Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 

Il 5 Novembre 1883 usciva la prima edizione del giornale locale Il Ponte di Pisa. 

 

Il Ponte

Pagina 1 - anno 1- n. 1

 

Fonte: Internet culturale. Cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche Italiane 

 

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 Antonio Cesaris Demel
Foto ritratto di ufficiale anonimo in collezione privata attribuito al Maggiore medico Antonio Cesaris-Demel
identificato presso l'Istituto di anatomia patologica 1 dell'università di Pisa e dalla stessa famiglia.
 
 
Verona il 2 agosto del 1866
Pisa il 18 marzo 1938.

Profilo storico della Croce Rossa Italiana: Prof. Dott. Antonio Cesaris-Demel Tenente Colonnello medico CRI.

Nato a Verona il 2 agosto 1866, figlio di Pietro e Maria Borsa, consegui la laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Torino il 5/7/1890, dove in seguito divenne assistente, e poi aiuto, nell’Istituto di Anatomia Patologica diretto dal Prof. Pio Foà.
Nel 1896 ottenne la libera docenza, si sposò con Amalia e nel 1898 nacque il figlio Venceslao.
Nel 1900, dopo aver vinto il concorso, venne nominato professore di anatomia patologica alla R. Università di Cagliari. E’ in questo periodo che Cesaris-Demel e la moglie Amalia diventarono soci della Croce Rossa Italiana, il professore si iscrive, anche, tra i disponibili a prestare servizio della IX Circoscrizione di Roma, oggi IX Centro di Mobilitazione, che all’epoca aveva competenza territoriale sulla Sardegna.
Tra il 1903 ed il 1904 lasciò la R. Università di Cagliari e, per un brevissimo periodo di tempo, si trasferì alla R. Università di Parma, ma subito dopo, per la prematura morte del Prof. Tito Carbone, gli venne assegnata la cattedra di Anatomia patologica della R. Università di Pisa, città nella quale risiedette stabilmente fino alla sua morte, avvenuta il 18 marzo 1938.
Dal suo arrivo a Pisa nel 1904 non vi sono memorie nelle attività della Croce Rossa Italiana se non per la presenza assidua della moglie, Amalia Cesaris-Demel, tra le volontarie attive della sezione femminile, dame della Croce Rossa.


Il 24 maggio 1915, allo scoppio della grande guerra, il professore fu richiamato, con il grado di Maggiore medico CRI, in servizio attivo su ordine del Presidente Generale della C.R.I. e venne designato come: Direttore comandante per l’Ospedale Militare Territoriale della C.R.I. in allestimento a Marina di Pisa nell’immobile, sgombrato, del Ricovero Ospizio Marino a Bocca d’Arno.


Il Professore si rese subito disponibile e cooperò con il collega Prof. Francesco Pardi, all’epoca Presidente ad interim della Croce Rossa Italiana di Pisa, incaricato per l’allestimento, la scelta delle dotazioni, delle attrezzature mediche e della strumentazione diagnostica, organizzando efficientemente quell’Ospedale che alla fine dei lavori risultò, per l’epoca, un centro ad alta specializzazione chirurgica.
L’ospedale entrò in funzione il 28 luglio 1915, gli ufficiali coadiutori del Prof. Cesaris-Demel furono il Capitano medico CRI prof. Guido Ferrarini, da taluni autori erroneamente individuato nella funzione di Direttore, ed il Capitano medico CRI cav. dott. Oreste Baciocchi, entrambi già famosi, che si dimostrarono chirurghi valorosissimi, intelligenti ed alacri. Gli ufficiali medici assistenti furono: il Tenente medico CRI dott. Augusto Basunti, ed i Sottotenenti medici: Vincenzo Sassetti, Dino Bogi, Livio Merelli; per l’amministrazione e logistica il Tenente commissario-contabile CRI rag. Gino Ricci.


Per il suo regolare funzionamento l’Ospedale Militare Territoriale necessitò di non meno di 100 uomini, oltre ad un nutrito gruppo di Infermiere Volontarie, ben oltre 120 elementi che nei tempi di maggiore pressione arrivarono, per lunghi periodi, a curare fino a 220 soldati feriti e malati sgomberati dal fronte. Tutti i militari della C.R.I., militi, graduati e sottufficiali, inquadrati nelle varie categorie ed in forza all’Ospedale a Marina di Pisa ed all’Ospedalino Militare nella tenuta di Migliarino, furono alle dirette dipendenze del Direttore comandante Prof. Antonio Cesaris-Demel.


Oltre alle cure mediche e chirurgiche per i feriti martoriati, offesi nelle carni, operati ed amputati, il Direttore comandante dell’Ospedale aveva a cuore il conforto morale per favorire la guarigione; furono realizzate in quell’Ospedale attività con il supporto delle volontarie della sezione femminile CRI che, numerose, si occuparono della biblioteca e della lettura a chi non poteva o non sapeva leggere, delle attività ricreative, della corrispondenza dei soldati feriti con le famiglie, nell’aiutare i ricoverati bisognosi; tra esse la moglie del professore, la signora Amalia Cesaris-Demel.


Al Direttore comandante dell’Ospedale Territoriale a Marina di Pisa venne assegnato anche l’ “Ospedalino militare” che entrò in attività lo stesso giorno il 28 luglio 1915. Ubicato nella Tenuta di Migliarino a Pisa e voluto dal Duca Antonio Salviati, tale struttura dispose inizialmente di quaranta posti letto, e venne utilizzata come reparto di degenza, per i casi meno gravi, e reparto di convalescenza, trasferendovi da Marina di Pisa quei soldati feriti ormai in via di guarigione.


La ricerca instancabile nelle cure sotto la guida del Prof. Antonio Cesaris-Demel, promosso, nel 1917, al grado di Tenente Colonnello medico: Direttore dell’Ospedale di Marina di Pisa e dell’Ospedalino militare di Migliarino, riporto buoni successi. All’interno dell’Ospedale funzionò efficacemente un laboratorio di ricerca “bacteriologico” ed un laboratorio istologico, affidati al Tenente medico dott. Livio Merelli già valente Assistente nell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina di Pisa, dove offrirono la loro opera insigni studiosi colleghi dell’Università di Pisa e, quando le ricerche esigevano maggiori approfondimenti, si ricorreva alle migliori strumentazioni dell’epoca messe a disposizione dall’Università stessa. La massima attenzione venne poi prestata in Ospedale all’igiene, alla pulizia della biancheria, alla lavatura ed alla sterilizzazione. Taluni casi curati in quelle tragiche circostanze divennero fonti per studi di medicina e chirurgia dell’Università di Pisa, dove alcune pubblicazioni di questi studi, curati dal Prof. Guido Ferrarini per la chirurgia, e dal Dott. Livio Merelli per l’influenza “spagnola”, sono giunte fino ai nostri giorni.


Quando il Dipartimento per gli affari civili della Missione in Italia della Croce Rossa Americana istituì, nel 1918, il Sotto Distretto di Pisa, l’Ospedale Territoriale fu più volte oggetto di visite da parte di delegazioni statunitensi; tra queste emerse il Capitano “Engineer” Francisco Mauro, dell’U.S. - Red Cross Military Service Corp, Delegato da cui dipendevano le attività ed i progetti realizzati nel Sotto Distretto di Pisa della Croce Rossa Americana. Questi ebbe modo di visitare più volte l’Ospedale Territoriale di Marina di Pisa, sempre accompagnato dal Prof. Pardi e ormai accolto come uno di casa dal Prof. Cesaris-Demel; si vide spesso il Mauro, con foglio e matita, studiare l’organizzazione interna dei locali, in qualità di ingegnere fu interessato alla struttura funzionale e dall’impostazione dei servizi ospedalieri. Di tali visite ed interazioni, scaturite in quel periodo, si rileva che nei due decenni successivi alla grande guerra, anni venti e trenta, diverse Università statunitensi iniziarono ad inviare periodicamente delegazioni di studenti e professori in visita alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Pisa.


Nel 1918 al Tenente Colonnello Antonio Cesaris-Demel, insieme al Prof. Francesco Pardi, ed al Maggiore Guido Ferrarini, venne conferita la Medaglia d’argento di benemerenza militare della Croce Rossa.
L’Ospedale militare territoriale di Marina di Pisa e l’Ospedalino militare nella tenuta di Migliarino, conclusa la loro missione, vennero smobilitati nel 1919; il primo fu Migliarino Pisano, ed a primavera dello stesso anno Marina di Pisa, restituendo l’immobile, che oggi non esiste più, al Ricovero Ospizio Marino di Bocca d’Arno.

Il Tenente Colonnello Antonio Cesaris-Demel fu collocato in congedo, ottenendo riconoscimenti e cavalierati, tornò nel pieno della sua attività di docente dell’Università di Pisa lasciandosi alle spalle i quattro faticosi lunghi anni di servizio militare come ufficiale medico nella Grande Guerra.

Ricerca storica Giuseppe Cacciatore

 


 

Sig. Cacciatore,

La ringrazio per la sua gentilezza e per quanto fatto a favore della diffusione del profilo storico, umano e scientifico del prof. Cesaris Demel  a cui mi lega l’onore di dirigere attualmente l’istituto di Anatomia patologica da lui fondato e l’amicizia con alcuni dei suoi discendenti,

inoltro con piacere la sua mail alla prof.ssa Paola D’Ascanio professore di Fisiologia presso il nostro Ateneo e le invio molti cordiali saluti,

Giuseppe Naccarato

 

UNIPI

Prof. Antonio Giuseppe Naccarato
Professore in Anatomia Patologica
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Università di Pisa
Direttore di UO Anatomia Patologica 1 Universitaria
Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana
Via Roma 57, 56126 Pisa (IT)
Honorary Professor at School of Science, Engineering and Environment
University of Salford (Manchester, UK)
Office: +39050992984; mobile: +39 3356850234

 

 

 

 

 

 

 

Solferino, insieme alla vicina San Martino della battaglia, è stata teatro, il 24 giugno del 1859 di una delle più cruenti battaglie dell'Ottocento, un episodio centrale e decisivo per l'andamento delle operazioni militari della Seconda guerra d'indipendenza.

Le strutture sotto elencate sono conservate dall’ente della Società Solferino e San Martino (visita il sito), fondato nel 1871 dal conte Luigi Torelli per ricordare i caduti della sanguinosa battaglia.

La rocca
È una struttura che si trova sul colle più alto di Solferino, dove ebbero luogo gli scontri decisivi della battaglia del giugno 1859: la collina fu aspramente contesa dalle truppe francesi e austriache per la sua posizione strategica, per la quale era stata definita “La spia d’Italia”.
La rocca, di 23 metri d’altezza, fu acquistata e ristrutturata dalla Società Solferino e San Martino per il suo valore simbolico e patriottico. Il fortilizio risale al 1022 e al suo interno sono conservati i documenti relativi della storia della Rocca e alla zecca dei Gonzaga. All’interno della struttura vi è la rampa che porta al terrazzo: lungo il percorso si trova la “Sala dei sovrani”, dove campeggiano i ritratti di Vittorio Emanuele II e Vittorio Emanuele III. Arrivati sul tetto si può ammirare il panorama circostante, contrassegnato dalla campagna, dal Lago di Garda e dalla torre di San Martino della battaglia.

La cappella
La chiesa di San Pietro in Vincoli fu trasformata dalla Società in chiesa-ossario dove sono conservati 1413 teschi e innumerevoli ossa dei caduti.
Nella struttura si trova il busto bronzeo di Napoleone III collocato in occasione del centenario della morte dell’imperatore. Degne di nota sono poi la statua del generale francese Auger, ferito durante la battaglia, e 5 busti di generali francesi morti durante la Campagna d’Italia.

Il memoriale
Al fondo del viale di cipressi, detto di San Luigi, nei pressi del parco che circonda la rocca, è presente un memoriale, eretto nel 1959, che ricorda l'idea di Henry Dunant di fondare la Croce rossa internazionale, idea che iniziò a diventare pratica con la pubblicazione del libro Un souvenir de Solferino.

Il museo
Il museo si trova fra il parco della rocca e il parco della chiesa-ossario. L’esposizione museale comprende esemplari di cannoni, armi, uniformi, cimeli e reperti della battaglia del 24 giugno 1859.

Fonte: 150anni-lanostrastoria

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 


Di origine forse etrusca, conobbe nel tempo invasioni barbariche e il dominio longobardo.

A motivo della sua posizione geografica fu zona molto contesa nel periodo delle Signorie, fra Gonzaga, Visconti e Scaligeri, fino a quando, nel 1511, entrò a far parte del Marchesato di Castel Goffredo, Castiglione e Solferino. Nel 1559 iniziò con il marchese Ferrante Gonzaga la sua storia di feudo autonomo.

È di questo periodo la nascita di Luigi Gonzaga (1568) che sarà proclamato santo nel 1726, e che oggi è venerato nel mondo come “il santo della Gioventù e degli Studenti”. La figura di San Luigi comportò la presenza in città di un prestigioso collegio gesuitico che, nei secoli, formò generazioni di classi dirigenti bresciane e mantovane. La città fu sede di due episodi della Guerra di Successione spagnola, rispettivamente nel 1702 e nel 1706, anno nel quale il Castello fortificato venne distrutto per mano delle truppe francesi.

A causa della politica filo francese dei suoi signori, il principato fu occupato dalle truppe imperiali nel 1691 e di fatto sottoposto all’autorità dell’imperatore, finché nel 1773 il principe Luigi III Gonzaga, pretendente dello stato, rinunciò ad ogni diritto sovrano a favore dell’Austria.

Il 5 agosto del 1796 fu teatro della Battaglia di Castiglione nella prima campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte. Il successivo dominio austriaco durò fino alla battaglia di Solferino e San Martino (1859) durante la Seconda Guerra d‟Indipendenza, tappa fondamentale nella storia del Risorgimento. Il combattimento ispirò Henry Dunant alla creazione di una delle associazioni umanitarie più importanti: la Croce Rossa Internazionale, idea che si concretizzò nel 1864 a Ginevra.

Dopo la Seconda Guerra di Indipendenza,Castiglione entrò a far parte della provincia di Brescia, diventando capoluogo di Circondario. Nel 1866, con la Terza Guerra d’Indipendenza, fu annessa al Regno d’Italia, entrando a far parte del territorio della provincia di Mantova.
Nel 2001 Castiglione delle Stiviere ha ottenuto il titolo di città.

Fonte: terrealtomantovano.it

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Lo sforzo adddestrativo assorbì mezzi ingenti, che il Commissario Eugenio Chiesa quantificò in 2.809 unità, pari al 23,4 % dell’intera produzione nazionale e sostanzialmente in linea con l’incidenza degli aerei scuola sulla forza totale (33,8% al 1° novembre 1917, 23,8% al 1° marzo 1918 e 31,9% al 1° giugno 1918).

Secondo Chiesa al termine della guerra esistevano 30 scuole di pilotaggio e perfezionamento, tra militari e civili, con circa seimila allievi piloti ed un gettito mensile di oltre mille brevettati. Ciascuno dei 24 campi scuola costruiti disponeva in media di circa 15.000 metri quadri coperti tra hangar, depositi e officine. Nel solo 1918 le 23 scuole di volo e quella di tiro di Furbara totalizzarono 130.108 ore di volo per 11.662 frequentatori tra Esercito, Marina e stranieri, in gran parte americani. Nel primo anno di guerra il Battaglione Scuole Aviatori venne articolandosi su tre gruppi scuola per un totale di dieci campi. In esso confluì anche il Gruppo Scuole Civili per Aviatori Militari, creato il 1° maggio 1915 a Torino alle dipendenze del Comando di Aeronautica (Aviatori) ed al quale afferivano la Scuola Volontari Aviatori, la scuola SIT di Mirafiori, quella Gabardini di Cameri e quella (probabilmente SAML) di Cascina Costa. Alle scuole civili furono assegnati gli allievi che stavano già frequentando il «corso di perfezionamento», i piloti militari «dell’ultimo reclutamento muniti di brevetto di primo grado, e non ancora inscritti al corso» e i «borghesi sprovvisti del brevetto di pilota, prescelti tra coloro che ne avevano fatto domanda, che assumessero l’arruolamento volontario prescritto.» Nel giro di pochi mesi il Gruppo fu sciolto e le scuole passarono in gestione all’Esercito, a eccezione della Gabardini di Cameri che brevettò 1.141 piloti (23 nel 1915, 193 nel 1916, 414 nel 1917 e 511 nel 1918) e proseguì sino alla metà degli anni Trenta. Un’altra scuola civile fu gestita dalla SIAI di Sesto per preparare i piloti degli idrovolanti FBA acquistati da Esercito e Marina. A metà 1916 il Battaglione Scuole contava ormai 3.466 persone, compresi 194 tra impiegati e operai. Dei militari circa un quarto – per l’esattezza 744 - erano piloti, ma i dati disponibili non distinguono tra aspiranti piloti, allievi piloti e piloti, né, in questa categoria, tra istruttori e brevettati impegnati nel passaggio macchina.

Alla fine del maggio 1916 esistevano otto scuole di volo S. Giusto, Coltano1, Busto Arsizio, Cameri, Cascina Costa, Venaria Reale e Cascina Malpensa), una scuola allenamento (Mirafiori) ed una scuola osservatori ( Centocelle), per un totale di 650 persone tra piloti (164), allievi piloti (159) ed aspiranti allievi piloti (327). Il programma per la primavera 1917 richiedeva 1.450 piloti, per i quali fu pianificata l’espansione alle scuole sino a poter accogliere entro ottobre 1.300 aspiranti allievi piloti. Nell’estate 1916 fu creato il Comando Scuole Aviatori, comprendente i sei gruppi scuole (dei quali due, compreso uno per idrovolanti, in via di costituzione) e posto alle dirette dipendenze del Comando d’Aeronautica. L’espansione verso sud era legata soprattutto a considerazioni meteorologiche legate al maggior numero di giorni volativi. Gli ambiziosi propositi di crescita si realizzarono solo in parte, sia in termini assoluti che di effettiva operatività delle singole scuole. Alla fine del primo semestre 1917 erano in attività quattro gruppi terrestri ed uno idrovolanti, per un totale di 15 scuole, un numero ancora insufficiente in relazione alla quintuplicazione degli aerei disponibili, tanto che la Direzione Generale d’Aeronautica riteneva necessario avere dal Comando Supremo trecento “aspiranti-allievi” al mese e portare la capacità delle scuole di pilotaggio ad almeno 2.500 allievi. Nell’aprile 1917 per le esigenze della Marina riaprì la scuola di Taranto, affiancandovi l’anno successivo quella di Bolsena. [...]

1 -  Allo scoppio della Grande Guerra, il crescente fabbisogno di piloti da impiegare al fronte, portò all’allestimento poco dopo di una seconda scuola di volo sul vicino campo di Coltano, da affiancarsi a S. Giusto, nei pressi del celebre Centro Radio inaugurato da Guglielmo Marconi. E’ di questo periodo il primo esperimento di posta aerea sulla rotta Torino-Pisa-Roma, portato a termine il 25 maggio 1917

Fonti: ilfrontedelcielo, centroaeronauticoantoni

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

 

Mario Supino (1879-1938), appartenente a una delle famiglie ebraiche più in vista della Pisa del tempo. L'avvocato Mario Moisè Supino fu ardente massone e consigliere comunale.


Giunti in Toscana all'inizio dell'età moderna, i Supino furono mercanti a Empoli, a Pontedera, nel ghetto di Firenze, a Livorno e a Pisa e, fra l'altro, dettero un importante contributo alla riammissione degli ebrei in Inghilterra nel XVII secolo. Fra Ottocento e Novecento furono protagonisti di carriere di grande rilievo in campo politico, universitario e artistico, in particolare con Igino Benvenuto, storico dell'arte, fondatore del Museo Civico di Pisa e riorganizzatore del Bargello di Firenze, e con David, insigne giurista, senatore del Regno d'Italia e rettore dell'Università di Pisa dal 1898 al 1920.

Mario era nipote di David e con lui condivideva lo spirito aperto e l'adesione agli ideali liberali. La dirigenza della Croce Bianca era un impegno importante e ben visibile in città e in provincia. Mario Supino era stato eletto come consigliere comunale a Pisa nelle liste del Blocco Popolare ed era quindi consigliere di opposizione di una giunta moderata e clericale.

Le sue battaglie igieniste, contro i cimiteri troppo vicini ai centri abitati, gli valsero accuse e strali da parte dei suoi avversari politici, che non ritenevano opportuno che gli ebrei si occupassero dei cimiteri cattolici: "dovevano limitarsi a parlare delle proprie sinagoghe e dei propri cimiteri".

Fonte: Sonia Cerrai Pubblica Assistenza SR Pisa: Un lungo cammino insieme. Edizione Il Campano.

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 Lospizio marino criticaletteraria.org
Foto  Maurizio Vaglini L' Ospizio Marino di Boccadarno nella storia di Pisa

 

[...] Con lo scoppio della I guerra mondiale l' Ospizio viene utilizzato come "ospedale di riserva", che deve raccogliere i soldati feriti al fronte. Tutta Pisa e provincia del resto vedono in questo periodo requisite le strutture pubbliche, da alcuni reparti del Santa Chiara a scuole e conventi, Il conflitto mondiale produce giornalmente una gran massa di feriti, proprio per le caratteristiche del tipo di guerra condotta, feriti che vengono portati da treni direttamente all'interno dell'ospedale pisano mediante un apposito percorso ferroviario.

Dunque il Nostro Ospizio viene affidato alla Croce Rossa, per allestirvi posti letto peri nostri soldati e il Comitato Pisano, presieduto dall' infaticabile prof. Francesco Pardi, trasforma la struttura in un completo ospedale esclusivamente chirurgico, con tanto d'impianto di riscaldamento ad aria calda, con acqua potabile calda e fredda, con un impianto di acetilene per garantire sia il riscaldamento che la luce a tutto l'edificio, attrezzando le stanze per la preparazione, la medicazione e l'operazione, con pavimentazione igienica, muri verniciati a smalto, lavandini, fogne di scarico, bagni e latrine tra le più moderne e una stanza per le radiografici.

Sotto la guida del prof Antonio Cesaris-Demel viene raggiunta la massima potenzialità strutturale, riuscendo a ricoverare oltre 2000 feriti di guerra in un triennio.
Termina la guerra e l'Istituto viene riconsegnato dalla Croce Rossa alla sua Amministrazione; ci si trova di fronte ad un locale completamente rimodernato e posto in condizioni di riprendere la sua originaria funzione.
Intanto lo spaventoso accrescere del contagio tubercolare durante la guerra ed immediatamente dopo spinge il Governo a mettere a disposizione una cospicua somma per la lotta a questo flagello.

Anche a Pisa, come in altre città italiane, si crea un Comitato Provinciale Antitubercolare, che promuova tutta una serie d' iniziative per contrastare la terribile infezione.
Ogni soluzione è ritenuta valida purché si raggiunga il risultato e così per iniziativa del Prof. Alfonso Di Vestea, uno dei clinici più attivi nel settore, sorge in altra parte della spiaggia di Marina di Pisa una fiorente colonia scolastica per sviluppare sempre di più la profilassi.

Alla Croce Rossa viene affidato il compito della creazione e del funzionamento di un Dispensario Antitubercolare per combattere l'infezione nei vari focolai che si sviluppano in città. [...]

 

Fonte: Maurizio Vaglini L'Ospizio Marino di Boccadarno nella storia di Pisa edizioni Phasar 2012

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Agenzia Bozzo 247 B Yacht SAVOIA I panfilo reale 1883 Castellammare 1895 Canale di Kiel

 Costruito nel cantiere di Castellammare di Stabia il 23 giugno 1883 con la qualifica di Panfilo Reale, il Savoia (che chiameremo I° per non confonderlo con un successivo panfilo reale avente lo stesso nome) fu iscritto nel Registro del Naviglio della Reale Marina e classificato come Incrociatore Ausiliario di 2ª Classe.

Prua stellata, tre alberi, un fumaiolo.

Venne utilizzato per quattordici anni come nave di rappresentanza e da diporto per la famiglia reale italiana.

L'8 settembre 1892 per i festeggiamenti del IV° Centenario della Scoperta dell'America attraccò a Genova sbarcando il Re Umberto I° e la Regina Margherita.

Nel 1895 al comando del Principe Tomaso di Savoia, Duca di Genova, il Savoia (I°) su invito dell'Imperatore di Germania rappresentò l'Italia ai festeggiamenti per l'inaugurazione ufficiale del Canale di Kiel.

Restò in servizio operativo sino al 1897 per essere poi sostituito dal Trinacria.

Venduto nello stesso anno alla Compagnia La Veloce di Genova, fu trasformato in nave passeggeri.

Furono ricostruiti gli interni ed i ponti, eliminato un albero ed allungata la ciminiera per ottenere miglior tiraggio.

Mantenendo lo stesso nome, fece molti viaggi per il Nord e Sud America restando in servizio sino al 1923.

Fonte: agenziabozzo

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

Massoneria
 
[...]
L'attività massonica a Pisa fino al periodo napoleonico
Non è facile fissare una data d'inizio del fenomeno Massoneria a Pisa; le notizie relative alla presenza dell'Ordine in città nel primo periodo della sua espansione in Italia non sono numerose, e appaiono per altro frammentate ed incerte. La presenza di massoni nell'Ateneo pisano già a partire dalla metà del secolo XVIII è cosa certa, ma mancano notizie su un'attività ordinaria di logge costituite in Pisa prima del 1801. Al momento i documenti più antichi attendibili appaiono alcune segnalazioni del Bargello, che a partire dal 14 dicembre 1801 inizia a fornire notizie sull'attività massonica cittadina. Quando alla loggia in questione iniziano a partecipare soggetti già noti come Patriotti e democratici, alcuni dei quali vicini alla cerchia del Mazzei, dei Vaccà Berlinghieril e degli altri intellettuali pisani in fama di giacobini. Il primo rapporto, datato 14 dicembre 1801 ci informa dell'esistenza in Pisa di una loggia massonica, che si riunisce presso la casa dell' Ebreo Aghib di Livorno.
[...]
 
Massoneria e società segrete a Pisa
A Pisa, nel periodo napoleonico, la Massoneria non visse grandi cambiamenti, cosa che invece avvenne nelle altre città Toscane. L'esperienza bonapartista fu breve, ma provocò ovunque grandi e radicali trasformazioni. Il nuovo sistema di governo dell'impero, basato su un sistema ad amministrazione decentrata, aveva necessità di reperire funzionari locali tecnicamente preparati, e soprattutto ben radicati nel tessuto sociale. Non ci furono grandi traumi, né sostanziali revocazioni di privilegi acquisiti, e soprattutto molte nobili famiglie videro essenzialmente assegnarsi i nuovi titoli nobiliari napoleonici.

Pisa non si lasciò tentare da mode contingenti e fu per questa ragione che la Massoneria pisana fu meno investita dalla reazione popolare antimassonica che si verificò ovunque nel periodo della Restaurazione. In ogni caso la Massoneria ufficialmente si era schierata con Napoleone, ed una parte di essa che andava radicalizzando posizioni antibonapartiste, rigorosamente repubblicane e democratiche, preferì promuovere organizzazioni collaterali, vicine per ritualità e per cultura alla Massoneria, ma politicamente impegnate in prima linea.
 
I primi fermenti furono quelli carbonari, cui seguirono l'esperienza delle società degli Adelfi e dei Sublimi Maestri Perfetti, queste ultime promosse e dirette dal pisano Filippo Buonarroti ed attive in tutta Europa. Un caso a parte è l'esperienza delle società sansimoniane, che come vedremo avevano anche in Pisa una propria chiesa-tempio. Gli intrecci tra Massoneria e società segrete sono così complessi che le autorità locali sembrano non riuscire più a distinguere le diverse appartenenze; nei primi rapporti di polizia si denota una grande confusione, ma nel contempo anche una certa tranquillità per la non pericolosità del fenomeno in Toscana. Da un rapporto dell'Ispettore di polizia di Firenze del 16 novembre 1814, si legge: "Dalla Loggia dei Carbonari; setta massoniche sotto la denominazione dei Carbonari, che ha per stemma una scure ed una testa di lupo. Il di lei scopo è la distruzione dei regnanti a riserva del capo della Massoneria".
 
L'informazione non è tanto precisa sul rapporto Carboneria-Massoneria, ma testimonia il diffondersi del fenomeno. La Massoneria si era sempre mantenuta formalmente in un ambito legalista, rispettosa delle istituzioni; le nuove società segrete, anche se spesso appaiono emanazioni delle logge, sono realtà rivoluzionarie che smuovono nell'illegalità ed il cui fine è prettamente politico.
 
Anche sugli Adelfi la polizia comincia ad esercitare un controllo preventivo; ad informarci sulla setta è una nostra vecchia conoscenza, la spia Valtancoli.
"Si è dato nome di Adelf a pochi individui componenti una ristretta Associazioine che esiste in Italia. Il nome e la forma della medesima sono di origine Inglese, poiché una consimile Società è conosciutissima in Londra. Valtancoli ci informa poi che la setta è particolarmente potente e che ambisce essenzialmente all'acquisizione del potere: "Si vuole che presso ogni Gabinetto d'Italia siavi un Adelfo, o almeno un di lui fidato Agente incaricato di scoprire i segreti e parteciparli all'Associazione.
 
L'attività di polizia si limitava comunque ad una semplice sorveglianza, non risultano provvedimenti di particolare urgenza. Il governo toscano sembra imboccare la via della tolleranza e della vigilanza preventiva; d'altra parte, come nota Ciuffoletti, la sovversione in Toscana è labile e si può documentare solo a Firenze, Livorno, Pisa, Piombino e Siena. Nella rete informativa della polizia si inseriscono però anche numerosi delatori, che fanno dell'accusa di appartenenza alla Massoneria uno strumento utile a creare difficoltà su personaggi di prestigio politico. Lo stesso Cardinale Neri Corsini, insieme al principe di Carignano, si troverà negli elenchi di massoni e carbonari forniti alla polizia da collaboratori.
 
Le nuove società segrete, ricalcando quelli che erano gli aspetti istituzionali della Massoneria, si strutturano su base internazionalista. Si inizia a delineare una nuova identità culturale e politica quella di una Sinistra europea, democratica e repubblicana, e soprattutto egualitaria. Proprio sul concetto di egualitarismo si apre un grande dibattito culturale e filosofico in tutta Europa. Dalle posizioni più radical di Babeuf e Buonarroti che presentano prodromi di comunismo, al socialismo in pectore di Saint-Simon.
 
François-Nocl Babeuf e Filippo Buonarroti teorizzarono per primi un egualitarismo rivoluzionario. Babeuf venne ghigliottinato a seguito del fallimento della congiura degli Eguali: Buonarroti continuo invece la sua opera diffondendo le idee di Babeuf attraverso la rete delle sue società segrete: Sarà pero Saint-Simon a teorizzare per primo una completa riforma della società, disegnando un nuovo modello organizzativo meno statalista, in cui governare non voleva dire esercitare il potere politico sugli uomini, ma limitarsi a un'amministrazione dei beni. Le idee di Sain-Simonice basavano poi su una nuova morale "scientista" ed assumevano gli aspetti caratteristici di una vera e propria religione, una sorta di "nuovo cristianesimo pensato ed anima io dallo stesso Saint-Simon. I suoi seguaci Fondarono costuna nuova societa segreta, pseudoreligiosa, basata, come già la Massoneria, su un sistema iniziatico a tre gradi.
 
A Pisa le idee di Saint-Simon si diffusero per opera di un gruppo di giovani che diverranno per noi noti, essendo i veri animatori della vita latomistica cittadina.
Giuseppe Montanelli, insieme a Enrico Mayer e a Silvestro Centofanti nel 1832 animano una vera e propria chiesa sansimoniana, provocatoriamente fondata all'interno del Collegio di Santa Caterina. Montanelli ricorda con queste parole le motivazioni che lo spingevano nel suo impegno all'interno della setta': " dottrina siffatta dai pantani del gretto materialismo mi sollevò a più spirabile aere.
 
La dottrina cui fa riferimento il giovane Montanelli è un tentativo di conciliazione tra materialismo e spiritualismo, che cerca di realizzarsi attraverso la codifica di un socialismo cristianeggiante ispirato però anche da un culto della scienza. Montanelli si esprime in proposito con queste parole: ricomporre l'armonia tra la materia e lo spirito, l'individualità e l'associazione, la libertà e l'autorità, la conservazione e il progresso.
 
L'anno successivo, Montanelli entra nella Carboneria, radicalizzando le sue posizioni politiche; è da questo periodo che il suo nome comparirà spesso nei rapporti di polizia, segnalato come individuo politicamente pericoloso, termine che da qui in poi contraddistinguerà non pochi massoni, gli stessi che vedremo impegnati nelle prime fila dei moti risorgimentali.
 
Fermenti carbonari sono comunque attestati in Pisa già dal 1821: a quel tempo è il poeta George Byron, massone, a rendercene testimonianza. Byron era entrato in Carboneria durante il suo soggiorno in Italia, ed aveva preso parte ai moti del 1821, a seguito del fallimento dei quali si trovò a doversi rifugiare a Pisa, dove continuò comunque ad intrattenere relazioni politiche. A Livorno rincontra Shelley con il quale pubblica un periodico Liberal su cui apparvero diversi suoi scritti politici.
 
Pur essendo organizzazioni distinte, la Massoneria riconosceva i carbonari come buoni cugini; costituzioni e rituali erano simili; era stato addirittura previsto che i carbonari potessero bussare Massoneria, ottenendo il riconoscimento dei gradi acquisiti nelle alte vendite, giacché anche la Carboneria era un'organizzazione iniziatica strutturata sui gradi di Apprendista, Compagno e Maestro.
 
Questi fermenti animeranno la vita risorgimentale caratterizzata dallo sviluppo delle società mazziniane, dai dibattiti nelle sedi universitarie, dalla partecipazione di molti massoni, quali volontari alle guerre di indipendenza. Come vedremo gli studenti e i docenti pisani saranno protagonisti nella battaglia di Curtatone e Montanara. Massoni che hanno vissuto in questi anni la propria formazione nei cortili della Sapienza si contraddistingueranno come politici impegnati nelle esperienze di governo democratico, fino ad arrivare al triumvirato Montanelli-Guerrazzi-Mazzoni.
 
Fonte: Ippolito Spadafora Pisa e la massoneria Edizioni ETS
 
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 

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Soci perpetui diploma
 
 
Alla data del 13 febbraio 1916 i soci perpetui erano i seguenti:
 
Bruguier - Calderai Teresa,
Di Borgo Netolisky contessa Marianne (def.),
Dal Borgo Netolisky contessa Eleonora,
De Mauritz Annié, Fantoli - Pera Maria,
Fascetti rag. cap. Egidio,
Hessy Costanza,
Maggi Casorati Eugenia,
Maggi cav. prof. G. Antonio,
Mastiani - Brunacei comm. conte Francesco (def.),
Pareto - Spinola ma Giulia,
Papanti - Pellettier conte avv. Leone,
Schif Giorgini Matilde.
Zerega Lina,
Bruguier Giuseppe,
Carranza Cav. Avv. Barone Livio,
Carranza baronessa Pia,
Galli Angelo,
Di Carovigno princ. don Emilio,
Di Carovigno princ.sa Ottavia,
Parato - Spinola marchese Gian Benedetto,
Pareto - Spinola ing. marchese Damaso,
Agostini Venerosi conte Agostino.
Sauzé Freres,
Zerbi - Caio Rita,
Vestri dott. Ranieri,
Zerbi ing Carlo,
Fascetti Ida (def.),
Lansel Edoardo,
Ceci comm. prof. Antonio,
Lombardo prof. Cosimo,
Rusconi marchese Michele,
Franceschi - Bicchierai contessa Setia,
Maggi Felice,
Biagi me Aspromonte (def),
Nathan Rosselli Janet, Mazza prof. Giuseppe,
Bicecchi Emilio,
Ferrari cav. dott. Ercole,
Agostini Venerosi Della Seta cont. Teresa,
Fascetti Augusto (def.),
Sassetti N. U. dott. Vincenzo (def.),
Maggi prof. Francesco,
 
Camera di Commercio - Pisa,
Cassa di Risparmio - Pisa,
Il Presidente per la Società Mandamentale del Tiro a Segno Nazionale,
R. Ginnasio - Liceo Galilei Pisa,
Scuola Femminile "G. Carducci
R. Scuola Tecnica "Nicola Pisano”.
 

Fonte: Il Ponte di Pisa n. 07 del 13 febbraio 1916

 

Nel luglio 1917 l' Associazione dei Reduci delle Patrie Battaglie si iscrive come socio perpetuo della Croce Rossa versando le 100 lire di prammatica.

Fonte: Massimo Vitale "Però mi fo coraggio" Edizioni ETS 

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

Chiediamo a ciascuno di voi di voler promuovere la sottoscrizione della dichiarazione dei redditi 5x1000 a favore della CRI Comitato di Pisa, il vostro Comitato, parlando con il Commercialista, con il CAF, o direttamente.
Promuovete questa opportunità anche presso le aziende e partite iva che conoscete.


Da questo gesto apparentemente senza valore e senza nessun onere per chi lo farà, può dipendere invece l’acquisto di uniformi, di veicoli, di attrezzature, lo sviluppo di nuovi progetti, il sostegno alle vulnerabilità.
Aiutateci a diffondere questo messaggio.


Sostenete il vostro Comitato CRI.

 

 

 

5x1000 2022 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 Guerriero Pisano

 

L’Associazione Culturale “Il Guerriero Pisano” nasce nell’anno 2002, da un'idea del sottoscritto, per dare un riconoscimento a persone o Istituzioni di Pisa e Provincia che si sono particolarmente distinte nei settori socio-economico, scientifico e culturale dando così lustro e ulteriore fama alla città.
Il giorno  8 Aprile 2002 nella riunione presso la Sede della Casa Editrice E.T.S. nasce il Comitato Le Baleari “Il Guerriero Pisano” presieduto dal Dr. Alberto Bravi.
Nell’anno 2003 con atto notarile il comitato si trasforma in Associazione Culturale con la relativa registrazione dei marchi.
L’Associazione ha come scopo principale l’organizzazione del Premio “Le Baleari – Il Guerriero Pisano”, riconoscimento che viene assegnato ogni anno da qualificata giuria, durante la serata del Premio viene consegnata a tutti i presenti una pubblicazione sulla storia pisana curata dal prof. Alberto Zampieri.

Nell’anno 2008 nel mese di marzo, inserito nel programma del Capodanno Pisano, ha indetto in collaborazione con il Comune di Pisa un concorso per le scuole superiori denominato “Pisa Repubblica Marinara e le sue Glorie”, ai vincitori sono stati assegnati premi prestigiosi .
Dall’anno 2007, nel mese di giugno, collabora all’organizzazione, con il Club Di Ciolo alla manifestazione “La Disfida delle Repubbliche Marinare”

Il Presidente
Alessandro Cesarotti

Il premio Il Guerriero Pisano prende il titolo da una delle imprese più entusiasmanti e gloriose della storia di Pisa repubblicana e marinara: la conquista delle isole Baleari.
Da questo avvenimento storico il nome della Repubblica Marinara pisana viene temuto e rispettato da tutti e ovunque le navi di Pisa portano con sé l'orgoglio e la potenza di una città veramente libera, ricca e prospera.
Protagonista e artefice di tale evento fu il guerriero pisano che col suo coraggio, la sua volontà, la sua fierezza, il suo senso civico uniti alle sue straordinarie doti di soldato di terra e di mare superò difficoltà e ostacoli per quel tempo quasi sovrumani. Per questo motivo il premio ha come simbolo un guerriero pisano in costume del secolo XII riprodotto a sbalzo su lastra d’argento e dipinto a mano, pregevole opera d’arte.
Tale ambito riconoscimento viene assegnato ogni anno dal 2002, da qualificata giuria, a cittadini pisani di nascita o adozione, che si sono distinti per la loro opera nel campo delle arti, dei mestieri, della scienza, della tecnica, della cultura, dell’economia e del sociale contribuendo a dare lustro e ulteriore fama alla città. Per le stesse motivazioni il premio potrà essere esteso anche a enti, cooperative e società operanti sul territorio.

Fonte: guerrieropisano
Ricerca storica: Roberto Marchetti 

 

 

 

 

 


Nato ad Oppeano (Vr) nel 1938 Vive a Bovolone (Vr), Via Canton 42.
 
Lavora a Bovolone, Viale del Lavoro 9 – tel./fax 045 6949072
 
 
Ha iniziato a lavorare giovanissimo come falegname in una delle prime botteghe nate in paese nel dopoguerra, imparando la riproduzione di mobili in stile e praticando tutte le lavorazioni a mano, dalle sgrossature all’intaglio per poi finire con il lucido.
 
Una scuola dura e selettiva, dove solo chi aveva talento e passione poteva continuare.
 
All’età di ventitre anni si è messo in proprio, ha cresciuto una famiglia, trasmettendo mestiere e volontà ai figli Michele e Giordano.
 
Ha coltivato nel contempo la sua passione di sempre: per la musica,  iniziando dapprima col diploma in solfeggio ottenuto con corsi serali, e imparando poi a suonare chitarra e mandolino.  E sulle note del mandolino ha inciso un nastro di canzoni napoletane in collaborazione con altri due musicisti.
 
Ha frequentato per cinque anni la scuola di disegno applicato ad arti e mestieri ricevendo varie  premiazioni.
 
Violini, violoncelli e mandolini hanno sempre suscitato grande fascino su di lui, così ha iniziato a scoprirli riparando e restaurando vecchi liuti trovati nei mercatini.
 
Da autodidatta poi ha imparato la costruzione dello strumento e vi si è dedicato completamente con gradissima soddisfazione.
 
In breve ha raggiunto risultati di eccellenza per la qualità costruttiva e per il suono. Ha ricevuto prestigiosi premi ed è  apprezzato da celebri violinisti quali il Maestro Giovanni Guglielmo,  Rettore del Conservatorio di Vicenza e concertista di fama internazionale; il Maestro Glauco Bertagnin, primo violino dei Solisti Veneti e il Maestro Francesco Ferrarini violoncellista.

Fonte: accademiaarteartigianato

Ricerca storica: Robero Marchetti

 


 

Posti di ristoro

 

In un angolo della Piazza della Stazione, una piccola bandiera, che il vento spesse volte arrotola sull’asta, quasi volesse toglierle l’aspetto di superba baldanza e consacrarla alla modestia, una bandiera — Dove la Croce ha il rosso di una piaga — richiama a se i soldati feriti e malati, come le braccia di una madre chiamano i figli. Quivi è il Posto di Ristoro della Croce Rossa, dove madri e sorelle, giorno e notte, amorosamente, porgono il conforto morale e materiale ai soldati ammalati e feriti, che di lì transitano.


Questo Posto di Ristoro nacque all’ inizio della guerra; così: senza pompa, senza cerimonie e, coraggiosamente, senza patrimonio, senza alcun aiuto ufficiale. Nacque proprio dal cuore delle mamme che vollero subito, col loro soccorso, porgere un affettuoso tributo di riconoscenza ai primi soldati che ave vano compiuto il loro dovere là, sulla fronte; nacque e si mantenne sempre per virtù propria.

E furono prima bibite ghiacciate che, al passaggio dei treni affollati, in quelle notti caldissime, vennero dispensate ai soldati per mitigarne l’arsura, per ristorarli dalla fatica del lungo viaggio. E furono poi bibite e tazze di latte o panini.
Giungevano nella notte, a tardissima ora, i treni sbuffanti, come oppressi da tutto quel dolore; e sembrava che col lungo fischiare gridassero il loro strazio, quasi a richiamarci alla mente tutti i nostri doveri di amori o di pietà, e subito si distribuivano le bibite che cento e cento bocche chiedevano. Quanta gratitudine traspariva poi dallo sguardo e dal sorriso di quei buoni ragazzi !
Incoraggiate dal Consiglio Direttivo e dalla Sezione femminile di questo Comitato, le Socie della Croce Rossa esplicarono poi dentro il Posto eh Ristoro, e sempre più largamente. d compito pietoso.


Quanti soldati si fermano al Posto diRistoro ? ...
Feriti, malati, convalescenti, soldati che vanno da un ospedale all’altro. o, che finita la convalescenza, si recano ad abbracciare la famiglia; malati gravissimi che i militi con tanta cura ci portano in barella, tanto gravi che ci sembra debbano spirare sotto i nostri occhi, e che vanno a morire nelle braccia della loro mamma; epilettici riformati, ciechi, dementi, pazzi, creature tutte chè devono sostare per delle ore alla stazione per aspettare la partenza o la coincidenza e che dovrebbero perciò restare molte volte per delle intiere notti, al freddo, in piedi, o sdraiati per terra...

Quante volta escono la mattina dall’ospedale e vengono qui per ripartire la sera !
Il Posto di Ristoro li accoglie tutti e li sostenta. Chi scrive ricorda di aver veduto distribuire, in una notte, ben novanta risotti a quei feriti che, pur doloranti nelle loro piaghe, conservavano le esigenze di uno stomaco giovane e sano.


Vengono dei timidi soldati che non osano dimandare una tazza di latte e stentano ad accettarla se viene loro offerta, e poi domandano quanto costa e quasi non credono che nulla debbano dare: e soldati che affetti da malattia nervosa rifiutano il cibo, e la mamma improvvisata affettuosamente lo porge loro e riesce a persuaderli: e soldati impossibilitati a muoversi dalla loro barelle che nulla domanderebbero e che accettano con tanta gratitudine la tazza del latte che la Sorella, sorreggendoli, loro fa bere a sorsi. Passano dei disgraziati che non scendono e il Ristoro della Croce Rossa porta nel loro scompartimento la colazione sana e abbondante.


E quanti profughi, specialmente bimbi, digiuni, non vennero qui nutriti ? Picchiarono forse una sola volta invano a questa porta ? Infatti, dal 1° Ottobre 1915 (e cioè dopo 5 mesi e 5 giorni dall' apertura del Posto di Ristoro) al 22 Febbraio 1918, furono ristorati 31948 soldati italiani e 1992 prigionieri nemici.


Fu la necessità che s’impose; curare il soldato e nutrirlo, curare il soldato e impedire lo sconcio che si vedesse ferito o ammalato li disteso per terra. E a Pisa, come in tante altre città, sorse il Posto di Ristoro.
Noi non li vedremo mai più quelli che assistemmo; e vorremmo averli seguiti tutti ad uno ad uno, col nostro cuore di madre e di sorella, seguirli nei luoghi ignoti del loro ignoto destino e confortarli con tutta la pietà di cui ogni donna ha pieno il cuore; seguirli e renderli tutti ancora forti e lieti alle loro mamme.

Le cifre suesposte chiaramente dimostrano quanto denaro occorra mensilmente per questa opera d’amore e di dovere verso i nostri soldati; e le offerte di pochi generosi, il sacrificio delle pietose donne Pisane che ad essa si dedicano, l’aiuto del Comitato che, cosciente dell’utilità di quest’opera, volle sostenerla, tutto ciò che la tenne in vita sin qui, ora, di fronte al numero dei soldati, alle crescenti spese, ora non è più sufficiente, ed occorre che tutta la cittadinanza si renda conto dell'opera grande, e concorra tutta, con le sue forze, sieno pur limitate, ad alimentare la fiamma d’amore che riscalda e rianima tante giovani forze, le più pure, le più belle, dedicate alla Patria.

L'appello che facciamo alla cittadinanza è, più di lutto, rivolto alle madri che possono meglio apprezzare e comprendere l’utilità del soccorso che qui si dà alla più bella parte della nostra gioventù, che tutta sé stessa offre alla grande madre comune — la Patria —; e i Pisani saranno certo, come sempre, generosi e vorranno contribuire alla vita della pietosa istituzione, per la quale occorrono somme non indifferenti.


Pensino le mamme che anche due soldi serviranno a dare una tazza di latte a un soldato, e che se questa tazza di latte ristora oggi uno sconosciuto, domani, fuori di qui. in un altro Posto di Ristoro, una tazza di latte ristorerà forse un loro figlio.
Una Socia della Croce Rossa.

 

[...]  Un'altra iniziativa curata dalla contessa Sofia Franceschi-Bicchierai. Splendida, meravigliosa, non tano aggettivi per definire questa straordinaria nobildonna, anima sensibile e fervente, sempre in prima fila per portare il suo contributo alla causa: alla stazione ferroviaria, ove già è il posto di socorso, promuove l'allestimento di un punto di ristoro. "ove i soldati, i feriti e i malati transitanti dalla zone stessa, oltre cure premurose, trovano continua e gratuita distribuzione di bibite, minestre, caffè the, panini, quant'altro può essere da loro desiderato".

A disposizione letti per chi deve aspettare allungo le coincidenze. Si avvicendano nel servizio "signore e signorine delle famiglie più distinte di Pisa".
Il comitato, come abbiamo visto, provvede al confezionamento di indumenti per i soldati, in particolare di lana: "Uno scelto gruppo di signorine alunne dell'istituto tecnico" si raduna ogni giorno per lavori di cucito e maglia, sotto la guida delle insegnanti Armida Sartori - Manetti, Rita Salvestroni e Irma Della Chiostra.

"Sono la più umile delle donne - si legge sull Ponte sotto lo pseudonimo Selvaggia ma forse è la Tagliagambe - ma sento la nobiltà e la fierezza di questo nuovo dovere che ci unisce. Lana, lana per i nostri soldati. Nessuno può rimanere inerte.
Madri, spose, sorelle, fidanzate, amiche, e sopra tutto donne italiane, sanno tutte che è giunta l'ora del loro più grave e delicato dovere". Quelle di S. Giuliano hanno preparato corpetti, e guanti che inviano a 30 soldati del paese. [...]
 
E prossima la fine dell'anno (1915 ndr) ed è tempo di bilanci.
[...] La contessa Sofia Franceschi-Bicchierai illustra il lavoro svolto dal comitato femminile Pro Patria: 500 le signore e signorine che hanno aderito; assistiti 150 bambini del ricreatorio Italia, cui sono stati distribuiti 889 capi d'abbigliamento; lavoro a 340 donne bisognose che hanno realizzato circa 9.000 indumenti per militari e 435 maschere antigas con borsa; dalle volontarie confezionati altri 3.150 indumenti di lana, 930 di cotone e 3.500 capi di biancheria; consegnati ai profughi indumenti, biancheria da letto e da tavola. [...]
 
Fonte: Massimo Vitale "Però mi fo coraggio" Edizioni ETS
 
Ricerca storica:
Carlo Bargagna
Roberto Marchetti

 

 

 

Nave ospedale Re dItalia
 
La necessità che i feriti nei combattimenti navali, pei bisogni della cura e per sentimenti di umanità anzitutto ed in secondo luogo per non turbare la serenità e la libertà d’azione dei combattenti sulla nave da guerra, siano allontanati dal campo d’azione e ricoverati su altre navi, apprestate per la loro cura e per il loro trasporto in sedi tranquille, è incontestabile. Questa necessità fu sempre profondamente sentita dalle nazioni militari che hanno guidato il mondo sulle vie della civiltà e che furono già da tempo spinte dagli avvenimenti politici militari a dotare le loro bene organizzate e potenti marine di navi-ospedale per usarne nelle guerre navali e coloniali. E perché trattavasi di istituzioni non bellicose e nazionali, ma umanitarie, universali e quasi sacre, se ne stabilì la inviolabilità, estendendo a queste navi, con adatte norme speciali, i benefìci della neutralità che la Convenzione di Ginevra già aveva accordato alle istituzioni congeneri negli eserciti terrestri.

Seguendo il nobile esempio, già da molti anni il corpo sanitario della nostra marina studiò e discusse l'argomento, preparando la via all’effettuarsi del suo lungo desiderio. L’ispettorato di sanità in Roma e la direzione di sanità del 1° dipartimento (Spezia) poterono finalmente mettersi all’opera e, nei tre anni ultimi decorsi, con diligente e continuo lavoro di alcuni dei più competenti ufficiali del corpo medico di marina, si è compiuto, oltreché il rinnovamento del materiale sanitario delle navi da battaglia, anche l’allestimento di quello necessario ad armare le navi-ospedale.
 
Camera operazione nave ospedale
 
E poiché alla costruzione di apposite navi si opposero ragioni di bilancio, venne fatta nel nostro naviglio mercantile una scelta di alcuni piroscafi adatti allo scopo, studiandone i piani. prestabilendo i lavori di assetto e preparando nei magazzini della direzione di sanità di Spezia tutto il materiale per il loro arredarnento, curato in tutti i particolari, imballato, incassato, qualificato, pronto in somma ad essere messo celeremente in opera.

Così allorché, dichiarata l’attuale guerra colla Turchia, si ritenne che due navi-ospedale fossero necessarie, giunsero a Spezia il 26 settembre 1911 il Re d’Italia e la Regina d’Italia, e dopo sei giorni ripartirono in completo assetto, pronti a ricevere ciascuno almeno 500 feriti o ammalati ed in caso di necessità anche qualche centinaio di più.

Le due navi sono gemelle, identiche quindi nella loro apparenza esterna e nelle disposizioni interne, identico il materiale sanitario imbarcato ed il concetto che ha presieduto alla disposizione di esso, sicché la descrizione di una sola di dette navi può servire a farle conoscere ambedue al pubblico, il quale, in gran parte, non può avere un’idea esatta di quanto è preparato per la cura in navigazione dei soldati e dei marinai feriti o malati.

I due piroscafi sono di circa 7000 tonnellate (lorde) colla velocità di circa miglia 14.5 all’ora e sono costrutti ed usati pei viaggi dall’Italia a New York, portando all’incirca 1500 passeggeri di terza classe (emigranti) alloggiati in due ponti sotto coperta. Hanno una grande sovrastruttura centrale che comprende, nel piano di coperta, rinfermeria emigranti, gli alloggi per gli ufficiali del piroscafo ed i servizi (cucine, forni, dispense). Nel piano superiore è disposta a 4 letti, con sala da pranzo , sala da musica, fumoir ed una bella passeggiata che circonda tutto il corpo centrale. Ancora al disopra è il ponte delle lande, il comando, la sala nautica, il telegrafo Marconi.

Questi piroscafi sono armati con persoli ale mercantile, il quale ha accettato di partecipare alla missione, comandato da un capitano proposto dalla Società armatrice. Il personale della regia marina è rappresentato dal direttore dell’ospedale (Colonnello o Tenente-Colonnello medico), da quattro Maggiori medici capi riparto e da altrettanti Ufficiali medici inferiori quali aiuti o assistenti. Il personale sanitario è poi completato da un farmacista col grado di Tenente e, per l’assistenza religiosa dei malati, è imbarcato un sacerdote dell’ordine dei Camilliani. I medici civili, dipendenti dalla Società, hanno nobilmente offerto la loro opera e disimpegnano essi pure l’ufficio di assistente. Comandante militare della nave-ospedale è un Ufficiale superiore di vascello (riserva navale) al quale fa capo tutto ciò che ha relazione col servizio puramente militare-marinaresco. Un opportuno numero di graduati e di comuni della categoria infermieri della regia marina è distribuito ai vari servizi ospitalieri.
Tutto l’ospedale è diviso in quattro riparti, capace ciascuno di circa 125 letti e, al bisogno, anche di più; essi sono retti da un maggiore medico con l'assistenza di un capitano e e di un tenete medico.
 
Nave ospedale La farmacia

Questi riparti poi sono situati a livello del primo ponte sotto coperta (batteria), il quale è un unico grande ambiente che si stende da prima a poppa, ben ventilato ed illuminato da una doppia fila di sportelli e da cinque ampi boccaporti. La batteria, la cui parte centrale è occupata dal grande boccaporto delle macchine, conserva, disposte in due piani, le cuccette per gli emigranti e ora, abolito il piano superiore di cuccette, diradando opportunamente il numero di quelle inferiori, vi si trovano circa trecento lettini.
 
Nel secondo ponte inferiore (corridoio) venne lasciata la disposizione delle cuccette per emigranti e questa parte dell'ospedale è destinata a dar ricovero ai molti convalescenti rimpatriati e a tutti coloro che non hanno bisogno della permanenza a letto; siche questo non serve che per riposo della notte. Le ore della giornata vengono da questi malati impiegate, con loro vantaggio, a passeggiare in coperta ed a respirare la libera e pura aria marina.
 
Essiccatoio per la biancheria Nave ospedale
 
Dei riparti, separati da semplici tele che non intralciano la venti la ventilazione dei locali, tre servirebbero per malati chirurgici ed uno, detto misto, accoglierebbe tutti gli altri casi ; la suddivisione però è subordinata alle circostanze, essendo sempre necessario che diventi misto anche qualcuno degli altri riparti. In quelli destinati alla cura chirurgica si è stabilito uno speciale posto per medicazione o per piccoli atti operatori ; ogni posto è dotato di sterilizzatrice elettrica, di forti lampadari, d’acqua potabile, ecc. Il materiale di medicazione per questi posti e per tutto il resto dell’ospedale è contenuto in ampie scatole di rame o di zinco a finestre ermeticamente eclissabili, ritagliato e piegato opportunamente pei diversi usi ; esse, come quelle che contengono il materiale per le operazioni, man mano che il bisogno si presenta, vengono poste, per la sterilizzazione, in una grande stufa a vapore, della quale i piroscafi, in forza degli ordinamenti sull'emigrazione, sono provvisti.
 
Le parti estreme di prua e di poppa dei due piani di batteria e di corridoio, dove i malati, pel rumore delle catene delle ancore, per le vibrazioni suscitate dalle eliche e per altre ragioni starebbero a disagio, furono trasformate in magazzini di materiale ospidaliero e di medicata, di cui le due navi-ospedale sono abbondantemente dotate tanto da permettere loro spesso di rifornire altre infermerie o posti sanitari.
Nel piano di coperta, oltre ai gabinetti gabinetti per osservazioni microscopiche e per la radioscopia, si trovano la sala d’ operazioni, la farmacia ed un riparto per ufficiali feriti o ammalati; questi tre ambienti risultarono da un’ingegnosa trasformazione dei locali della preesistente infermeria emigranti.
 
La sala operatoria, assai ben riuscita e perfino elegante, è fornita di tutto ciò che è necessario per eseguire, secondo i più moderni criteri chirurgici, qualunque atto operativo.
Verso la parte prodiera di questo piano di coperta fu installata la lavanderia a vapore la cui utilità, anzi necessità, è facile immaginare. dato l’ufficio e la destinazione delle navi sulle quali non è poca la biancheria che si consuma, dato l'ufficio e la destinazione delle navi sulle quali non è poca la biancheria che si consuma.
 
Un problema importante e delicato da risolversi è quello dei mezzi di trasporto e d’imbarco dei feriti, il cui trasferimento è tutt’altro che semplice se si considera che. dall’infermeria di terra fino alla marina, dalla spiaggia o dal porto fino alla nave, dalla lancia a bordo della nave stessa ed al definitivo posto di letto, devono cambiarsi varie direzioni e sistemi di traslazione. 11 problema fu risolto in modo felice e tale che l’individuo, dal momento in cui lascia il suo letto a terra fino a quando viene coricato a bordo, giace sempre in posizione orizzontale, nella stessa barella, col minimo di disturbo, di scosse o di sballottamenti. A tale scopo serve assai bene la semplicissima barella dell’esercito o meglio ancora quella della marina, più snella e leggera; in essa il ferito, adagiato e comodamente disposto, viene trasportato a mano fino al mare. Quivi le varie barelle sono disposte sui banchi di grosse lande da salvataggio che in numero di tre, quattro o cinque vengono rimorchiate sotto il bordo della nave-ospedale. Per alzare, rientrare e ricalare ciascuna barella dalla lancia fino ai riparti si utilizza l’apparecchio a vapore, l’albero di carico ed il filo d’acciaio a più capi, coi quali si sogliono imbarcare i colli di merce. Al filo d’acciaio è agganciata la cosidetta branda all’inglese, la quale non è altro che una scatola rettangolare di forte tela, tenuta aperta da un telaio disposto sul suo fondo; essa è tenuta sospesa per mezzo di un’asta di ferro che la mantiene distesa e costantemente orizzontale.
 
Trasporto dei feriti alla nave ospedale
 
Calata la branda inglese fino alla lancia, vi si adatta la barella col ferito e la si alza, con moto uniforme e moderato, fino all’altezza della coperta: due cordicelle, applicate ai due estremi della branda e manovrate dal basso, impediscono che essa possa, per movimenti della lancia o della nave, subire degli urti. Giunta la branda in coperta, viene rientrata fin sopra il boccaporto e ammainata finché giunge al piano del riparto. Allora si estrae la barella dalla branda e la si trasporta a braccia fino al posto di letto che un medico, di ciò incaricato, ha assegnato al ferito o malato.
La pratica che di questa delicata manovra ha acquistato ora il personale, il quale la esegue in minor tempo di quel che si richiede a descriverla, è tale da renderla preferibile a qualunque altra, anche con mare fortemente agitato.
 
Coll’armamento e coll’ordinamento di queste navi la R. Marina intendeva di approntare il necessario per lo sgombro e la cura dei feriti in combattimenti navali. Nella presente guerra però l’attività di esse dovette specialmente rivolgersi ai militari dell’esercito, i cui vari reparti sono frazionati in sei nuclei comunicanti solo per mare sulla lunga costa libica (Tobruk Derma, Bengasi, Homs, Tripoli, Forwa), ai quali si sono in questi ultimi tempi aggiunti altri nuclei nell’Egeo, dai piccolissimi delle isole minori al più considerevole presidio della storica Rodi.
 
Branda inglese fuori bordo
 
Nei primi mesi della guerra, quando nelle nuove sedi di Libia non si poteva contare su un vero e completo servizio d'ospedali fortunatamente brevissima, l'epidemia di colera, le due navi ospedale furano validamente aiutate del Menfi e dal Regina Margherita, piroscafi noleggiati dal governo ed armati da personale appartenente a benemerite associazioni.
 
Branda inglese sopra il boccaporto
 
Il Menfi, nave-ospedale della Croce Rossa italiana, è noto già a tutti gli italiani come quello sul quale ai sofferenti era conforto la sollecitudine di S. A. la Duchessa d’Aosta e delle dame, che vi rappresentavano l’amore e la pietà di tutte le donne d'Italia.
 
Il Regina Margherita fu armato dal Sovrano Ordine di Malta, i cui nobili cavalieri si mossero ricordando le lunghe lotte combattute col turco dai loro predecessori, che lasciarono le loro insegne gentilizie scolpite sui cadenti palazzi, sui bastioni ed al sommo delle porte turrite del fortissimo castello di Rodi.
 
Dell’ opera che le due navi-ospedale h anno compiuto durante il loro armamento sarà fatta, a suo tempo, la storia con esattezza statistica e scientifica; in essa verrà detto anche tutto quello che l’esperienza, insuperabile critica e maestra, ha trovato indispensabile modificare o aggiungere per il perfezionamento della nuova istituzione marinara, nè v’ha dubbio che tali ammaestramenti abbiano a cadere nel vuoto.
Basterà qui ricordare, come titolo d’onore per le due navi, le giornate dello sbarco e della presa di Bengasi (Re d’Italia) e del combattimento di Sciara Sciat (Regina d’Italia) e rendere noto che la prima di esse (a cui specialmente si riferisce la presente descrizione) ha finora percorso circa 20.000 miglia, contando press’a poco giornate di cura, dati non molto dissimili da quelli offerti dall’attività della nave gemella.
 
Sbarco feriti molo Catania
 
I nitidi riparti e la bianche cuccette dei due ospedali naviganti non saranno tanto presto dimenticati da coloro che vi furono, anche per breve tempo ricoverati, dopo mesi di vita passati sotto le tende con poca paglia senza potersi svestire, e che vi trovarono in abbondanza a loro conforto ciò che per necessità di cose altrove scarseggiava. Nè verrà loro meno nella memoria il ricordo delle persone che si muovevano attorno a quei lettini, sforzandosi di utilizzare tutto quello che nei grossi fianchi della nave era stato, in patria, raccolto e conservato a vantaggio di chi aveva alla gloria d’Italia offerto il proprio sangue. La speranza che questo memore sentimento sia sbocciato e perduri negli animi di tanti generosi fratelli, è, senza dubbio, per coloro che colla mente e col cuore cercarono di seminarlo, la più dolce ed ambita delle ricompense.

Samuele Angeloni
 
Feriti nave ospedale grande guerra
 
Fonte: Adolfo Cotronei, Le navi ospedale della nostra Marina. Estratto dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1912. © Museo Risorgimento Bologna - Certosa.
 
 
 
Navi ospedale italiane

Navi ospedale:
  • Washington (1854 - 1904)
  • Albaro (1890)
  • Brasile (1905)
  • Clodia (1905)
  • Menfi (1911)
  • Cordova (1906 - 1918)
  • Ferdinando Palasciano (1899 - 1923)
  • Italia (1905 - 1943)
  • Marechiaro (1911-1916)
  • Re d'Italia (1907 - 1929)
  • Regina d'Italia (1907 - 1928)
  • R 1 (1911)
  • Santa Lucia (1912)
  • Gargano
  • Aquileia (1914 - 1943)
  • Arno (1912 - 1942)
  • California (1920 - 1941)
  • Città di Trapani (1929 - 1942)
  • Gradisca (1913 - 1950)
  • Po (1911 - 1941)
  • Principessa Giovanna (1923 - 1953) 
  • Ramb IV (1937 - 1941)
  • Sicilia (1924 - 1943)
  • Tevere (1912 - 1941)
  • Toscana (1923-1961)
  • Virgilio (1928-1944)


Navi soccorso

Navi soccorso:

  • Capri (1930 - 1943)
  • Epomeo (1930 - 1943)
  • Laurana (1940 - 1944)
  • Meta (1930 - 1944)

Fonte: wikiwand


 
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 

La nascita dell’Associazione, dalla Compagnia di Pubblica Assistenza e dalla Croce Bianca alle “Società Riunite”

La Pubblica Assistenza Società Riunite di Pisa nasce il 30 settembre 1886. A seguito di un’epidemia di colera del 1884 in cui la Fratellanza Militare di Pisa, una mutuo soccorso tra i soci che dovevano aver militato o militare nell’esercito, aveva prestato soccorso ai cittadini colpiti, si iniziò a sentire l’esigenza di istituire un soggetto che agisse in caso di pubbliche calamità. Fu quindi fondata una Compagnia di Pubblica Assistenza che impiegò circa sei anni a diventare indipendente dalla Fratellanza Militare.

Pubblica Assistenza Pisa

Nel 1887 furono rilevate le attività e le attrezzature della Società di Soccorso degli Asfittici, nata nel 1878 ma che era di fatto chiusa. Questa società si occupava di salvamento in acque marine e fluviali, non rare anche nel fiume Arno. Con questa operazione la neonata Pubblica Assistenza aveva risorse a sufficienza per iniziare e rivendicare indipendenza dalla Fratellanza Militare.

Nel 1889 le attività dell’Associazione iniziarono a essere rilevanti al punto di far si che il Prefetto convocasse una riunione con la Misericordia di Pisa per accordarsi sulla suddivisione dei compiti.
Il 21 gennaio 1891 la Pubblica Assistenza raggiunse la totale autonomia dalla Fratellanza Militare portando a se anche uomini e risorse della Società Pisana per la Cremazione dei Cadaveri.
 
Nel 1894, per opera di alcuni fuoriusciti dalla Misericordia di Pisa, nasceva sempre a Pisa la Croce Bianca, con lo scopo di assistere gli infermi nelle loro abitazioni, raccogliere e trasferire feriti e malati presso gli ospedali, dare dei sussidi in caso di malattia ai soci bisognosi, rendere gli onori funebri ed effettuare il trasporto dei cadaveri. In pochi anni le attività di questa associazione cominciarono a essere vive e fiorenti al punto che nel 1897 furono svolti più di 7000 servizi e l’associazione aveva un ambulatorio aperto anche di notte. Abbiamo notizie anche della partecipazione di volontari della Croce Bianca anche al terremoto di Messina nel 1908 e nei comuni vesuviani.
 
Nel 1908 venne discusso e approvato un nuovo Statuto che dava possibilità alla Pubblica Assistenza di aprire succursali sul territorio. Furono normate le figure sociali, regolamentata la presenza di personale dipendente e furono introdotte le figure dei Capisquadra e oltre ai due medici che prestavano servizio fu affiancato anche un odontoiatra. Fu anche normata la funzione di Onoranze Funebri, con grande risalto alle cerimonie laiche alle quali tutti i soci erano invitati a partecipare, con segni di lutto e rispetto codificati, mentre erano più sobrie le partecipazioni ai riti religiosi.
 
Nel 1909 la Compagnia di Pubblica Assistenza e la Croce Bianca decisero di fondersi creando la “Pubblica Assistenza Società Riunite”. Questa scelta portò a far si che la nascente realtà cominciasse ad avere un ruolo egemone nel panorama dell’associazionismo mutualistico e sanitario pisano.

Nel 1914 inizia la Prima Guerra Mondiale. Le Pubbliche Assistenze parteciparono in prima linea al conflitto dando un forte aiuto per il soccorso dei feriti e dei rifugiati assieme alla Croce Rossa. Nella nostra Associazione sono 38 i caduti per cause legate alla guerra. Non è chiaro se morirono negli scontri o per le epidemie, ma i loro nomi sono riportati su una lapide esposta nell’attuale sede.

Il fascismo e la rinascita dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1933, il regime fascista sciolse la Pubblica Assistenza di Pisa, facendo passare tutti i possedimenti alla Croce Rossa mentre i volontari smisero le loro attività. Solo dopo la guerra, nel 1945 l’Associazione riprese corpo, creando nuovamente un consiglio e grazie alla donazione di una Lancia su cui realizzare un’ambulanza e di un fuoristrada americano Dodge ripresero le attività.

Uno dei problemi da risolvere fu la mancanza di una sede sociale, che fu riaperta in dei locali usati dai fascisti, in via San Martino 1 a Pisa. L’originaria sede dell’Associazione, nell’attuale Piazza Chiara Gambacorti (o Piazza alla Pera) fu infatti demolita. Non meno importante fu la mancanza di attrezzature, per le quali furono mossi numerosi passi per cercare finanziamenti sia da privati che dalle grandi fabbriche che rinascevano nel dopoguerra.

Riprese anche il presidio del territorio, riaprendo sedi distaccate nei quartieri di San Marco e Barbaricina ma anche nei comuni vicini. A Vecchiano, nella frazione di Migliarino la sede aprì nel 1947, nel comune di San Giuliano Terme riaprirono le sedi sia nel capoluogo, sia nella frazione di Asciano.
 
Piano piano ripresero tutte le attività, sia di soccorso sia per le onoranze funebri e non mancarono casi in cui fu prestato soccorso per calamità come nel 1950 a Pisa, in zona Piagge, sia i primi aiuti portati fuori regione per l’Alluvione del Polesine nel 1951.

 

Fonte: P.A.Pisa

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Durante i primi assalti dell'esercito italiano durante la Grande Guerra, uno degli ostacoli più temibili era rappresentato dalla Trincea delle Frasche.
 
Questo formidabile sbarramento, scavato dall'esercito asburgico nei primi mesi di conflitto, resistette tenacemente fino alla fine del 1915. Il suo nome evoca l'ingegno militare degli uomini ungheresi, che, con astuzia, camuffarono la trincea utilizzando rami per renderla meno visibile agli occhi dei nemici, compresi gli osservatori terrestri e aerei.
 
Questo ingegnoso stratagemma rappresentava una sfida significativa per le truppe italiane, che affrontavano una resistenza feroce e ingegnosa lungo il fronte. La Trincea delle Frasche rimane così un simbolo della determinazione e dell'ingegno delle forze nemiche durante uno dei conflitti più cruenti della storia mondiale.
Roberto Marchetti

 

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In questo punto morì, il 23 ottobre 1915, Filippo Corridoni, leader del sindacalismo rivoluzionario e amico personale di Benito Mussolini.

Fonte: turismofvg.it

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti  

 

 

 

 

 

 

Il terremoto di Sansepolcro fu un forte sisma che interessò l'Alta Valle del Tevere con epicentro nella zona di Sansepolcro il 13 giugno 1948 e con un'intensità massima del IX grado Mercalli (magnitudo 4.9 sulla scala Richter), di 8 secondi di durata. Una seconda scossa si verificò alle ore 10. Alle 13,50 e alle 14,20 nuove scosse di assestamento. Quindici case furono parzialmente distrutte, 2.500 i senzatetto, una vittima (una donna morta a causa del crollo di parte della volta della chiesa di San Francesco).
I danni vennero stimati in un miliardo di lire. Si allestirono accampamenti fuori Porta del Ponte, in viale Diaz, viale Vittorio Veneto e nei pressi di Porta del Castello. Il Governo inviò tende e medicinali, il Papa pasta, riso e zucchero. Giunsero in città il Presidente del Consiglio dei ministri, Alcide de Gasperi e il Ministro del Lavoro Amintore Fanfani, originario della zona (era nato nella vicina Pieve Santo Stefano).

Fonte: wikipedia
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Il Battaglione Veliti faceva parte dele truppe granducali

Veliti
Fonte: Carabinieri.it

 

Il Battaglione Veliti era un'unità militare che faceva parte delle truppe granducali del Granducato di Toscana, che esisteva dal 1569 al 1859. Queste truppe facevano parte dell'esercito del Granducato e svolgevano diverse funzioni, tra cui la difesa del territorio e l'assistenza nelle operazioni militari. Il termine "Veliti" era spesso utilizzato per riferirsi a truppe leggere o fanteria leggera.

Il reclutamento prevedeva requisiti molto particolari: condotta morale ineccepibile, età compresa tra i 18 e i 25 anni, altezza minima di 1,65 m. e appartenenza ad una famiglia benestante che potesse versare una quota annua piuttosto cospicua.

Il 22 novembre 1848 Leopoldo II emanò un decreto che, dopo le considerazioni generali di rito, dispose nei primi due articoli:
"Art. 1 - Il Corpo dei Carabinieri, la cui denominazione è falsa quando il soldato non è armato di carabina, è nello stesso tempo sciolto e ricomposto col nome di reggimento Veliti.
Art. 2 - Gli Uffiziali e soldati del novello corpo dovranno essere fra quelli che godono e serbano probità specchiata e non comune valore nell'esercito".

Dopo aver dettato negli articoli seguenti le norme relative alle caratteristiche ed all'ordinamento dei Veliti, il decreto stabilì: "Gli Uffiziali e soldati del Reggimento Veliti godranno gli stessi stipendi e soldi che godeva il Corpo dei Carabinieri".

Il 5 maggio 1859 a Livorno, veniva costituito il Reggimento Granatieri del Governo provvisorio Toscano su due battaglioni, uno dei quali è il battaglione "Veliti".

Con l'applicazione della legge 11 marzo 1926 sull'ordinamento dell'esercito, assume la denominazione di 35° Reggimento Fanteria "Pistoia" ed a seguito della formazione delle brigate su tre reggimenti viene assegnato alla XVI Brigata di Fanteria assieme al 36° "Pistoia" ed al 66° "Valtellina"; rimane articolato in due battaglioni. 

 

Fonte: carabinieri.it, storiaememoriadibologna.it, regioesercito.it
Ricerca storica Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

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