Livia Gereschi - filmato
La storia di Livia Gereschi
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La Regina Elena e la C.R.I. di Pisa
La Regina Elena a la C.R.I. di Pisa
Di Vincenzo lupo Berghini
Tempo fa, rovistando tra anticaglie e vecchie riviste di un robivecchi del centro di Pisa, ho trovato un numero del settimanale Il Secolo XX edito da Rizzoli di Milano. Mancavano molte pagine, ma ho potuto comunque recuperare una fotografia di mio interesse perché riguardante la cronaca/storia di Pisa. La fotografia (autore Scarlatti di Pisa) è accompagnata da questa didascalia: «La Regina ha inaugurato a Pisa un asilo della Croce Rossa». L'asilo in questione non è un asilo infantile come potremmo noi oggi pensare, ma un asilo di Pronto Soccorso. La Regina in cappotto e pelliccia al collo è evidentemente venuta sola da San Rossore.
In altre parole «La Montanara», come si celiava allora, aveva lasciato alla Reggia, forse a cacciare, «Curtatone», vale a dire Re Vittorio Emanuele III. In omaggio alla regina, un gruppo di crocerossine porge il saluto fascista. Alla destra della regina, senza cappello, si vede il podestà di allora, l'avvocato Guido Buffarini Guidi; alla sinistra con il braccio alzato a mo' di guida alla regina, il presidente provinciale della CRI (Croce Rossa Italiana), il grand'Ufficiale Pietro Feroci, entrato in carica nel 1931. Dietro al terzetto si intravede l'arcivescovo di Pisa Gabriele Vettori, che era subentrato al cardinale Pietro Maffi nella guida della nostra diocesi.
Si pongono ora due interrogativi. Il primo riguarda il luogo dell'evento, il secondo l'anno della inaugurazione. Non avendo a disposizione la data di uscita del settimanale, possiamo dedurre dagli altri fatti di cronaca raccontati in altre pagine del giornale che l'evento sia da collocare nel novembre del 1932. Ad esempio in una pagina di questo settimanale si parla della visita del principe di Piemonte, il principe ereditario Umberto, al nuovo transatlantico «Conte di Savoia», sul quale ha compiuto il viaggio inaugurale da Napoli a Genova.
L'altro interrogativo viene immediatamente risolto ricordando che la CRI di Pisa aveva sede nella parte retrostante del Palazzo Pretorio, con ingresso da via del Moro. Questa straducola da un lato sfocia in via San Martino, mentre dall'altro, tramite un breve passaggio sotto un arco facente parte del loggiato dello stesso palazzo comunale, raggiunge Il lungarno Galilei.
La CRI ha avuto sede lì per molti anni, sino a quando la necessità di utilizzare nuovi mezzi di soccorso ne determinò il trasferimento altrove. I locali furono così utilizzati come sede della caserma dei vigili urbani, sino a che essi ottennero una nuova sede in via Cesare Battisti. Attualmente lì ha trovato sistemazione l'ufficio elettorale del Comune. E nell'ufficio elettorale ha trovato sistemazione - ormai da tempo - il busto in marmo di Rosalia Montmasson, l'unica donna che ha partecipato all'impresa dei Mille, la prima moglie di Francesco Crispi.
Come alcuni lettori ricorderanno, ho lottato perché si trovasse una degna sistemazione a questo busto la cui donazione al Comune si deve in un qualche modo al sottoscritto. Di recente l'assessore alla cultura di Pisa, Andrea Buscemi, ha annunciato che finalmente il busto sarà sistemato in modo degno nell'atrio di palazzo Gambacorti. Mi auguro che ciò avvenga al più presto...
Fonte: Toscana Oggi del 14 ottobre 2018
Ricerca storica: Roberto Marchetti
Il Comitato di Pisa
La CRI a Pisa nasce, per volontà ed iniziativa di rappresentanti della società civile e semplici cittadini pisani, il 25 agosto 1888.
II Comitato ha variato nel tempo più volte la propria denominazione; da Sottocomitato Locale CRI di Pisa, fu rinominato Sottocomitato Provinciale CRI di Pisa e in seguito rinominato ulteriormente Comitato Provinciale CRI di Pisa, fino a prendere definitivamente la denominazione attuale di Comitato CRI di Pisa a far data dal 1 gennaio 2016.
Il Comitato CRI di Pisa è una fra le prime organizzazioni del territorio a fornire, in modo continuativo ed organizzato, una risposta ai bisogni delle comunità, con un sostegno alimentare, economico e psicosociale a chi si trova in condizioni di necessità e/o di vulnerabilità, suscitando speranza e garantendo dignità a chi si trova (talvolta suo malgrado) ai margini della società.
Livia Gereschi
Livia Gereschi, eroina italiana della seconda guerra mondiale: una luce di speranza nei momenti più bui
Sommario:
Livia Gereschi, nata il 7 gennaio 1910 a Pisa, è stata una figura straordinaria durante la Seconda Guerra Mondiale, un'eroica insegnante e infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana. La sua storia di coraggio e sacrificio emerge durante un rastrellamento nazista nei Monti Pisani, vicino a Molina di Quosa, dove si distinse nel salvare donne e bambini. La sua conoscenza delle lingue tedesca e francese e la sua formazione umanitaria presso la C.R.I. la resero una difensore instancabile dei diritti umani in tempi di guerra.
La Vita di Livia Gereschi:
Livia Gereschi proveniva da una famiglia rispettabile di Pisa, con un padre commercialista e una madre insegnante. Fin dal 1932, si dedicò alla Croce Rossa Italiana come infermiera volontaria, svolgendo il suo servizio presso l'ospedale di S. Chiara e l'ambulatorio di Pronto Soccorso fino al 1941. La sua esperienza e la sua formazione la resero una paladina del Diritto di Protezione nei confronti delle persone in difficoltà.
L'Atto di Coraggio:
Durante lo sfollamento della città di Pisa a causa della guerra, Livia si trovò a Pugnano, rifugiandosi in una stalla con sua madre. La notte del 6-7 agosto 1944, le SS tedesche eseguirono un rastrellamento a "La Romagna", trovando principalmente civili. Nonostante le minacce, Livia difese i prigionieri, ottenendo il rilascio di donne e bambini. Tuttavia, lei stessa fu imprigionata e trasferita a Ripafratta insieme agli uomini.
L'Inferno di Nozzano:
Separata dagli altri prigionieri, Livia fu portata a Nozzano sede del centro di comando di Max von Simon, Comandante La 16ª SS Panzergrenadier Division "Reichsführer SS", dove subì torture insieme ad altri. Questo periodo di terrore culminò nella tragica esecuzione a "La Sassaia". Grazie al coraggio di sopravvissuti come Oscar Grassini, il mondo ha appreso delle gesta eroiche di Livia Gereschi e della sua tragica fine.
Un Esempio di Compostezza e Dignità:
Coloro che furono vicini a Livia durante quei giorni ricordano la sua compostezza, dignità e la capacità di consolare i compagni di sventura. Il suo comportamento esemplare rifletteva il coraggio e la maturità di una donna che affrontava l'orrore della guerra con fermezza.
Eredità e Ricordo:
Livia Gereschi, con il suo sacrificio, ha contribuito a preservare la dignità umana in tempi di orrore. La sua storia è tramandata grazie ai superstiti, come Oscar Grassini, che ha portato avanti il ricordo di questa eroina italiana. La memoria di Livia Gereschi è una luce di speranza nei momenti più bui della storia italiana.
Livia Gereschi, un simbolo di coraggio e umanità, rimane un esempio eterno di come un individuo possa resistere all'ingiustizia e alla barbarie in nome della giustizia e del diritto di protezione delle persone vulnerabili. La sua storia dovrebbe continuare a ispirare generazioni future a difendere i valori umanitari anche nei momenti più difficili.
Roberto Marchetti
Fonte: wikipedia
Di seguito il tragico racconto di quei giorni nelle parole di sua madre Giuseppina Cucci (vedova Gereschi), rilasciate al Capitano dei Carabinieri Arturo Vitali nel 1947 e reperite dallo storico Paolo Pezzino nel Public Record Office di Londra:
Nell’agosto del 1944 mi trovavo assieme a mia figlia Livia Gereschi, sfollata in località Romagna sui monti di Molina di Quosa. All’alba del 7 agosto un reparto della SS tedesca operò una spedizione in detta località col pretesto di scovare i partigiani. Case e baracche furono circondate dai tedeschi e uomini e donne senza distinzioni di età furono fatti uscire di casa e radunati in un grande prato. Gli uomini furono separati dalle donne e gli ufficiali delle SS si rivolsero alle donne per indurle con minacce di morte a rivelare i nomi e le dimore dei partigiani. Poiché nessuna donna parlò, i tedeschi decisero la deportazione di tutti i catturati. Degli uomini furono fatte due colonne: una di coloro che accettarono di lavorare, un’altra di quelli che, avendo accusato una qualche inabilità, avevano chiesto una visita medica. Fra le donne vi era mia figlia, infermiera volontaria della Croce Rossa, la quale parlava benissimo tedesco e fece da interprete ottenendo dopo molte ore che tutte le donne venissero rilasciate. Lei però, senza motivo alcuno, fu trattenuta ed aggregata alla colonna degli uomini invalidi (una settantina) e con essi avviata a piedi a Nozzano ove tutti furono rinchiusi nella scuola locale. In detta scuola mia figlia fece da interprete, ma sempre trattata brutalmente. L'11 agosto i tedeschi cominciarono a far uscire dalla scuola a piccoli gruppi i disgraziati i quali credevano di essere portati a Lucca per la visita medica, come era stato loro fatto intendere, e venivano invero condotti in aperta campagna e mitragliati. Dopo le 17 dello stesso giorno i 29 superstiti tra cui mia figlia furono fatti salire su un automezzo e condotti nella località «La Sassaia» nel Comune di Corsanico. Qui furono fatti scendere dall’autocarro, radunati in un posto solitario e ad un cenno dell’ufficiale uccisi con raffiche di mitraglia. I morenti furono finiti dall’ufficiale con un colpo di pistola. I tedeschi delle SS non vollero che i cadaveri venissero sepolti la sera stessa. Il giorno dopo altri giovani rastrellati dalle SS ebbero ordine di scavare una fossa comune e a mia figlia – unica donna – non fu concesso dai tedeschi di essere sepolta in una tomba a parte.
Tratto da: Livia Gereschi, insegnante e infermiera. Articolo di Alessandro Colombini, storico
Fonte: gariwo
Onorificenze e decorazioni
Medaglia d'Argento al Merito con Palma alla memoria |
Intitolazioni
L'Istituto Comprensivo ”Livia Gereschi“ via S. Antonio, 3 Pontasserchio (Pi).
Una piazza all'interno di un complesso abitativo presso San Giuliano Terme (Pi).
Una scuola elementare Livia Gereschi, via Umberto Viale 16, Pisa.
Una via del quartiere di San Francesco in Pisa.
- L'eccidio della Romagna. Agosto 1944, Pisa, Comune di San Giuliano Terme, Comitato interparrocchiale per le onoranze ai martiri della Romagna, Associazioni dell'Antifascismo, della Resistenza e Combattentistiche, 1994.
- Carla Forti, Dopoguerra in provincia: microstorie pisane e lucchesi, 1944-1948, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 24-25, ISBN 88-464-8528-9.
- Michele Battini, Paolo Pezzino, Guerra ai civili: occupazione tedesca e politica del massacro. Toscana, 1944, Padova, Marsilio, 1997, ISBN 88-317-6773-9.
Ricerca storica: Roberto Marchetti
Fiat 515
La Fiat 515 è un'autovettura di media gamma prodotta dalla Fiat dal 1931 al 1934.
Il Fiat 515: Un'icona dell'Assistenza Medica del Passato
Nel cuore dei tumultuosi anni '30 del XX secolo, quando l'Europa era immersa in cambiamenti politici e sociali, un'icona dell'assistenza medica stava emergendo: il Fiat 515. Questo veicolo, prodotto dalla rinomata casa automobilistica italiana Fiat, incarnava l'innovazione nel trasporto sanitario dell'epoca.
Dotato di una grinta inconfondibile e di una robustezza senza pari, il Fiat 515 non era solo un'automobile, ma un vero e proprio simbolo di speranza e soccorso nelle comunità di allora. Il suo design curato e la sua affidabilità meccanica lo resero uno strumento essenziale per trasportare pazienti malati o feriti ai centri medici più vicini.
Con il suo motore a quattro cilindri in linea e una cilindrata di circa 995 cc, il Fiat 515 offriva prestazioni affidabili anche nelle condizioni più avverse. Il cambio manuale a 4 velocità garantiva una guida fluida e precisa, mentre il robusto telaio e la struttura in acciaio assicuravano sicurezza e resistenza durante i lunghi viaggi di emergenza.
L'adattamento del Fiat 515 come autoambulanza prevedeva l'allestimento di un vano posteriore appositamente progettato per ospitare pazienti e personale medico. Questo spazio era arredato con cura per garantire il massimo comfort e la massima sicurezza durante il trasporto.
Ma il Fiat 515 era molto più di un semplice mezzo di trasporto. Era un simbolo di speranza per coloro che avevano bisogno di cure urgenti. Il suono del suo clacson diventava la colonna sonora delle strade quando si affrettava a raggiungere coloro che avevano bisogno di aiuto.
Oggi, il Fiat 515 rimane un'icona del passato, un testimone silenzioso di un'epoca in cui l'assistenza medica si basava sull'ingegno e sull'impegno di persone dedite al bene comune. Le sue linee eleganti e la sua storia affascinante continuano a ispirare, ricordandoci il valore del soccorso e della solidarietà umana, anche nei momenti più bui della storia.
Roberto Marchetti
Ricerca storica: Roberto Marchetti
Fonte: wikipedia
Codice Etico
Codice Etico della Croce Rossa Italiana
Il Codice etico e di buona condotta è un codice di comportamento cui hanno l’obbligo di attenersi e conformarsi coloro che, a qualsiasi titolo, fanno parte dell’Associazione della Croce Rossa Italiana e agiscono in essa, con l'obiettivo di promuovere la dignità delle persone in ogni luogo.
Qualsiasi azione non può prescindere dal rispondere positivamente alle seguenti domande:
- È quest’azione in accordo con i Principi Fondamentali e con il Codice di condotta?
- È quest’azione conforme alle politiche, procedure e linee guida?
- È quest’azione lecita secondo le leggi del paese in cui sono?
- Quest’azione mette in luce positivamente, o almeno non negativamente, me e la Croce Rossa Italiana?
- Esiste un’azione alternativa per cui io possa rispondere “sì” per ognuna di queste domande?
Il codice etico è finalizzato alla realizzazione di un sistema di azione teso a garantire procedure e comportamenti volti a prevenire attività illegittime o illecite, a migliorare l’efficienza, l’efficacia, la trasparenza dell’azione amministrativa e la qualità della regolazione, a soddisfare i bisogni della collettività, informando la stessa dei comportamenti che può attendersi da chiunque opera per conto della Croce Rossa Italiana.
Scarica il Codice Etico della Croce Rossa Italiana (692.59 KB)
Le Baleari
9 giugno 2017 è stato riattivato l'ex Hotel Park Le Baleari sul Viale del Tirreno 13 a Tirrenia (Pisa) ospitando (dal 9 al 15 giugno) 11 bambini e bambine del Kosovo, che hanno lottato e vinto una pesante battaglia della vita a seguito di grave malattia.
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La Institutio Santoriana - Fondazione Comel è stata costituita a Milano nel 1992 su iniziativa mecenatica di Marcello Comel, professore fisiologo e dermatologo, per onorare la memoria della moglie dottoressa Maria Cecilia Bernardo e del figlio Camillo ed è stata riconosciuta ente morale da parte della Regione Lombardia nel 1993. Nel dicembre 2010 il riconoscimento è stato esteso a livello nazionale.
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