Unione Nazionale Protezione Antiaerea (UNPA): Un'Epopea di Soccorso Durante la Seconda Guerra Mondiale

L'Unione Nazionale Protezione Antiaerea, meglio conosciuta come UNPA, rappresentò un pilastro fondamentale della protezione civile durante il periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale in Italia. Fondata il 31 agosto 1934 e successivamente riorganizzata con il regio decreto n.1062 del 14 maggio 1936, l'UNPA aveva il compito di garantire la sicurezza dei cittadini italiani dai bombardamenti aerei nemici. Inizialmente, l'UNPA si basava principalmente sul volontariato per le sue attività di prevenzione e salvataggio.

Tuttavia, con l'entrata in guerra dell'Italia il 18 giugno 1940, l'organizzazione fu militarizzata, assumendo un ruolo ancora più cruciale nella difesa e nel soccorso della popolazione durante i bombardamenti. Il personale dell'UNPA era accuratamente addestrato e la sua efficienza era garantita da esercitazioni regolari di protezione antiaerea, spesso documentate nei filmati dell'Istituto LUCE. Tuttavia, verso la fine del conflitto, lo stato di emergenza estrema portò al reclutamento di individui anziani o con limitazioni fisiche, compromettendo in parte l'efficacia del servizio.

Una caratteristica peculiare dell'UNPA era la sua eterogeneità, che comprendeva anche gli ex esuli che avevano abbandonato il paese durante il regime fascista e che ora, tornati in Italia, trovavano nella protezione civile un modo per contribuire alla difesa della propria patria, senza tuttavia partecipare alle attività della Milizia. Durante i bombardamenti alleati che colpirono pesantemente l'Italia nelle fasi finali della guerra, l'UNPA si distinse per il suo ruolo di soccorritore, intervenendo tempestivamente per liberare i civili intrappolati sotto le macerie e per fornire assistenza nelle operazioni di salvataggio.

L'UNPA collaborava attivamente con altre organizzazioni di soccorso come il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e le Squadre di Protezione Antiaerea (SPAA) organizzate dai comuni, oltre ai volontari della GIL e alle Squadre Comunali di Autoprotezione. Il personale dell'UNPA era autorizzato a muoversi al di fuori dei rifugi antiaerei durante i bombardamenti, una prerogativa che era vietata alla cittadinanza e che era severamente sanzionata se violata. Le squadre dell'UNPA erano dotate di mezzi specializzati per il trasporto di persone e attrezzature, tra cui motocarrozzette e materiale di caricamento essenziale come attrezzi da scavo, scale, funi e estintori portatili. Tuttavia, con la fine della Seconda Guerra Mondiale,

l'UNPA vide la sua fine ufficiale con il Decreto Luogotenenziale del 6 marzo 1946, n.175, con decorrenza dal 28 febbraio 1946. In conclusione, l'Unione Nazionale Protezione Antiaerea rappresenta un capitolo significativo nella storia della protezione civile italiana durante la Seconda Guerra Mondiale, testimoniando il coraggio e la dedizione dei suoi volontari nel proteggere e assistere la popolazione durante uno dei periodi più bui della storia del paese.

Roberto Marchetti

Fonte:  wikipedia

 

 

 

 

 

 
 
L'Unione Nazionale Protezione Antiaerea (UNPA): Un'Epopea di Soccorso Durante la Seconda Guerra Mondiale
 
L'Unione Nazionale Protezione Antiaerea, meglio conosciuta come UNPA, rappresentò un pilastro fondamentale della protezione civile durante il periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale in Italia. Fondata il 31 agosto 1934 e successivamente riorganizzata con il regio decreto n.1062 del 14 maggio 1936, l'UNPA aveva il compito di garantire la sicurezza dei cittadini italiani dai bombardamenti aerei nemici.
 
Inizialmente, l'UNPA si basava principalmente sul volontariato per le sue attività di prevenzione e salvataggio. Tuttavia, con l'entrata in guerra dell'Italia il 18 giugno 1940, l'organizzazione fu militarizzata, assumendo un ruolo ancora più cruciale nella difesa e nel soccorso della popolazione durante i bombardamenti.
 
Il personale dell'UNPA era accuratamente addestrato e la sua efficienza era garantita da esercitazioni regolari di protezione antiaerea, spesso documentate nei filmati dell'Istituto LUCE. Tuttavia, verso la fine del conflitto, lo stato di emergenza estrema portò al reclutamento di individui anziani o con limitazioni fisiche, compromettendo in parte l'efficacia del servizio.
Una caratteristica peculiare dell'UNPA era la sua eterogeneità, che comprendeva anche gli ex esuli che avevano abbandonato il paese durante il regime fascista e che ora, tornati in Italia, trovavano nella protezione civile un modo per contribuire alla difesa della propria patria, senza tuttavia partecipare alle attività della Milizia.
Durante i bombardamenti alleati che colpirono pesantemente l'Italia nelle fasi finali della guerra, l'UNPA si distinse per il suo ruolo di soccorritore, intervenendo tempestivamente per liberare i civili intrappolati sotto le macerie e per fornire assistenza nelle operazioni di salvataggio.
 
L'UNPA collaborava attivamente con altre organizzazioni di soccorso come il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e le Squadre di Protezione Antiaerea (SPAA) organizzate dai comuni, oltre ai volontari della GIL e alle Squadre Comunali di Autoprotezione. Il personale dell'UNPA era autorizzato a muoversi al di fuori dei rifugi antiaerei durante i bombardamenti, una prerogativa che era vietata alla cittadinanza e che era severamente sanzionata se violata.
 
Le squadre dell'UNPA erano dotate di mezzi specializzati per il trasporto di persone e attrezzature, tra cui motocarrozzette e materiale di caricamento essenziale come attrezzi da scavo, scale, funi e estintori portatili.
 
Tuttavia, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, l'UNPA vide la sua fine ufficiale con il Decreto Luogotenenziale del 6 marzo 1946, n.175, con decorrenza dal 28 febbraio 1946.
 
In conclusione, l'Unione Nazionale Protezione Antiaerea rappresenta un capitolo significativo nella storia della protezione civile italiana durante la Seconda Guerra Mondiale, testimoniando il coraggio e la dedizione dei suoi volontari nel proteggere e assistere la popolazione durante uno dei periodi più bui della storia del paese.
 
Roberto Marchetti
 
Fonte: wikipedia
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

Nel cuore della Toscana, nel comune di Massarosa, si erge un monumento modesto ma carico di significato: il piccolo monumento ai martiri della "Sassaia". Questo luogo della memoria ricorda uno degli eventi più tragici della Seconda Guerra Mondiale nella regione, un massacro che ha lasciato un'impronta indelebile nella storia locale.

Situata a soli 5,79 chilometri dal centro di Massarosa, la frazione di Sassaia è diventata tristemente famosa per essere stata il teatro di uno dei più gravi massacri avvenuti durante il conflitto mondiale. Con 38 innocenti vite spezzate, questo episodio rimane uno dei momenti più bui non solo per Massarosa, ma per l'intera regione della Versilia.

L'orrore si consumò nella notte tra il 6 e il 7 agosto 1944, quando una vasta operazione di rastrellamento condotta sul monte Pisano portò alla cattura di numerosi civili, tra cui 31 persone che furono condotte a Sassaia. Qui, senza pietà, furono allineati contro il pendio della collina e freddati a colpi di mitra. Poco dopo, giunsero altri otto civili italiani, provenienti dal campo di concentramento di Socciglia, nei pressi di Borgo a Mozzano. Ignorando i loro lasciapassare, i militari tedeschi ordinarono la loro esecuzione, forse per eliminare testimoni scomodi del massacro appena compiuto.

Tra gli otto, solo Edilio Dazzi riuscì a sfuggire alla morte, miracolosamente illeso e nascosto tra i corpi dei suoi compagni. Questo episodio, perpetrato con una violenza inaudita, fu molto probabilmente opera dei membri della Feldgendarmerie, la polizia militare, della 16ª Divisione, forse coadiuvati da soldati del 3° Battaglione del 36° Reggimento della stessa divisione, stanziati nella zona in quel periodo.

Il monumento ai martiri della "Sassaia" rimane oggi un toccante tributo alle vittime di quel tragico evento, un monito contro l'orrore della guerra e un richiamo alla necessità di preservare la memoria di coloro che hanno sacrificato le loro vite per la libertà e la giustizia.

Roberto Marchetti

 

Fonte: isreclucca

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

Paolo Vanni 

 

Il Prof. Paolo Vanni: Una Vita Dedicata alla Medicina e alla sua Storia

Il Prof. Paolo Vanni è una figura di spicco nel panorama accademico italiano e internazionale, con una carriera che abbraccia la ricerca scientifica, l'insegnamento e la promozione della storia della medicina. Ordinario di Chimica Medica presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Firenze, il Prof. Vanni ha consolidato la sua reputazione come esperto rinomato nella sua disciplina.

Con oltre 200 pubblicazioni tra libri, riviste e letture, il Prof. Vanni ha contribuito in modo significativo alla letteratura scientifica e alla diffusione della conoscenza nel campo della medicina. Il suo impegno nell'insegnamento è evidente anche dalla sua nomina come titolare dell'insegnamento di Storia della Medicina presso la Facoltà di Medicina dell'Università di Firenze sin dal 1995, oltre alla sua partecipazione nei Diplomi Universitari degli Ospedali di Empoli e Prato.

La sua influenza si estende oltre i confini nazionali, con incarichi prestigiosi come Visiting Professor alla Washington University negli Stati Uniti e al Laboratorio Fur Biochemia dell'ETH Zurich. Nel corso della sua carriera, ha anche ricoperto il ruolo di Visiting Professor presso l'Institute of Medical History dell'Università di Toronto nel 2001.

Oltre ai suoi contributi accademici, il Prof. Vanni si è distinto per il suo impegno nell'organizzazione di congressi nazionali di Storia della Medicina, dimostrando un profondo interesse nel promuovere e diffondere la conoscenza storica nel campo della salute. Inoltre, la sua nomina come direttore dell'Ufficio Storico della Croce Rossa Italiana in Toscana sottolinea il suo impegno nel preservare e valorizzare il patrimonio storico legato all'assistenza sanitaria.

La sua dedizione alla ricerca e alla divulgazione gli ha valso riconoscimenti accademici prestigiosi, tra cui l'appartenenza all'Accademia "La Colombaria" di Firenze e all'Accademia dell'Arte Sanitaria di Roma. Inoltre, il Prof. Vanni è stato membro della Società Filoiatrica Fiorentina e ha ricoperto il ruolo di delegato nazionale alla Storia della Croce Rossa.

 

Fonte: Viviparchi.eu

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Alfonso Di Vestea
Foto elaborata da un immagine tratta da: ilprimato.com

 

Alfonso Di Vestea (1854-1938) è stato un eminente medico, batteriologo e virologo italiano nato il 20 luglio 1854 a Loreto Aprutino e deceduto il 25 aprile 1938 a Roma.

Dopo aver completato gli studi secondari presso il seminario di Atri, Di Vestea proseguì i suoi studi in medicina presso le università di Bologna e Napoli, laureandosi in quest'ultima città nel 1882 sotto la guida di Arnaldo Cantani. Si specializzò nel campo della microbiologia, lavorando presso l'istituto diretto da Cantani insieme a eminenti scienziati come Paolucci, Zagari, Ducrey e Tursini.

Nel 1886, grazie a una borsa di studio, si recò a Parigi dove apprese le basi della prevenzione antirabbica direttamente da Louis Pasteur, il quale l'anno precedente aveva sviluppato il primo vaccino antirabbico. Tornato a Napoli, Di Vestea si dedicò allo studio della rabbia e istituì un "Reparto della rabbia" presso l'istituto diretto da Cantani, focalizzandosi sulla ricerca e la prevenzione di questa grave malattia.

Nel 1887, insieme a Giuseppe Zagari, Di Vestea dimostrò che la trasmissione della rabbia al sistema nervoso centrale avviene attraverso i nervi periferici. Nel 1904, insieme a Remlinger, confermò indipendentemente la filtrabilità dell'agente eziologico della rabbia attraverso le candele filtranti di Berkefeld e di Chamberland.

Di Vestea si distinse anche nel campo dell'igiene, svolgendo un ruolo significativo nella divulgazione e nell'educazione attraverso il manuale universitario "Principi d'igiene", pubblicato a Torino dalla UTET nel 1908.

Dal punto di vista accademico, Di Vestea ricoprì importanti incarichi: fu professore di igiene a Palermo nel 1890 e l'anno successivo fu nominato capo del laboratorio della Scuola di sanità pubblica a Roma, antesignana dell'Istituto Superiore di Sanità. Nel 1892 ottenne la cattedra di igiene a Pisa, dove rimase fino al momento del pensionamento.

In onore dei suoi contributi, l'Università di Pisa gli ha dedicato l'Istituto di Igiene. La sua eredità continua a essere riconosciuta e celebrata nel campo della medicina e della ricerca scientifica.

Fonte: ilprimato.com

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

Giovan Battista Queirolo

 

Giovan Battista Queirolo, nato nel 1860, compì i suoi studi secondari presso il Liceo ginnasio di Chiavari. Successivamente, si iscrisse alla facoltà di Medicina dell'Università di Genova, laureandosi brillantemente nel 1882. Dopo la laurea, intraprese una carriera accademica e fu nominato prima assistente della Clinica medica e successivamente dell'Istituto di Patologia generale di Genova, sotto la direzione di Gaetano Salvioli.

Nel 1893, Queirolo ottenne un prestigioso posto alla cattedra di Clinica medica dell'Università di Pisa. Il suo arrivo a Pisa fu accolto con entusiasmo, e Queirolo stesso esprimeva il suo amore per la città con le parole: "Pisa sa che questo suo nuovo figliolo viene a lei col cuore pieno d'amore". La sua dedizione alla città di Pisa fu ricambiata con la nomina a consigliere comunale e successivamente come sindaco.

Nel 1905, Queirolo iniziò la sua carriera politica, venendo eletto deputato al Parlamento come costituzionale progressista. La sua carriera politica continuò con la rielezione nel 1913 e la nomina a senatore del Regno il 10 dicembre 1919.

Come medico, Queirolo incarnava un'ideologia che vedeva la clinica non solo come luogo di ricerca scientifica, ma anche di compassione e cura. Egli affermava che "la clinica deve essere ad un tempo scuola di scienza e di carità".

Dopo una lunga agonia, Giovan Battista Queirolo morì il 29 novembre 1930. Il suo prestigio fu tale che venne sepolto a Pisa nella Chiesa di San Francesco, in una cappella appositamente eretta per volere dell'Amministrazione degli Spedali Riuniti di Santa Chiara. La sua eredità come medico, accademico e politico rimane viva nella storia di Pisa e dell'Italia.

Fonte: wikipedia

Ricerca Storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Vasco Garardi 

Vasco Galardi, nato a Firenze il 25 febbraio del 1934, ha lasciato un'impronta importante nella ricostruzione storica della Croce Rossa nella provincia di Pisa. La sua passione per queste discipline ha guidato le sue azioni e ha plasmato la sua vita. La sua biblioteca personale , ricca di volumi su una vasta gamma di argomenti, testimonia la profondità dei suoi interessi e della sua conoscenza.

La sua dedizione al volontariato ha segnato gli anni cruciali della sua esistenza. Durante l'alluvione che ha colpito Firenze nel 1966, Vasco si è distinto per il suo impegno nel fornire soccorso e supporto umanitario. Questo spirito altruista lo ha spinto a partecipare attivamente ad altre iniziative di soccorso, incluso l'organizzare spedizioni per aiutare le vittime dei terremoti in Friuli e in Campania, dove ha contribuito a stabilire campi di soccorso.

Nel 1982, Vasco ha arricchito ulteriormente il suo coinvolgimento nel campo umanitario entrando a far parte dell'VIII Centro mobilitazione del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana presso il comitato di Firenze, dove ha servito con dedizione fino al suo pensionamento.

La sua passione per la storia ha trovato espressione anche nella scrittura. Vasco si è dedicato alla stesura di opuscoli e libri che narrano la storia dei paesi toscani e, in un'opera culminante, ha presentato il suo ultimo libro un mese prima della sua morte, trattando la storia della Croce Rossa nella provincia di Pisa.

Vasco G. è deceduto il 23 giugno 2001, lasciando dietro di sé un'eredità di altruismo, conoscenza e impegno umanitario che continuerà a ispirare le generazioni future.

 

 

 

 

 

 

L’attenzione verso la prima pandemia del XX secolo si è risvegliata in questi ultimi mesi, spinta dall’esigenza di approfondire le condizioni che fecero da sfondo ad uno degli eventi più letali del mondo moderno, la pandemia influenzale del 1918-19, passata alla storia col nome di “Spagnola”.

Sebbene la penisola iberica non avesse niente a che fare con l’origine della tremenda malattia, non essendo tra i paesi belligeranti, i giornali, non sottoposti alla pesante censura di guerra, pubblicarono le notizie sulla misteriosa malattia, sbarcata in Europa nella primavera del 1918. Fu così che, con grande disappunto degli spagnoli, il loro Paese fu per sempre associato alla pandemia, che, in tre diverse ondate, in meno di due anni, attraversò il mondo come un uragano, rappresentando uno dei maggiori disastri sanitari degli ultimi secoli, superata solo per morbilità e mortalità dalla Morte Nera (la peste del Trecento, ndr).

Stando alle stime più attendibili, in soli sei mesi, tra la fine di ottobre e l’aprile del 1919, colpì 500 milioni di persone (poco meno di un terzo della popolazione mondiale del tempo), uccidendone circa 50, secondo le stime più caute. In Italia, che fu il paese più colpito in Europa, insieme al Portogallo, le vittime furono 600 mila e negli Stati Uniti 675.000.La prima ondata si manifestò in un campo militare americano nella primavera del 1918. Portata in Europa dalle truppe in arrivo dagli Stati Uniti, si diffuse velocemente in Francia, Inghilterra, Italia. Durante la primavera ebbe un carattere mite, non diverso dalla normale influenza stagionale che i medici conoscevano da sempre e attribuivano al maligno influsso degli astri e alla loro sfavorevole congiunzione. La prima definizione, infatti, si deve allo storico fiorentino ‘Matteo Villani’ che, nel 1358, spiegava con le “costellazioni e aria fredda un’Influenza che aveva colpito poco meno che tutti i corpi umani della città e distretto di Firenze e delle circostanti vicinanze”.

L’ondata primaverile, mite, non diversa dalle solite influenze stagionali, non mise dunque in allarme i medici. Vincolati da un Decreto dell'ottobre del 1917, che puniva severamente chi provocava allarme, deprimendo lo spirito pubblico, nelle settimane cruciali dell’epidemia, i giornali tacevano sulla preoccupante escalation di quella strana influenza. Del resto, in estate parve scomparire. Nella tarda estate, a partire da agosto- settembre ricomparve però con la forza di un uragano devastante.

La malattia si manifestava bruscamente “con lieve catarro del naso” ed era caratterizzata “da senso di molestia alla gola, da stanchezza, da dolori vaghi a tutto il corpo”. Seguivano rapidamente la febbre, alta, in molti casi, testimoniavano i medici “preceduta da brivido o accompagnata da forte mal di capo, l'arrossamento degli occhi che male sopportano la luce, la tosse stizzosa, molte volte perdita di sangue dal naso”. Forse per non allarmare la popolazione, non si parlava delle possibili e frequentissime complicazioni, responsabile dell’alta mortalità: tracheobronchiti, bronchiti acute, catarri soffocanti, polmoniti lobari, ecc. Ad essere colpiti furono soprattutto i giovani adulti (20-40 anni), piuttosto che gli individui avanti con l’età.

La scienza medica brancolava nel buio. Le luminose certezze accumulate nell'ultimo ventennio dell'Ottocento con la “rivoluzione batteriologica” si dissolvevano come nebbia al sole, mentre infuriava una delle più micidiali epidemie di tutti i tempi: la malefica “semenza del morbo” restava avvolta nel mistero : appariva sempre più chiaro che l’Haemophilus influenzae isolato nel contesto della precedente pandemia del 1889-90 da un allievo di Koch, Richard Pfeiffer non era l’agente causale dell’Influenza, mentre cominciava ad avanzare l’ipotesi di un agente infettivo di dimensioni infinitesimali – ‘un virus ultra-filtrabile’. Ad uccidere - spiegavano tutti - non era l’influenza in sé, bensì le complicazioni pleuropolmonari. Non esisteva profilassi: il consiglio divulgato dalle autorità sanitarie e dai numerosi ‘avvisi’ pubblicati dai giornali, era di “evitare il contagio e di praticare grande pulizia delle mani, delle cavità nasali, della bocca”.

La tremenda Spagnola trovava le popolazioni in condizioni di debolezza e prostrazione, dovute ai lunghi anni di guerra. Ma trovava anche strutture sanitarie al collasso. Buona parte dei medici, degli infermieri e dei farmacisti si trovava al fronte, mancavano le medicine e persino i generi di prima necessità per i malati e i convalescenti. Le sparse informazioni parlano di cure a base di tintura d'oppio canforata, di acido fenico, di iniezioni di percloruro di mercurio. Negli ospedali si ricorreva, secondo i casi, a iniezioni ad alte dosi di canfora, al siero anti-pneumococcico, alla somministrazione di fenolo e mentolo. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre , si susseguirono le misure profilattiche adottate dai sindaci e dagli ufficiali sanitari , sulla base delle circolari del ministro dell'Interno: individuazione dei focolai epidemici; isolamento, se possibile, dei malati, anche negli ospedali, dove erano proibite le visite; chiusura delle scuole, eliminazione dei contatti con i malati e con possibili infetti; riduzione al minimo di riunioni pubbliche in locali chiusi come teatri e cinematografi; disinfezione accurata e pulizia di case, uffici pubblici e chiese.


I vescovi impartirono ordini severissimi ai parroci perché non trascurassero la disinfezione di banchi e confessionali. Era proibito suonare le campane a morto: il lugubre rintocco che scandiva la giornata nelle grandi città come Milano e Roma- dove i morti, a metà ottobre, si contavano a centinaia - era ritenuto deleterio per ‘lo spirito pubblico’. L'orario di chiusura di bettole, osterie e rivendite di generi alimentari era fissato per le ore 21, mentre era prorogato l'orario di chiusura delle farmacie. Tutte le feste patronali erano sospese. Le strade erano invase dall’odore di acido fenico. Medici e infermieri dovevano usare una mascherina di garza. Manifesti e giornali traboccavano di consigli per evitare l’influenza: evitare i luoghi affollati e gli ‘agglomeramenti’, osservare la più scrupolosa igiene individuale, lavarsi le mani, non sputare, un’abitudine allora diffusissima in tutti gli strati sociali. Molti presero a fumare nella convinzione che il fumo uccidesse “i germi dell’influenza”. Altri intensificarono le bevute, con l’idea che l’alcol allontanasse la malefica malattia. Adottata nelle grandi città degli Stati Uniti, la quarantena e le altre restrizioni non furono adottate in Italia, dove lo stato di guerra esigeva la libera circolazione di uomini e mezzi.

Mentre cresceva l'attesa della fine del sanguinoso conflitto, una serie di proibizioni - provenienti da sindaci, medici provinciali, prefetti - modificò nel profondo la vita quotidiana della gente: proibito recarsi a visitare gli ammalati, andare in chiesa, portare le condoglianze alle famiglie dei defunti, un uso radicato nelle tradizioni popolari, seguire i funerali.

Al calare della notte i circoli, i caffè, le bettole chiudevano i battenti facendo precipitare nel buio le strade della città. Da un giorno all’altro, anche aree lontane dalla zona di guerra, le popolazioni civili furono sottoposte ad una rigida disciplina, quasi militare. Nelle farmacie la gente faceva la fila per acquistare chinino e aspirina. L'impegno profuso dai giornali nel minimizzare e l'assoluto silenzio sulle reazioni popolari, non riesce a nascondere del tutto l’ansia, lo sgomento e la paura, l’impatto di misure che modificavano il vissuto della gente.

Nella prima decade di novembre del 1918, mentre nei laboratori, i ricercatori sperimentavano il fallimento dei tentativi di preparare un siero immunizzante efficace con cui eseguire esperimenti sugli animali ed applicazioni terapeutiche, la pandemia sembra allentare la presa, dopo aver attraversato l’Italia come un uragano, facendo fare un balzo del 21 per mille alla mortalità ordinaria nelle regioni più colpite (Lazio, Sardegna, Basilicata, Calabria). Ma nell’inverno 1918-19, favorita forse anche dagli ‘agglomeramenti’ provocati in novembre dalle grandi manifestazioni di piazza di folle festanti per la fine della guerra e la firma dell’armistizio- si verifica una ‘terza ondata’ più mite, legata anche al fatto che come per altri ceppi influenzali, l’influenza doveva essere diventata più attiva nei mesi invernali. Infine, verso la metà del 1920, a circa due anni dal suo esordio, quel ceppo mortale di influenza sembra scomparire, anche se non abbiamo dichiarazioni solenni o memorabili sull’uscita di scena di ‘quel morbo così funesto per l’umana gente’ – per riprendere le parole del direttore del Laboratorio batteriologico della Sanità pubblica, Bartolomeo Gosio.

Che, in una pubblicazione sugli Annali d’Igiene (1922) ammette che ‘per fortuna dell’umanità’ era venuto ‘in gran parte a mancare il materiale clinico d’indagine’, anche se era ‘da temersi purtroppo che la semenza del morbo non fosse spenta’. Cosa che suscitava l’inquietudine di igienisti e patologi, impegnati a discutere, nel 1921-22, se ‘i parossismi’ più o meno accentuati di quel biennio fossero ‘epidemie di ritorno’. Si può però dire che la fine della Spagnola si verificò, a due anni di distanza dal suo esordio: il virus aveva circolato in tutto il mondo, infettando così tante persone da ridurre il numero di nuovi ospiti suscettibili perché il ceppo influenzale diventasse di nuovo una pandemia. Si calcola che un terzo della popolazione mondiale avesse contratto il virus che verrà isolato solo nel 1933. Stando alle ultime ricerche, quella catastrofe fu provocata da un virus A/HIN1 di probabile origine aviaria, completamente nuovo per la popolazione umana, che quindi non aveva difese nei suoi confronti. Nel 2005, un gruppo di ricerca ha annunciato su Science e Nature di aver determinato con successo la mappatura del genoma, grazie al recupero dal corpo di una vittima sepolta nel permafrost dell'Alaska e da campioni di soldati americani morti di Spagnola.

L’esperienza del passato è quanto mai importante nell’affrontare un tema come quello delle pandemie influenzali, eventi che si ripetono nel tempo, senza dimenticare che i fenomeni epidemici ricorrono spesso con le stesse modalità, anche se non in maniera del tutto simile. Il susseguirsi delle diverse ondate epidemiche della Spagnola, dalla più mite alla più grave, propone un possibile andamento naturale delle epidemie. Le lezioni del passato sono preziose e le conoscenze acquisite dalla ricostruzione storica degli eventi pandemici rappresentano un punto di riferimento, restando però pronti - come c’insegna l’attuale pandemia causata da un altro virus che il mondo sta affrontando – a far fronte a dinamiche nuove, bizzarre e inattese, perché anche i virus modificano i loro comportamenti in un mondo globale e in continua evoluzione.

 

Fonte: vaccinarsi.org

Ricerca: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

merelli livio
 Fonte:  archivio UNIPI

 

Livio Merelli
Piacenza, 21 novembre 1886
Pisa 12 ottobre 1918

Profilo storico della Croce Rossa Italiana: Dott. Livio Merelli, Tenente medico C.R.I.; Socio perpetuo C.R.I. “alla memoria”; Medaglia d’argento al merito della Salute Pubblica “alla memoria”.

Nasce a Piacenza il 21 novembre 1886. da Giacomo e Anna Arata; poco dopo la sua nascita la famiglia trasferisce la propria residenza a Parma, città di origine dei genitori.
Nell’anno accademico 1905-1906 si iscrive al primo anno della facoltà di medicina e chirurgia della R. Università di Pisa, qui segue con pieno successo gli studi e nel 1911 consegue la Laurea “con lode” in Medicina e Chirurgia.


Poco dopo, a causa dell’epidemia colerica che colpisce Pisa, il giovanissimo medico presta servizio volontario come “interino”, esercitando il compito provvisoriamente assegnato presso la condotta medica di Lungarno Galilei a Pisa. Il Dott. Merelli si dimostrò un appassionato studioso, un attento osservatore e un prolifico relatore; la sua vocazione era quella di percorrere la carriera universitaria dedicandosi alla ricerca ed all’insegnamento, decise quindi di trasferire la sua residenza da Parma a Pisa, in Via Rigattieri, e di effettuare l’iscrizione obbligatoria all’Albo dei Medici Chirurgi di questa stessa Provincia.
Tra il 1912 ed il 1913 il dott. Livio Merelli si iscrisse al Comitato di sezione della Croce Rossa Italiana, si arruolò anche tra i volontari “a disposizione” per essere chiamati a prestare servizio in caso di guerra o di pubbliche calamità come Medico Assistente di 2^ classe, corrispondente all’epoca al grado di Sottotenente medico C.R.I..


Il 16 novembre 1913 iniziò la desiderata carriera universitaria conseguendo la nomina ad “Assistente volontario, confermato tacitamente di anno in anno sino a contraria disposizione”, presso la Clinica Medica Generale dell’Università di Pisa diretta dal Prof. Giovanni Battista Queirolo.


L’ 1 aprile 1914, il riconoscimento del suo impegno all’Università portò ad una prima sostanziale modifica, il Dott. Merelli venne nominato “Assistente in soprannumero”, con uno stipendio annuo di lire 1.200, e fu assegnato all’Istituto di Igiene della R. Università di Pisa, in questo istituto, sotto la direzione del Prof. Alfonso Di Vestea, in poco tempo divenne “Assistente effettivo” rimanendo con tale titolo a servizio della scienza medica fino alla sua prematura morte.


Di quei primi anni ci giungono interessanti pubblicazioni in campo medico scientifico:
“Sulla etiologia della parotite epidemica, ricerche batteriologiche e sierodiagnostiche” pubblicato in Pathologica: Volume 4, Istituto di Clinica Medica Generale della R. Università di Pisa, 1913.
“Cultura placentare in vitro, sulle culture pure di cellule neoformate, sulle leggi di blastotropismo generativo….” Istituto di Igiene della R. Università di Pisa. 1914.
“Vaccinazioni multiple simultanee, nota preventiva” Istituto di Igiene della R. Università di Pisa, Tipografia G. Schenone, Genova, 1915.


Con l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915, Livio Merelli, a 29 anni, viene chiamato in servizio attivo nel personale militare della Croce Rossa Italiana in qualità di medico assistente, con il grado di Sottotenente medico; viene assegnato all’Ospedale militare territoriale della C.R.I. a Marina di Pisa, in approntamento, che con l’ Ospedalino Militare di Migliarino Pisano, ubicato all’interno della Tenuta di Migliarino, entrarono in funzione il 28 luglio 1915; le due strutture erano poste agli ordini del Direttore Comandante, Prof. Antonio Cesaris-Demel, Maggiore medico C.R.I..


Nel gruppo iniziale dei medici assistenti chiamati in servizio, con il protrarsi della grande guerra, si registreranno numerose modifiche con l’acquisizione di nuovi elementi, con trasferimenti per altre destinazioni e, purtroppo, decessi. La squadra iniziale del personale medico era composta dal Tenente medico CRI Dott. Augusto Basunti, e dai Sottotenenti medici CRI: il dott. Vincenzo Sassetti, il Dott. Dino Bogi, e dal Dott. Livio Merelli; i chirughi furono: il Capitano medico CRI prof. Guido Ferrarini ed il Capitano medico CRI cav. Dott. Oreste Baciocchi.


L’impianto ospedaliero della Croce Rossa Italiana a Marina di Pisa, con 160 posti letto, per il ricovero dei soldati feriti evacuati dal fronte con i treni ospedale, risultò una struttura completa ad alta specializzazione chirurgica, cui si aggiungeva l’Ospedalino Militare nella Tenuta di Migliarino Pisano, con 40 posti letto iniziali, voluto dal Duca Salviati; nonostante la distanza quest’ultimo fu un reparto di degenza e convalescenza per i soldati feriti, ormai in via di guarigione, che lì venivano trasferiti da Marina di Pisa.


Nonostante i buoni successi riportati nelle cure si faceva appena in tempo a dimettere i fortunati guariti che purtroppo arrivavano altri treni ospedale con nuovi soldati feriti sgombrati dal fronte. Instancabili i medici operarono, amputarono e curarono, ma combatterono soprattutto contro le infezioni, riportate spesso a seguito dei primi interventi chirurgici effettuati sotto le tende degli ospedali al fronte e, non esistendo ancora gli antibiotici come li conosciamo oggi, con i rimedi dell’epoca era spesso una lotta impari che poteva portare alla morte.


All’interno dell’Ospedale a Marina di Pisa erano stati impiantati un laboratorio di ricerca batteriologico ed un laboratorio istologico, il Direttore Comandante, Prof. Antonio Cesaris Demel, volle affidarli al Sottotenente medico Dott. Livio Merelli in quanto già valente Assistente nell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Pisa.


Il Dott. Livio Merelli, oltre ai suoi doveri di ufficiale medico, si adoperò quindi con dedizione e passione a tale incarico, riuscendo persino a coinvolgere colleghi, e insigni studiosi dell’Università di Pisa che offrirono la loro opera e, quando le ricerche esigevano maggiori approfondimenti, si ricorreva alle migliori strumentazioni dell’epoca messe a disposizione dall’Università stessa. Taluni casi curati in quelle tragiche circostanze divennero fonti per studi di medicina e chirurgia dell’Università di Pisa. La massima attenzione venne poi prestata in Ospedale all’igiene, alla pulizia della biancheria, alla lavatura ed alla sterilizzazione.


Proprio la dedizione e l’impegno, che al termine della sua vita gli saranno purtroppo fatali, a fine dicembre del 1915 salvarono la vita al Sottotenente Livio Merelli che mentre era impegnato in una ricerca di laboratorio a Marina di Pisa, per risolvere un caso clinico grave, avrebbe dovuto raggiungere l’Ospedalino militare a Migliarino Pisano per dare il cambio all’ufficiale medico di guardia; venne sostituito all’ultimo minuto dal collega Sottotenente Dott. Vincenzo Sassetti ma, l’automobile di servizio non giunse mai a Migliarino Pisano, durante il tragitto da Marina di Pisa, prima di arrivare nei pressi di San Piero a Grado ed imboccare il “Ponte del Re”, struttura sull’Arno che oggi non esiste più, l’automobile uscì fuori strada e si ribaltò più volte causando la morte del Sottotenente medico Vincenzo Sassetti ed il grave ferimento del conducente.
Il Sottotenente Livio Merelli fu anche l’animatore dei locali destinati al servizio di isolamento, per la profilassi e la cura nei casi di malattie infettive tra i soldati feriti e malati, dalle sue ricerche nelle cure ne trasse argomento per uno studio epidemiologico sulla Meningite cerebro-spinale, pubblicata nella sua qualità di Assistente dell’Istituto di Igiene della R. Università di Pisa nel 1916.


Sul finire del 1916, con decorrenza 31 agosto 1916, il Dott. Livio Merelli venne promosso per anzianità di Laurea al grado di Tenente medico C.R.I. “Medico Assistente di 1^ classe”.
Sul fronte italiano, Il 29 giugno 1916, avevano fatto la loro prima comparsa i gas asfissianti, allorché gli austro-ungarici attaccarono con massicce quantità, di una miscela di cloro e fosgene, le linee italiane a presidio del Monte San Michele; ora oltre al caro prezzo già pagato in morti e le sofferenze dei feriti ed i malati di guerra, lo sviluppo di questi nuovi metodi e mezzi di guerra aggiunsero altre sofferenze, oltre ad altre preoccupazioni; si dovette comunque provvedere alle cure per i sopravvissuti rimasti intossicati dai gas asfissianti.


Insieme alle contromisure per la protezione dalla nuova arma chimica, il Comando Supremo del Regio Esercito Italiano iniziò a preoccuparsi di altre insidie, per i nostri combattenti, che arrivarono dalle molte malattie che costantemente attentavano alla loro vita e che, nel logorio delle trincee, trovarono un terreno fertile dove diffondersi con potenza devastatrice. Venne presa la decisione di istituire dei “servizi batteriologi al fronte” presso i comandi di Corpo d’Armata, allo scopo di monitorare la situazione e dirigere l’esecuzione attenta delle norme di prevenzione indicate da quella branca della medicina che prende il nome d’Igiene; fu così che nel febbraio 1917 il Tenente medico CRI Livio Merelli, in qualità di specialista esperto, lasciò l’Ospedale Territoriale a Marina di Pisa e venne trasferito dal servizio territoriale alle unità mobili della C.R.I. presso l’esercito operante; venne destinato alla IV Armata, dislocata oltre l’Alta Valle del Cordevole, presso la Direzione di uno dei servizi batteriologici al fronte, il cui compito fu quello di combattere contro le malattie più diffuse e più pericolose negli anni della grande guerra: il tifo esantematico o petecchiale, il colera, la dissenteria amebica, la malaria, la tubercolosi. La formazione e l’esperienza del dott. Merelli si dimostrarono elementi utilissimi per il contrasto a queste malattie, e vennero adottate ulteriori misure di prevenzione per i soldati al fronte con la somministrazione di “vaccinazioni multiple simultanee”: un procedimento a cui, lo stesso Dott. Livio Morelli, aveva già dato notevole contributo in passato mediante pubblicazione di studi medico scientifici sull’argomento.


Questa attività durò fino al 24 ottobre 1917, quando avvenne lo sfondamento delle linee italiane da parte dell’esercito austro-ungarico: la sconfitta di Caporetto. Il R. Esercito Italiano, per non essere distrutto, dovette arretrare sul Tagliamento, con manovre disordinate, ed arretrò oltre fino a quando il 12 novembre 1917 si potette attestare su una nuova linea difensiva, quella del fiume Piave. In quei concitati e folli giorni l’Alta Valle del Cordevole, da sede del Comando del IV Corpo d’Armata, si venne a trovare in prima linea ed il Tenente medico Livio Merelli si prodigò, insieme agli altri militari C.R.I., come eroicamente poterono, alla cura dei numerosi soldati feriti che giungevano negli Ospedali da campo, i pochi rimasti operativi, in una situazione incerta e di pieno marasma. Mantenendo finalmente la nuova linea difensiva sul Piave, il R. Esercito, passato ora sotto il Comando Supremo del Generale Armando Diaz, in breve tempo si riorganizzava: il Tenente Merelli, ai primi del 1918, poté lasciare il “servizio batteriologico” e ritornare al servizio territoriale a Pisa.
Le ragioni di questa riassegnazione furono che presso la R. Università di Pisa venne istituito un corso per studenti militari del primo triennio di Medicina e Chirurgia, seguendo l’esempio delle Università di Padova e di Bologna, dopo la chiusura definitiva dell’Università Castrense – Scuola Medica, di San Giorgio di Nogaro, struttura rimasta sul territorio invaso dal nemico. Il Tenente Livio Merelli si divideva ora tra il servizio medico presso l’Ospedale militare territoriale della C.R.I. a Marina di Pisa, le ricerche batteriologiche di laboratorio e l’insegnamento al Corso per studenti militari quale Assistente di Igiene della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Pisa.


Dopo il rientro a Pisa il Tenente Merelli era rimasto in stretto contatto con un suo superiore nel “servizio batteriologico”, il Maggiore Medico Prof. Dott. Alberto Marrassini, libero docente ed Aiuto presso l’Istituto di Patologia Generale dell’Università di Parma, entrambi intenzionati a non disperdere il bagaglio medico esperienziale e le osservazioni scientifiche riportate al fronte.


Con il pieno assenso e sostegno del Direttore Comandante dell’Ospedale militare territoriale C.R.I. a Marina di Pisa, Ten. Colonnello C.R.I. Prof. Antonio Cesaris Demel, il Tenente Livio Merelli poteva ora continuare le ricerche in campo batteriologico dal suo osservatorio a Pisa dove del resto, in quel periodo, non mancarono di certo le malattie infettive e le epidemie che colpirono il territorio: tifo, tubercolosi, dermotifo e quella che venne definita per l’epoca “influenza dominante” che in seguito avrebbe preso il nome di influenza spagnola.


In quel periodo il Tenente Livio Merelli si tenne ancor più in stretto contatto con il Prof. Francesco Pardi, Presidente del Comitato di sezione di Pisa della Croce Rossa Italiana; il Comitato pisano della Croce Rossa, accogliendo le direttive del Presidente Generale della C.R.I., intendeva iniziare la lotta contro la tubercolosi sul territorio ed aveva indetto delle adunanze nelle quali erano intervenuti i più ragguardevoli cittadini e studiosi di Pisa, erano stati discussi i punti più importanti per un programma d’intervento e, con i suoi “buoni uffici”, la Croce Rossa permise la realizzazione di altri incontri a Pisa che abbozzarono realmente il piano di intervento, a tutela della salute pubblica, nella lotta contro questa malattia e le epidemie in genere, con il coinvolgimento di istituzioni che a quel tempo non erano affatto coordinate tra loro.


Quello che preoccupava di più il Tenente Livio Merelli ed il Maggiore Alberto Marrassini era la rapida diffusione dell’influenza dominante, iniziata quando il 21 marzo 1918 gli imperi centrali avevano tentato una grande offensiva sul fronte occidentale, la “Battaglia per l’imperatore”, che si fermò nel giro di pochi giorni perché i soldati crollavano a terra a causa di una febbre che si diffondeva rapidamente sui campi e nelle trincee, sia dall’una che dall’altra parte. Inizialmente i medici militari la scambiarono per una normale influenza visto che si manifestava con gli stessi sintomi, ma in realtà si trattò di una nuova terribile epidemia. Gli effetti di questa nuova epidemia di cui i medici faranno fatica ad individuare le cause e capire l’andamento, saranno devastanti in costi di vite umane.


A questa influenza sarà dato in seguito il nome di "spagnola" poiché la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli: la Spagna non era coinvolta nella guerra e la sua stampa non era soggetta a censura di guerra; mentre nei paesi belligeranti la rapida diffusione della malattia fu nascosta ai mezzi d'informazione; negli ambienti medico scientifici italiani, con le poche notizie a disposizione in quel periodo, venne utilizzato il termine “influenza dominante” o “dominante epidemia”.


La prima ondata era giunta a Pisa a fine primavera, inizio estate, del 1918. La malattia stroncava prevalentemente giovani adulti precedentemente sani ed aveva un tasso di mortalità alto, il quesito era se potesse ritenersi che nei giovani adulti l'elevata mortalità fosse legata alle forti reazioni immunitarie; mentre la probabilità di sopravvivenza, in alcune aree come le campagne, paradossalmente era più elevata in soggetti con sistema immunitario più debole, come bambini e anziani. L’osservazione dei soldati feriti e malati sgombrati dal fronte e sottoposti a ulteriore misura di quarantena presso l’Ospedale Territoriale C.R.I. a Marina di Pisa, portava a considerare, dai referti medici, che le circostanze speciali della guerra contribuivano spesso anche a una conseguente superinfezione batterica, ossia che l’ampia presenza di germi e batteri di diversa natura nelle zone di guerra contribuiva al diffondersi dell’epidemia. Di tutte queste attente osservazioni e ricerche il Tenente medico C.R.I. Livio Merelli, mentre compiva il proprio dovere nella cura dei malati, ne prendeva nota e trascriveva i risultati delle osservazioni medico scientifiche, lavorando notte e giorno senza risparmiarsi nella ricerca di una cura. Purtroppo nonostante le precauzioni e la profilassi adottata nel curare i malati, con l’arrivo della seconda ondata a fine settembre 1918, il Tenente Livio Merelli fu egli stesso vittima della malattia, le sue condizioni si aggravarono rapidamente nel giro di pochi giorni quando il 12 ottobre 1918 morì a Pisa, all’età di 32 anni. Il dolore ed il cordoglio fra i militi, il personale medico e le infermiere volontarie dell’Ospedale Territoriale C.R.I. a Marina di Pisa fu unanime.


Alle sue esequie venne ricordato dal Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Pisa, Cav. Prof. Giuseppe Gonnella, per le sue impareggiabili doti di Assistente nell’Istituto di Igiene della R. Università.
Il Direttore Comandante, Ten. Colonnello C.R.I. Prof. Antonio Cesaris Demel, il Presidente del Comitato di sezione di Pisa della Croce Rossa Italiana, Prof. Francesco Pardi, l’Ispettrice delle Infermiere Volontarie C.R.I. di Pisa, S.lla Clarice Pierini, la Vice Presidente della Sezione Femminile, Dame delle Croce Rossa, di Pisa, contessa Sofia Franceschi Bicchierai, e la famiglia Bertolini, oltre a curarne le esequie si divisero la quota necessaria e disposero l’iscrizione di Livio Merelli a socio perpetuo della Croce Rossa Italiana, alla memoria.


Il Maggiore medico Prof. Dott. Alberto Marrassini, dopo la vittoria del 4 novembre 1918, pubblicò, in Riforma Medica, giornale internazionale, edizione 1918, assieme al nome del dott. Livio Merelli “alla memoria” come coautore, i risultati raggiunti nella loro ricerca sulla dominante epidemia. Al termine il Maggiore Prof. Marrassini concludeva la pubblicazione scrivendo: “

Con questa pubblicazione si chiude l’attività scientifica e purtroppo la vita del Dott. Livio Merelli. Colpito dalla malattia duramente all’acme della sua diffusione in città, quando dai due studiosi eransi già ottenuti i primi risultati soddisfacenti delle prove sierologiche sopra descritte, il povero giovane ne è rimasto vittima. Non aveva che trentadue anni e dava così liete speranze di sé.”.


Con il Regio Decreto 11 giugno 1922 “Ricompense al merito della salute pubblica”, su proposta del ministro dell’interno, venne conferita al Tenente medico Merelli dott. Livio, la MEDAGLIA D’ARGENTO “alla memoria”. La notizia venne pubblicata sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Guerra, delle nomine e promozioni, nell’anno 1923.


Nel tempo il nome di Livio Merelli venne dimenticato, ma non le sue gesta ed il suo altruismo come medico ed uomo di Croce Rossa; nel Comitato C.R.I. di Pisa ed alla generazione cui appartengo, veniva tramandato per tradizione orale che un nostro ufficiale medico, mentre esercitava prestando le cure ai malati, fu vittima egli stesso dell’influenza spagnola. E’ stato quindi un onore ed un privilegio avere potuto recuperare, per questo nostro valoroso ufficiale nella grande guerra, lo spazio dovuto tra le memorie della Croce Rossa Italiana.

 

Livio Merelli ricerche laboratorio O.T.CRI M. di Pisa
Livio Merelli, al centro. Presumibilmente nel gabinetto dell'Istituto d'Igiene dell'Università di Pisa

 

Giuseppe Antonio CACCIATORE
Ricerca Storica C.R.I. Pisa.
giuseppe.cacciatore@cm.cri.it

 

 

 

 

 

 

community 3245739 1280

La collaborazione solidale con aziende, organizzazioni e comunità ha permesso alla Croce Rossa di Pisa di svolgere con successo la sua missione durante l'emergenza Covid-19.

Grazie ai contributi, abbiamo potenziato le attività sanitarie, sociali ed emergency logistiche.

I volontari hanno dimostrato dedizione e professionalità, affrontando le sfide con efficacia. La stretta connessione con le realtà che ci hanno sostenuto è stata cruciale per superare le difficoltà.

Grazie a tutti coloro che hanno partecipato a questo importante lavoro di squadra, dimostrando che l'unione ci consente di superare le sfide più ardue.

 

Vantaggi fiscali sono disponibili per le aziende donatrici.

 

 

 

logo firma fead


 

logo banco farmaceutico


 

 Fondazione Todisco Onlus

 


 

Ikea logo 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dame Visitatrici foto tratta da alessioporcu.it
Foto tratta da: alessioporcu.it

 

Durante il periodo travagliato della Prima Guerra Mondiale nel 1918, la Croce Rossa Italiana (CRI) si ergeva come un faro di speranza e sostegno per coloro che affrontavano le devastanti conseguenze del conflitto. In questo contesto di emergenza umanitaria, le donne che facevano parte della CRI giocavano un ruolo cruciale, offrendo assistenza sanitaria e umanitaria senza pari.

Conosciute come le "Dame della Croce Rossa Italiana", queste donne provenivano da una varietà di sfondi sociali e possedevano un'ampia gamma di istruzione. Molte tra loro appartenevano alle classi agiate della società e avevano ricevuto una formazione solida, consentendo loro di assumere incarichi di responsabilità all'interno delle strutture sanitarie.
Le Dame della CRI non si limitavano a fornire cure mediche ai soldati feriti e malati, ma abbracciavano un ruolo poliedrico. Gestivano la distribuzione di viveri e medicinali, organizzavano attività ricreative e di supporto morale per i militari e supervisionavano la gestione di ospedali da campo.

La loro dedizione e coraggio non conoscevano limiti, e il loro contributo durante la guerra si rivelò vitale per garantire cure mediche e supporto umanitario a coloro che ne avevano disperatamente bisogno in un periodo così difficile e critico.

Attraverso sacrifici personali e un impegno senza riserve, le Dame della Croce Rossa Italiana hanno dimostrato il vero spirito di altruismo e solidarietà umana, illuminando un sentiero di speranza nelle tenebre della guerra. La loro eredità di servizio e compassione continua a ispirare e a celebrare l'essenza stessa della generosità umana anche oggi.  
Roberto Marchetti

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Spilla CRI Giovanile CRIG

Foto: Spilla Croce Rossa Italiana Giovanile.
Fonte: dal web

 

 

Dal principio del 1915, la Croce Rossa di Pisa ha svolto un ruolo significativo nella promozione e nell'efficace implementazione della Croce Rossa Italiana Giovanile nell'ambito della propria giurisdizione. Quest'ultima, fondata con l'obiettivo di coinvolgere gli ambienti scolastici, ha dimostrato di essere particolarmente influente ed efficiente nel territorio pisano.

Il successo riscontrato tra gli studenti può essere attribuito a diversi fattori. In primo luogo, vi era una certa propensione dei giovani per il coinvolgimento nella guerra, un atteggiamento che sembrava essere condiviso e anche incoraggiato dai dirigenti locali della Croce Rossa. Questi dirigenti si sono impegnati a garantire che i giovani fossero adeguatamente preparati per affrontare situazioni di emergenza e a fornire loro le competenze necessarie per partecipare attivamente agli sforzi di soccorso.

Tuttavia, nonostante i successi ottenuti, sorgevano ancora questioni "civili" da affrontare. Ad esempio, era importante assicurarsi che gli sforzi della Croce Rossa Italiana Giovanile non fossero limitati esclusivamente alla preparazione per la guerra, ma che includessero anche un focus sulla promozione della pace, sulla solidarietà e sull'assistenza umanitaria in contesti non bellici. Inoltre, era essenziale garantire che le attività della gioventù crocerossina rispettassero i principi fondamentali della neutralità, dell'imparzialità e dell'umanità, che costituiscono il cuore dell'operato della Croce Rossa.

In sintesi, mentre la Croce Rossa Italiana Giovanile a Pisa ha ottenuto successi significativi nell'addestramento e nell'organizzazione dei giovani per il soccorso in tempo di guerra, c'era anche la consapevolezza della necessità di affrontare questioni più ampie legate alla promozione della pace e della solidarietà, nonché al rispetto dei principi umanitari fondamentali.

 

Fonte: La Croce Rossa Italiana nella provincia di Pisa dalle origini al 1914. Antonio Cerrai e Giuseppe cacciatore. Letteratura grigia

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 Giuseppe Cacciatore

Giuseppe Antonio Cacciatore, classe 1957, nasce ad Agrigento dove segue gli studi e realizza le prime esperienze lavorative e nell’impegno sociale. Nel 1982 nella Marina Militare frequenta il 23 corso radiotelegrafisti alla Scuola Telecomunicazioni FF.AA. (STELMILIT) a Chiavari (GE).

E’ stato in servizio nel Personale di Ruolo della C.R.I. dal 1995 al 2016 e, tra le altre esperienze, ha assolto l’incarico di conservatore dell’Archivio Storico del Comitato Provinciale C.R.I. di Pisa, dal 2012 al 2016. La sua esperienza lavorativa è variegata: Radiotelegrafista della Marina Militare, Tecnico delle telecomunicazioni, Insegnante nelle scuole medie superiori in Istituti Professionali e Tecnici. Dal 1988 si arruola volontario, come sottufficiale, nel Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, dove inizia a svolgere da militare C.R.I. periodi di servizio con “richiamo in servizio attivo temporaneo”.

Nel 2017, per effetto della legge di modifica dello stato giuridico della C.R.I., viene transitato al Ministero delle Finanze ed assegnato all’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Pisa, presso l’U.T. di San Miniato, ufficio poi passato sotto l’U.T. di Pontedera. Collocato in quiescenza dal 01/12/2022.

E’ stato in passato autore di articoli pubblicati su periodici locali e riviste specializzate. Ha conseguito varie qualifiche e specializzazioni tra cui quelle nel settore emergenze e protezione civile fino a divenire “Formatore Nazionale” della C.R.I.. Ha preso parte ad operazioni di soccorso sul territorio nazionale e missioni all’estero. Oggi rimane a disposizione dell’Associazione Italiana della Croce Rossa collaborando quale Consigliere Qualificato Istruttore D.I.U. in ambito Forze Armate ed Ufficiale del Corpo Militare Volontario della C.R.I. nel grado di Capitano, ruolo di riserva, appartenente al Centro di Mobilitazione Tosco Emiliano – VIII Firenze.

Contatti:
giuseppe.cacciatore@cm.cri.it

 

 

 

 

 

 

 Rose Montmasson

Rose Montmasson
Saint-Jorioz (Savoia) 1823 - Roma 1904


E poi l’omu eloquenti e virtuusu Crispi, cu l’eroina Rusulia Che lu so dignu spusu assicunnava Pri quanto la Sicilia scatenava

Fu da questo verso di una poesia popolare di Carmelo Piola che Rose Montmasson divenne per tutti Rosalia; con questo nome è passata alla storia, divenendo quasi cittadina di quella Sicilia che aveva contribuito a liberare.
Nasce in Savoia – parte del regno di Sardegna – il 12 gennaio 1823 in una famiglia di coltivatori, forse piccoli proprietari terrieri. Frequenta le scuole elementari e intorno ai 15 anni aiuta la famiglia nel lavoro dei campi. Forse a seguito della morte della madre decide di lasciare il piccolo borgo natio ed emigrare.
Non sappiamo esattamente le tappe del suo itinerario. Probabilmente si ferma prima a Marsiglia e poi a Torino, dove lavora come stiratrice. Non sappiamo neppure dove e quando sia avvenuto l’incontro, determinante nella sua vita, con il “cospiratore” Francesco Crispi. Crispi scrive infatti di averla conosciuta nel breve soggiorno nelle carceri di Palazzo Madama, dove era stato rinchiuso prima di essere espulso da Torino. In pochi giorni sarebbe quindi nato l’amore tra la giovane stiratrice e l’esule siciliano; un amore così forte che avrebbe spinto Rose a raggiungere il suo uomo a Malta. Ricerche recenti però fanno pensare che i due si siano conosciuti prima, forse addirittura nel passaggio di Crispi a Marsiglia, e che poi insieme si siano trasferiti a Torino. La convivenza sarebbe stata turbata dall’arrivo da Palermo di Felicita Valla, madre del figlio che ella aveva avuto anni prima da Crispi. 1
A Malta comincia per Rose una nuova vita. Certo, continua a lavorare per mantenere Francesco Crispi, ma incontra gli esuli italiani, partecipa alle loro riunioni, ascolta i loro discorsi che parlano di democrazia, di libertà e dell’unità d’Italia. Due di questi patrioti l’affascinano e resteranno suoi amici per sempre: Nicola Fabrizi e Giorgio Tamajo, ma più di tutti la sua attenzione è per un uomo lontano, da tutti venerato e chiamato “il Maestro”: Giuseppe Mazzini.
L’attività sovversiva di Crispi è attentamente seguita non solo dalle spie borboniche, ma anche dall’autorità inglese che governa sull’isola. Egli dirige un giornale politico «La Staffetta» e i suoi editoriali infuocati sono quotidianamente al vaglio della censura e diventano causa del decreto di espulsione.
Prima della partenza per Londra di Francesco, i due si sposano, forse dopo qualche resistenza di Crispi: l’amico Tamajo lo dissuade infatti dal compiere “questo grave atto” con una donna tanto dissimile dalle sue condizioni e dalle sue aspirazioni. 2
Dopo due mesi Rose raggiunge Crispi a Londra, con una tappa in Savoia per festeggiare il suo nuovo stato con i suoi familiari.
A Londra per i coniugi Crispi inizia un intenso periodo di cospirazione. Intimi di Mazzini, del quale Crispi diviene un fidato collaboratore, la coppia viaggia per l’Europa e si stabilisce per qualche anno a Parigi. Per Rose è un periodo di grande attivismo. Spesso viene incaricata di portare ai vari comitati insurrezionali messaggi, volantini e anche armi, che nasconde sotto i vestiti o, enfatizzando il sua aspetto contadino, in grandi panieri di frutta o verdura.
L’anno fatidico è il 1860. Nell’aprile Rose si mette in viaggio via mare con il postale: in meno di un mese va da Genova in Sicilia, dove anticipa la notizia dell’imminente arrivo di Pilo e di Garibaldi a diversi Comitati Cittadini; quindi s’imbarca per Malta per informare anche Fabrizi e Tamajo. Da Malta torna a Genova in tempo per chiedere e ottenere da Garibaldi in persona il permesso di partire. Crispi non approva, ma lei parte con lui. Garibaldi aveva accettato anche la richiesta di un’altra donna, Felicita La Masa, la quale viene convinta dal marito Giuseppe a non partire per proseguire il proprio impegno politico a Brescia.
Rose è dunque l’unica donna a partire da Quarto la sera del 5 maggio.
Il suo ruolo prevalente dopo lo sbarco è soprattutto di infermiera e sarà preziosissima a Calatafimi dove soccorre i feriti anche durante la battaglia. Per questo si guadagnerà l’appellativo di “Angelo di Calatafimi”. Così molti anni dopo la chiamerà, riconoscendola per strada, uno dei Mille suscitando verso di lei, ormai vecchia e malmessa, la sincera ammirazione di tutti gli astanti. In Sicilia comunque in quella impresa decisiva e sanguinosa furono presenti anche altre donne: fra le altre Jessie White Mario (i Mario e i Crispi strinsero una duratura relazione d’amicizia), Antonia Masanello, o Maria Martini della Torre, moglie del cospiratore cremonese e figlia del Generale Salasco, firmatario dell’armistizio tra il Piemonte e l’Austria.
Terminata la gloriosa spedizione, a Napoli, nei concitati giorni che precedono i plebisciti, Rose salva il marito da un tentativo di arresto gridando dalla finestra “vogliono arrestare Crispi!”, scatenando così la reazione del popolo che, unanime, riesce a salvarlo.
Rose segue Crispi deputato a Torino e Firenze e inizia per la coppia una fase di tranquillità e agiatezza. Soprattutto a Firenze Rose vive un periodo di grande splendore. Le signore della Firenze bene fanno a gara ad averla ospite nei loro salotti, lei la sola eroina dei Mille, amica di Garibaldi – che le manda i saluti in tutte le lettere che scrive a Crispi e le invia anche una ciocca dei suoi capelli – di Mazzini, di Cattaneo e di tutti i grandi del Risorgimento. Sempre a Firenze il salotto di casa Crispi diventa il salotto politico per eccellenza e di quel salotto lei è la regina incontrastata. È in questo periodo che alcuni dei Mille le regalano una croce di diamanti che Rose porterà sempre con grande orgoglio insieme alla Medaglia dei Mille (“è mia, perché io ero con loro”).
Trasferita la capitale a Roma, Crispi diventa sempre più un punto di riferimento della politica italiana. Lei invece si sente insoddisfatta e trascurata, e non lo nasconde. La situazione familiare è sempre più critica e destinata a precipitare.
Rose infatti lascerà la casa al termine di un “accordo” assai doloroso stipulato nel ’74. Si trasferisce in via della Croce e poi in via Torino, dove morirà. Questo accordo – stretto con la mediazione di Agostino Bertani e Giorgio Tamajo – prevede un vitalizio consistente e l’uscita di casa di Rose.
Il 30 dicembre 1875 scrive all’amico Agostino Bertani, firmandosi Rosalia Crispi: “Il 28 cadente alle 11 ant. Io sono uscita di casa mia, onde non essere più esposta alle sevizie di Francesco Crispi, che ora mi rinnega per sua moglie”.
Nel‘71 Crispi aveva infatti cominciato una relazione con Lina Barbagallo. 3
Dopo tre anni dalla separazione però la vita privata di Crispi esplode pubblicamente: avendo sposato la Barbagallo dopo la nascita di una figlia, nel ’78 viene accusato di bigamia dal «Piccolo»; per difendersi, dichiara che quello con Rose era un matrimonio nullo, per le condizioni in cui venne celebrato; un procedimento a Napoli stabilisce poi che quello di Malta fu un “simulacro di matrimonio”. Tutta la vicenda viene, comprensibilmente, fortemente strumentalizzata sul piano politico.
Dopo la rottura del ‘74 e il clamore del ‘78 Rosalia conduce una vita ritirata, circondata dai gatti e dedita al ricamo. Esce raramente, non manca mai però di essere in prima fila a tutte le celebrazioni del 20 settembre.
Dimenticata dai più, morirà a Roma il 10 novembre 1904. Aveva disposto di essere sepolta con la camicia rossa – molti dei Mille lo chiesero; su un cuscino innanzi al feretro furono poste le sue medaglie, testimonianza della sua vita. Ebbe, come desiderava, una cerimonia laica. Nascosta in una carrozza, schiacciata dal peso degli anni e del cognome, volle partecipare alla cerimonia Maria Crispi Caratozzolo, sorella maggiore di Francesco.
Furono presenti gli esponenti di tutte le associazioni risorgimentali, ma nessuna autorità di quello Stato che Rose aveva contribuito a creare, eccezion fatta per il Senatore Cucchi, che lesse l’Orazione funebre. “Ebbi la fortuna di conoscere Rosalia Montmasson il 5 maggio 1860, mentre col marito Francesco Crispi, saliva a bordo della nave, in cui si trovava Giuseppe Garibaldi, la nave che conduceva i Mille a Marsala. Da Quarto a Marsala, Rosalia Montmasson non si occupò che di tutto quello che poteva servire ai garibaldini. A Calatafimi assistette i feriti con fede, con diligenza ed amore. Non mi dilungherò sulla vita della valorosa donna che cooperò grandemente alla indipendenza d’Italia e fu una delle grandi amiche del nostro paese. Le porgo l’ultimo saluto”.
Meno poetico, ma più diretto, il giudizio che ne dà in una sua lettera (7 novembre 1862) Giuseppe Mazzini, affezionato alla democratica Rose alla quale rimproverava una certa “ingenuità politica”: “Essa certamente non è dei moderati”. Difficile non concordare con lui.
Di Guido Palamenghi Crispi

 

  1. Qualche storico sostiene che il figlio vivesse già a Torino col padre e Rose. Prima della relazione avuta con Felicita Valla, Francesco Crispi era rimasto vedovo della moglie Rosina D’Angelo, morta di colera nel 1839 e madre di Giuseppa e Tommaso, i primi due figli di Crispi.
  2. Gualtiero Castellini, Crispi, G. Barbera, Firenze, 1924, seconda edizione. Tamajo, che diverrà Senatore del Regno d’Italia sarà molto presente nella vita dei Crispi. Napoletano, esule a Malta, legatissimo a Nicola Fabrizi, con lui sbarcherà in Sicilia a fine maggio del ’60; testimone alle nozze, con Agostino Bertani sarà artefice del successivo accordo di separazione tra Rose e Crispi.
  3. Crispi nel ‘73 aveva avuto un figlio anche da Luisa Del Testa.  

Fonte: enciclopediadelledonne

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Vescovom Gabriele Vettori

 

Gabriele Vettori è stato un vescovo cattolico italiano. Nasce a Fibbiana, una frazione di Montelupo Fiorentino il 13 dicembre 1869. Si forma nel Seminario di Fiorenzuola ed è vescovo di Tivoli dal 1910 al 1915. Regge poi le diocesi di Pistoia e Prato e il suo vescovado coincide con l'ampliamento della diocesi pratese, sancito con decreto della Congregazione Concistoriale del 3 settembre 1916.

Con l'annessione di 28 parrocchie già appartenenti alla diocesi pistoiese e di 12 appartenenti a quella fiorentina la circoscrizione della Diocesi di Prato si estende così a tutto il territorio del Comune. La sua azione pastorale nel periodo post bellico si spende per pacificare gli animi e per promuovere l'associazionismo cattolico, in maniera del tutto conforme con le volontà pontificie volte alla restaurazione della «società cristiana». Il 6 febbraio 1932 è nominato arcivescovo di Pisa. Assistente al soglio pontificio, nel 1934 diviene Grande Ufficiale dell'Ordine Supremo del Santo Sepolcro.

Come Arcivescovo di Pisa compie due visite pastorali, istituisce l'Ufficio catechistico diocesano e dell'Azione Cattolica. Scrive molte lettere pastorali e cura i restauri del palazzo arcivescovile. Particolare è il suo impegno per la popolazione civile durante l'ultima fase della Seconda guerra mondiale quando, rimasto unica autorità presente a Pisa, alloggia, nutre e cura migliaia di sfollati; per questo ottiene la cittadinanza onoraria. Si impegna inoltre per i prigionieri di guerra del campo di concentramento di Coltano. E' colpito da malore e muore il 2 luglio 1947 a Ripa di Stazzema. E' sepolto in cattedrale.

Fonte: beweb.chiesacattolica

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Guidi Guido Buffarini
Foto tratta da memoiresdeguerre

Guido Buffarini Guidi

Nacque a Pisa il 17 ag. 1895 da Luigi e da Liberata Bardelli. Volontario in un reggimento di artiglieria, trascorse quattro anni al fronte, raggiungendo il grado di capitano nel 1917. Si guadagnò tre croci al merito di guerra. Rimase in servizio attivo fino al 1921, ottenendo però l'autorizzazione a studiare legge all'università di Pisa, dove si laureò nel marzo 1920. Sposò Maria Augusta Macciarelli.

Fu tra i principali organizzatori delle squadre fasciste pisane. Nell'aprile 1923 fu eletto sindaco di Pisa. Rassegnò le dimissioni da tale ufficio nel giugno 1924 alla sua elezione a deputato nelle liste del partito fascista per la Toscana come rappresentante per la provincia di Pisa. Con la nomina a podestà e a segretario federale, divenne la principale personalità politica della provincia; praticava inoltre l'avvocatura (era anche presidente del Comitato pisano di azione dalmata e console onorario della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale).

Tra i "ras" del "Granducato di Toscana" il B. aveva fama di bonaria moderazione, avendo frenato taluni eccessi durante le prime attività degli squadristi locali. Le sue notevoli capacità amministrative nell'imporre abilmente il controllo del partito fascista, da Pisa a tutta la Toscana, contribuì alla sua nomina, l'8 maggio 1933, a sottosegretario del ministero dell'Interno, succedendo a Leandro Arpinati.

In questo posto chiave al centro del potere il B. ebbe l'abilità di estendere, attraverso le province d'Italia, l'effettivo controllo sugli enti locali con la nomina di prefetti a lui fedeli, e di bilanciare l'influenza e le ambizioni dei segretari nominati dalla segreteria del partito come rappresentanze competitive del potere locale.

Per dieci anni il B. controllò direttamente la macchina dell'amministrazione italiana. Coi quotidiani rapporti a Mussolini sullo stato della pubblica opinione e sulle voci di opposizione al regime, scavalcando la segreteria privata del duce, creò efficienti proprie fonti di informazione ad ogni livello. della società italiana.

Con Galeazzo Ciano, salito contemporaneamente attraverso i labirinti del potere, il B. stabilì, per parecchi anni, assai stretti rapporti e queste due personalità, con l'appoggio dei loro "clans" privati, rimasero al centro del sistema finché la crescente dipendenza dell'Italia dalla Germania nazista scatenò sulla scena romana nuove rivalità intestine. Il B. contrastò la mastodontica espansione della macchina del partito fascista, estesa sulla falsariga del modello nazista, dopo il 1938, in tutti i settori della vita pubblica italiana. Tentò di limitare l'applicazione delle leggi antiebraiche votate dal Gran Consiglio in quell'anno su pressione tedesca e contrastò entrambi i successivi segretari del partito nei loro tentativi di sminuire la sua personale influenza su Mussolini e il suo controllo su tutti gli aspetti degli affari interni.

Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, la profonda conoscenza del B. dello stato della pubblica opinione, il suo vigilante controllo sul disfattismo e i complotti dei gerarchi fascisti, sulla distaccata neutralità del Vaticano e sul serpeggiare di atteggiamenti di "fronda "nei chiusi circoli della corte provocarono in lui un cauto pessimismo su una possibile vittoria.

La provvisoria alleanza tra i suoi rivali e nemici politici provocò nel febbraio 1943 le dimissioni del B. dal governo contemporaneamente a Ciano, già suo alleato. Rimasero, entrambi, tuttavia, membri del Gran Consiglio, su speciale dispensa di Mussolini. Durante l'agitato periodo tra il febbraio e il luglio del 1943, il B. rimase passivo e isolato nel sùsseguirsi di varie congiure, che sfociarono negli eventi del 24 luglio. Fu presente alla famosa seduta notturna del Gran Consiglio e vótò in favore di Mussolini. Il 26 luglio, insieme con altri gerarchi fedeli a Mussolini, fu arrestato per ordine di Badoglio e imprigionato a forte Boccea.

Il 12 sett. 1943 i tedeschi liberarono il gruppo e trasferirono in aereo il B. e alcuni suoi compagni a Monaco. Nella nuova amministrazione "repubblichina", allora instaurata nell'Italia settentrionale, per mantenere l'apparenza di uno Stato fascista fedele all'alleanza con l'Asse, il B. fu nominato ministro dell'Interno. Egli dovette poi lottare invano con gli strascichi di passate rivalità e vendette personali tra quei gerarchi che avevano seguito Mussolini a Salò. Con lo sviluppo della resistenza armata e con l'inesorabile dissolversi di ogni parvenza di legalità e di ordine in tutta I'Italia settentrionale il B. divenne il simbolo dell'impotenza e dell'impopolarità della repubblica di Salò. Il 12 febbr. 1945, in circostanze che rimangono ancora poco chiare, fu sollevato dall'incarico da Mussolini, e scomparve nell'ombra degli ultimi giorni che videro la disintegrazione dell'effimera amministrazione repubblichina.

Il B. era presente a Como durante le ultime ore dell'esodo dell'ultima colonna e insistette energicamente affinché il gruppo degli ultimi fedeli che attorniavano Mussolini cercasse scampo in Svizzera. Il 26 apr. 1945, mentre tentava di varcare la frontiera, fu catturato dai partigiani. Il mese seguente fu processato dalla Corte straordinaria d'assise e, il 10 luglio 1945, dopo un vano tentativo di avvelenamento, fu fucilato nella prigione di S. Vittore.

Fonti e Bibl.: L. Federzoni, Italia di ieri per la storia di domani, Milano 1967, passim; G.Ciano, Diario (1939-1943),Milano 1968, ad Indicem;E.Cione, Storia della Repubblica sociale ital., Roma 1951, ad Indicem;R. De Felice, Storia degli ebrei ital. sotto il fascismo, Torino 1961, ad Indicem;G. Bianchi, Venticinque luglio: crollo di un regime, Milano 1963, ad Indicem; N.Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1964, passim;A. Aquarone, L'organizzazione dello stato totalitario, Torino 1965, ad Indicem;F. W.Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1970, ad Indicem.

Fonte: treccani

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

Il 5 Novembre 1883 usciva la prima edizione del giornale locale Il Ponte di Pisa. 

 

Il Ponte

Pagina 1 - anno 1- n. 1

 

Fonte: Internet culturale. Cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche Italiane 

 

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 Antonio Cesaris Demel
Foto ritratto di ufficiale anonimo in collezione privata attribuito al Maggiore medico Antonio Cesaris-Demel
identificato presso l'Istituto di anatomia patologica 1 dell'università di Pisa e dalla stessa famiglia.
 
 
Verona il 2 agosto del 1866
Pisa il 18 marzo 1938.

Profilo storico della Croce Rossa Italiana: Prof. Dott. Antonio Cesaris-Demel Tenente Colonnello medico CRI.

Nato a Verona il 2 agosto 1866, figlio di Pietro e Maria Borsa, consegui la laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Torino il 5/7/1890, dove in seguito divenne assistente, e poi aiuto, nell’Istituto di Anatomia Patologica diretto dal Prof. Pio Foà.
Nel 1896 ottenne la libera docenza, si sposò con Amalia e nel 1898 nacque il figlio Venceslao.
Nel 1900, dopo aver vinto il concorso, venne nominato professore di anatomia patologica alla R. Università di Cagliari. E’ in questo periodo che Cesaris-Demel e la moglie Amalia diventarono soci della Croce Rossa Italiana, il professore si iscrive, anche, tra i disponibili a prestare servizio della IX Circoscrizione di Roma, oggi IX Centro di Mobilitazione, che all’epoca aveva competenza territoriale sulla Sardegna.
Tra il 1903 ed il 1904 lasciò la R. Università di Cagliari e, per un brevissimo periodo di tempo, si trasferì alla R. Università di Parma, ma subito dopo, per la prematura morte del Prof. Tito Carbone, gli venne assegnata la cattedra di Anatomia patologica della R. Università di Pisa, città nella quale risiedette stabilmente fino alla sua morte, avvenuta il 18 marzo 1938.
Dal suo arrivo a Pisa nel 1904 non vi sono memorie nelle attività della Croce Rossa Italiana se non per la presenza assidua della moglie, Amalia Cesaris-Demel, tra le volontarie attive della sezione femminile, dame della Croce Rossa.


Il 24 maggio 1915, allo scoppio della grande guerra, il professore fu richiamato, con il grado di Maggiore medico CRI, in servizio attivo su ordine del Presidente Generale della C.R.I. e venne designato come: Direttore comandante per l’Ospedale Militare Territoriale della C.R.I. in allestimento a Marina di Pisa nell’immobile, sgombrato, del Ricovero Ospizio Marino a Bocca d’Arno.


Il Professore si rese subito disponibile e cooperò con il collega Prof. Francesco Pardi, all’epoca Presidente ad interim della Croce Rossa Italiana di Pisa, incaricato per l’allestimento, la scelta delle dotazioni, delle attrezzature mediche e della strumentazione diagnostica, organizzando efficientemente quell’Ospedale che alla fine dei lavori risultò, per l’epoca, un centro ad alta specializzazione chirurgica.
L’ospedale entrò in funzione il 28 luglio 1915, gli ufficiali coadiutori del Prof. Cesaris-Demel furono il Capitano medico CRI prof. Guido Ferrarini, da taluni autori erroneamente individuato nella funzione di Direttore, ed il Capitano medico CRI cav. dott. Oreste Baciocchi, entrambi già famosi, che si dimostrarono chirurghi valorosissimi, intelligenti ed alacri. Gli ufficiali medici assistenti furono: il Tenente medico CRI dott. Augusto Basunti, ed i Sottotenenti medici: Vincenzo Sassetti, Dino Bogi, Livio Merelli; per l’amministrazione e logistica il Tenente commissario-contabile CRI rag. Gino Ricci.


Per il suo regolare funzionamento l’Ospedale Militare Territoriale necessitò di non meno di 100 uomini, oltre ad un nutrito gruppo di Infermiere Volontarie, ben oltre 120 elementi che nei tempi di maggiore pressione arrivarono, per lunghi periodi, a curare fino a 220 soldati feriti e malati sgomberati dal fronte. Tutti i militari della C.R.I., militi, graduati e sottufficiali, inquadrati nelle varie categorie ed in forza all’Ospedale a Marina di Pisa ed all’Ospedalino Militare nella tenuta di Migliarino, furono alle dirette dipendenze del Direttore comandante Prof. Antonio Cesaris-Demel.


Oltre alle cure mediche e chirurgiche per i feriti martoriati, offesi nelle carni, operati ed amputati, il Direttore comandante dell’Ospedale aveva a cuore il conforto morale per favorire la guarigione; furono realizzate in quell’Ospedale attività con il supporto delle volontarie della sezione femminile CRI che, numerose, si occuparono della biblioteca e della lettura a chi non poteva o non sapeva leggere, delle attività ricreative, della corrispondenza dei soldati feriti con le famiglie, nell’aiutare i ricoverati bisognosi; tra esse la moglie del professore, la signora Amalia Cesaris-Demel.


Al Direttore comandante dell’Ospedale Territoriale a Marina di Pisa venne assegnato anche l’ “Ospedalino militare” che entrò in attività lo stesso giorno il 28 luglio 1915. Ubicato nella Tenuta di Migliarino a Pisa e voluto dal Duca Antonio Salviati, tale struttura dispose inizialmente di quaranta posti letto, e venne utilizzata come reparto di degenza, per i casi meno gravi, e reparto di convalescenza, trasferendovi da Marina di Pisa quei soldati feriti ormai in via di guarigione.


La ricerca instancabile nelle cure sotto la guida del Prof. Antonio Cesaris-Demel, promosso, nel 1917, al grado di Tenente Colonnello medico: Direttore dell’Ospedale di Marina di Pisa e dell’Ospedalino militare di Migliarino, riporto buoni successi. All’interno dell’Ospedale funzionò efficacemente un laboratorio di ricerca “bacteriologico” ed un laboratorio istologico, affidati al Tenente medico dott. Livio Merelli già valente Assistente nell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina di Pisa, dove offrirono la loro opera insigni studiosi colleghi dell’Università di Pisa e, quando le ricerche esigevano maggiori approfondimenti, si ricorreva alle migliori strumentazioni dell’epoca messe a disposizione dall’Università stessa. La massima attenzione venne poi prestata in Ospedale all’igiene, alla pulizia della biancheria, alla lavatura ed alla sterilizzazione. Taluni casi curati in quelle tragiche circostanze divennero fonti per studi di medicina e chirurgia dell’Università di Pisa, dove alcune pubblicazioni di questi studi, curati dal Prof. Guido Ferrarini per la chirurgia, e dal Dott. Livio Merelli per l’influenza “spagnola”, sono giunte fino ai nostri giorni.


Quando il Dipartimento per gli affari civili della Missione in Italia della Croce Rossa Americana istituì, nel 1918, il Sotto Distretto di Pisa, l’Ospedale Territoriale fu più volte oggetto di visite da parte di delegazioni statunitensi; tra queste emerse il Capitano “Engineer” Francisco Mauro, dell’U.S. - Red Cross Military Service Corp, Delegato da cui dipendevano le attività ed i progetti realizzati nel Sotto Distretto di Pisa della Croce Rossa Americana. Questi ebbe modo di visitare più volte l’Ospedale Territoriale di Marina di Pisa, sempre accompagnato dal Prof. Pardi e ormai accolto come uno di casa dal Prof. Cesaris-Demel; si vide spesso il Mauro, con foglio e matita, studiare l’organizzazione interna dei locali, in qualità di ingegnere fu interessato alla struttura funzionale e dall’impostazione dei servizi ospedalieri. Di tali visite ed interazioni, scaturite in quel periodo, si rileva che nei due decenni successivi alla grande guerra, anni venti e trenta, diverse Università statunitensi iniziarono ad inviare periodicamente delegazioni di studenti e professori in visita alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Pisa.


Nel 1918 al Tenente Colonnello Antonio Cesaris-Demel, insieme al Prof. Francesco Pardi, ed al Maggiore Guido Ferrarini, venne conferita la Medaglia d’argento di benemerenza militare della Croce Rossa.
L’Ospedale militare territoriale di Marina di Pisa e l’Ospedalino militare nella tenuta di Migliarino, conclusa la loro missione, vennero smobilitati nel 1919; il primo fu Migliarino Pisano, ed a primavera dello stesso anno Marina di Pisa, restituendo l’immobile, che oggi non esiste più, al Ricovero Ospizio Marino di Bocca d’Arno.

Il Tenente Colonnello Antonio Cesaris-Demel fu collocato in congedo, ottenendo riconoscimenti e cavalierati, tornò nel pieno della sua attività di docente dell’Università di Pisa lasciandosi alle spalle i quattro faticosi lunghi anni di servizio militare come ufficiale medico nella Grande Guerra.

Ricerca storica Giuseppe Cacciatore

 


 

Sig. Cacciatore,

La ringrazio per la sua gentilezza e per quanto fatto a favore della diffusione del profilo storico, umano e scientifico del prof. Cesaris Demel  a cui mi lega l’onore di dirigere attualmente l’istituto di Anatomia patologica da lui fondato e l’amicizia con alcuni dei suoi discendenti,

inoltro con piacere la sua mail alla prof.ssa Paola D’Ascanio professore di Fisiologia presso il nostro Ateneo e le invio molti cordiali saluti,

Giuseppe Naccarato

 

UNIPI

Prof. Antonio Giuseppe Naccarato
Professore in Anatomia Patologica
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Università di Pisa
Direttore di UO Anatomia Patologica 1 Universitaria
Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana
Via Roma 57, 56126 Pisa (IT)
Honorary Professor at School of Science, Engineering and Environment
University of Salford (Manchester, UK)
Office: +39050992984; mobile: +39 3356850234

 

 

 

 

 

 

 

Solferino, insieme alla vicina San Martino della battaglia, è stata teatro, il 24 giugno del 1859 di una delle più cruenti battaglie dell'Ottocento, un episodio centrale e decisivo per l'andamento delle operazioni militari della Seconda guerra d'indipendenza.

Le strutture sotto elencate sono conservate dall’ente della Società Solferino e San Martino (visita il sito), fondato nel 1871 dal conte Luigi Torelli per ricordare i caduti della sanguinosa battaglia.

La rocca
È una struttura che si trova sul colle più alto di Solferino, dove ebbero luogo gli scontri decisivi della battaglia del giugno 1859: la collina fu aspramente contesa dalle truppe francesi e austriache per la sua posizione strategica, per la quale era stata definita “La spia d’Italia”.
La rocca, di 23 metri d’altezza, fu acquistata e ristrutturata dalla Società Solferino e San Martino per il suo valore simbolico e patriottico. Il fortilizio risale al 1022 e al suo interno sono conservati i documenti relativi della storia della Rocca e alla zecca dei Gonzaga. All’interno della struttura vi è la rampa che porta al terrazzo: lungo il percorso si trova la “Sala dei sovrani”, dove campeggiano i ritratti di Vittorio Emanuele II e Vittorio Emanuele III. Arrivati sul tetto si può ammirare il panorama circostante, contrassegnato dalla campagna, dal Lago di Garda e dalla torre di San Martino della battaglia.

La cappella
La chiesa di San Pietro in Vincoli fu trasformata dalla Società in chiesa-ossario dove sono conservati 1413 teschi e innumerevoli ossa dei caduti.
Nella struttura si trova il busto bronzeo di Napoleone III collocato in occasione del centenario della morte dell’imperatore. Degne di nota sono poi la statua del generale francese Auger, ferito durante la battaglia, e 5 busti di generali francesi morti durante la Campagna d’Italia.

Il memoriale
Al fondo del viale di cipressi, detto di San Luigi, nei pressi del parco che circonda la rocca, è presente un memoriale, eretto nel 1959, che ricorda l'idea di Henry Dunant di fondare la Croce rossa internazionale, idea che iniziò a diventare pratica con la pubblicazione del libro Un souvenir de Solferino.

Il museo
Il museo si trova fra il parco della rocca e il parco della chiesa-ossario. L’esposizione museale comprende esemplari di cannoni, armi, uniformi, cimeli e reperti della battaglia del 24 giugno 1859.

Fonte: 150anni-lanostrastoria

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

Sottocategorie