Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
nastro tricolore
 


Nato ad Oppeano (Vr) nel 1938 Vive a Bovolone (Vr), Via Canton 42.
 
Lavora a Bovolone, Viale del Lavoro 9 – tel./fax 045 6949072
 
 
Ha iniziato a lavorare giovanissimo come falegname in una delle prime botteghe nate in paese nel dopoguerra, imparando la riproduzione di mobili in stile e praticando tutte le lavorazioni a mano, dalle sgrossature all’intaglio per poi finire con il lucido.
 
Una scuola dura e selettiva, dove solo chi aveva talento e passione poteva continuare.
 
All’età di ventitre anni si è messo in proprio, ha cresciuto una famiglia, trasmettendo mestiere e volontà ai figli Michele e Giordano.
 
Ha coltivato nel contempo la sua passione di sempre: per la musica,  iniziando dapprima col diploma in solfeggio ottenuto con corsi serali, e imparando poi a suonare chitarra e mandolino.  E sulle note del mandolino ha inciso un nastro di canzoni napoletane in collaborazione con altri due musicisti.
 
Ha frequentato per cinque anni la scuola di disegno applicato ad arti e mestieri ricevendo varie  premiazioni.
 
Violini, violoncelli e mandolini hanno sempre suscitato grande fascino su di lui, così ha iniziato a scoprirli riparando e restaurando vecchi liuti trovati nei mercatini.
 
Da autodidatta poi ha imparato la costruzione dello strumento e vi si è dedicato completamente con gradissima soddisfazione.
 
In breve ha raggiunto risultati di eccellenza per la qualità costruttiva e per il suono. Ha ricevuto prestigiosi premi ed è  apprezzato da celebri violinisti quali il Maestro Giovanni Guglielmo,  Rettore del Conservatorio di Vicenza e concertista di fama internazionale; il Maestro Glauco Bertagnin, primo violino dei Solisti Veneti e il Maestro Francesco Ferrarini violoncellista.

Fonte: accademiaarteartigianato

Ricerca storica: Robero Marchetti

 


 

Posti di ristoro

 

In un angolo della Piazza della Stazione, una piccola bandiera, che il vento spesse volte arrotola sull’asta, quasi volesse toglierle l’aspetto di superba baldanza e consacrarla alla modestia, una bandiera — Dove la Croce ha il rosso di una piaga — richiama a se i soldati feriti e malati, come le braccia di una madre chiamano i figli. Quivi è il Posto di Ristoro della Croce Rossa, dove madri e sorelle, giorno e notte, amorosamente, porgono il conforto morale e materiale ai soldati ammalati e feriti, che di lì transitano.


Questo Posto di Ristoro nacque all’ inizio della guerra; così: senza pompa, senza cerimonie e, coraggiosamente, senza patrimonio, senza alcun aiuto ufficiale. Nacque proprio dal cuore delle mamme che vollero subito, col loro soccorso, porgere un affettuoso tributo di riconoscenza ai primi soldati che ave vano compiuto il loro dovere là, sulla fronte; nacque e si mantenne sempre per virtù propria.

E furono prima bibite ghiacciate che, al passaggio dei treni affollati, in quelle notti caldissime, vennero dispensate ai soldati per mitigarne l’arsura, per ristorarli dalla fatica del lungo viaggio. E furono poi bibite e tazze di latte o panini.
Giungevano nella notte, a tardissima ora, i treni sbuffanti, come oppressi da tutto quel dolore; e sembrava che col lungo fischiare gridassero il loro strazio, quasi a richiamarci alla mente tutti i nostri doveri di amori o di pietà, e subito si distribuivano le bibite che cento e cento bocche chiedevano. Quanta gratitudine traspariva poi dallo sguardo e dal sorriso di quei buoni ragazzi !
Incoraggiate dal Consiglio Direttivo e dalla Sezione femminile di questo Comitato, le Socie della Croce Rossa esplicarono poi dentro il Posto eh Ristoro, e sempre più largamente. d compito pietoso.


Quanti soldati si fermano al Posto diRistoro ? ...
Feriti, malati, convalescenti, soldati che vanno da un ospedale all’altro. o, che finita la convalescenza, si recano ad abbracciare la famiglia; malati gravissimi che i militi con tanta cura ci portano in barella, tanto gravi che ci sembra debbano spirare sotto i nostri occhi, e che vanno a morire nelle braccia della loro mamma; epilettici riformati, ciechi, dementi, pazzi, creature tutte chè devono sostare per delle ore alla stazione per aspettare la partenza o la coincidenza e che dovrebbero perciò restare molte volte per delle intiere notti, al freddo, in piedi, o sdraiati per terra...

Quante volta escono la mattina dall’ospedale e vengono qui per ripartire la sera !
Il Posto di Ristoro li accoglie tutti e li sostenta. Chi scrive ricorda di aver veduto distribuire, in una notte, ben novanta risotti a quei feriti che, pur doloranti nelle loro piaghe, conservavano le esigenze di uno stomaco giovane e sano.


Vengono dei timidi soldati che non osano dimandare una tazza di latte e stentano ad accettarla se viene loro offerta, e poi domandano quanto costa e quasi non credono che nulla debbano dare: e soldati che affetti da malattia nervosa rifiutano il cibo, e la mamma improvvisata affettuosamente lo porge loro e riesce a persuaderli: e soldati impossibilitati a muoversi dalla loro barelle che nulla domanderebbero e che accettano con tanta gratitudine la tazza del latte che la Sorella, sorreggendoli, loro fa bere a sorsi. Passano dei disgraziati che non scendono e il Ristoro della Croce Rossa porta nel loro scompartimento la colazione sana e abbondante.


E quanti profughi, specialmente bimbi, digiuni, non vennero qui nutriti ? Picchiarono forse una sola volta invano a questa porta ? Infatti, dal 1° Ottobre 1915 (e cioè dopo 5 mesi e 5 giorni dall' apertura del Posto di Ristoro) al 22 Febbraio 1918, furono ristorati 31948 soldati italiani e 1992 prigionieri nemici.


Fu la necessità che s’impose; curare il soldato e nutrirlo, curare il soldato e impedire lo sconcio che si vedesse ferito o ammalato li disteso per terra. E a Pisa, come in tante altre città, sorse il Posto di Ristoro.
Noi non li vedremo mai più quelli che assistemmo; e vorremmo averli seguiti tutti ad uno ad uno, col nostro cuore di madre e di sorella, seguirli nei luoghi ignoti del loro ignoto destino e confortarli con tutta la pietà di cui ogni donna ha pieno il cuore; seguirli e renderli tutti ancora forti e lieti alle loro mamme.

Le cifre suesposte chiaramente dimostrano quanto denaro occorra mensilmente per questa opera d’amore e di dovere verso i nostri soldati; e le offerte di pochi generosi, il sacrificio delle pietose donne Pisane che ad essa si dedicano, l’aiuto del Comitato che, cosciente dell’utilità di quest’opera, volle sostenerla, tutto ciò che la tenne in vita sin qui, ora, di fronte al numero dei soldati, alle crescenti spese, ora non è più sufficiente, ed occorre che tutta la cittadinanza si renda conto dell'opera grande, e concorra tutta, con le sue forze, sieno pur limitate, ad alimentare la fiamma d’amore che riscalda e rianima tante giovani forze, le più pure, le più belle, dedicate alla Patria.

L'appello che facciamo alla cittadinanza è, più di lutto, rivolto alle madri che possono meglio apprezzare e comprendere l’utilità del soccorso che qui si dà alla più bella parte della nostra gioventù, che tutta sé stessa offre alla grande madre comune — la Patria —; e i Pisani saranno certo, come sempre, generosi e vorranno contribuire alla vita della pietosa istituzione, per la quale occorrono somme non indifferenti.


Pensino le mamme che anche due soldi serviranno a dare una tazza di latte a un soldato, e che se questa tazza di latte ristora oggi uno sconosciuto, domani, fuori di qui. in un altro Posto di Ristoro, una tazza di latte ristorerà forse un loro figlio.
Una Socia della Croce Rossa.

 

[...]  Un'altra iniziativa curata dalla contessa Sofia Franceschi-Bicchierai. Splendida, meravigliosa, non tano aggettivi per definire questa straordinaria nobildonna, anima sensibile e fervente, sempre in prima fila per portare il suo contributo alla causa: alla stazione ferroviaria, ove già è il posto di socorso, promuove l'allestimento di un punto di ristoro. "ove i soldati, i feriti e i malati transitanti dalla zone stessa, oltre cure premurose, trovano continua e gratuita distribuzione di bibite, minestre, caffè the, panini, quant'altro può essere da loro desiderato".

A disposizione letti per chi deve aspettare allungo le coincidenze. Si avvicendano nel servizio "signore e signorine delle famiglie più distinte di Pisa".
Il comitato, come abbiamo visto, provvede al confezionamento di indumenti per i soldati, in particolare di lana: "Uno scelto gruppo di signorine alunne dell'istituto tecnico" si raduna ogni giorno per lavori di cucito e maglia, sotto la guida delle insegnanti Armida Sartori - Manetti, Rita Salvestroni e Irma Della Chiostra.

"Sono la più umile delle donne - si legge sull Ponte sotto lo pseudonimo Selvaggia ma forse è la Tagliagambe - ma sento la nobiltà e la fierezza di questo nuovo dovere che ci unisce. Lana, lana per i nostri soldati. Nessuno può rimanere inerte.
Madri, spose, sorelle, fidanzate, amiche, e sopra tutto donne italiane, sanno tutte che è giunta l'ora del loro più grave e delicato dovere". Quelle di S. Giuliano hanno preparato corpetti, e guanti che inviano a 30 soldati del paese. [...]
 
E prossima la fine dell'anno (1915 ndr) ed è tempo di bilanci.
[...] La contessa Sofia Franceschi-Bicchierai illustra il lavoro svolto dal comitato femminile Pro Patria: 500 le signore e signorine che hanno aderito; assistiti 150 bambini del ricreatorio Italia, cui sono stati distribuiti 889 capi d'abbigliamento; lavoro a 340 donne bisognose che hanno realizzato circa 9.000 indumenti per militari e 435 maschere antigas con borsa; dalle volontarie confezionati altri 3.150 indumenti di lana, 930 di cotone e 3.500 capi di biancheria; consegnati ai profughi indumenti, biancheria da letto e da tavola. [...]
 
Fonte: Massimo Vitale "Però mi fo coraggio" Edizioni ETS
 
Ricerca storica:
Carlo Bargagna
Roberto Marchetti

 

 

 

Nave ospedale Re dItalia
 
La necessità che i feriti nei combattimenti navali, pei bisogni della cura e per sentimenti di umanità anzitutto ed in secondo luogo per non turbare la serenità e la libertà d’azione dei combattenti sulla nave da guerra, siano allontanati dal campo d’azione e ricoverati su altre navi, apprestate per la loro cura e per il loro trasporto in sedi tranquille, è incontestabile. Questa necessità fu sempre profondamente sentita dalle nazioni militari che hanno guidato il mondo sulle vie della civiltà e che furono già da tempo spinte dagli avvenimenti politici militari a dotare le loro bene organizzate e potenti marine di navi-ospedale per usarne nelle guerre navali e coloniali. E perché trattavasi di istituzioni non bellicose e nazionali, ma umanitarie, universali e quasi sacre, se ne stabilì la inviolabilità, estendendo a queste navi, con adatte norme speciali, i benefìci della neutralità che la Convenzione di Ginevra già aveva accordato alle istituzioni congeneri negli eserciti terrestri.

Seguendo il nobile esempio, già da molti anni il corpo sanitario della nostra marina studiò e discusse l'argomento, preparando la via all’effettuarsi del suo lungo desiderio. L’ispettorato di sanità in Roma e la direzione di sanità del 1° dipartimento (Spezia) poterono finalmente mettersi all’opera e, nei tre anni ultimi decorsi, con diligente e continuo lavoro di alcuni dei più competenti ufficiali del corpo medico di marina, si è compiuto, oltreché il rinnovamento del materiale sanitario delle navi da battaglia, anche l’allestimento di quello necessario ad armare le navi-ospedale.
 
Camera operazione nave ospedale
 
E poiché alla costruzione di apposite navi si opposero ragioni di bilancio, venne fatta nel nostro naviglio mercantile una scelta di alcuni piroscafi adatti allo scopo, studiandone i piani. prestabilendo i lavori di assetto e preparando nei magazzini della direzione di sanità di Spezia tutto il materiale per il loro arredarnento, curato in tutti i particolari, imballato, incassato, qualificato, pronto in somma ad essere messo celeremente in opera.

Così allorché, dichiarata l’attuale guerra colla Turchia, si ritenne che due navi-ospedale fossero necessarie, giunsero a Spezia il 26 settembre 1911 il Re d’Italia e la Regina d’Italia, e dopo sei giorni ripartirono in completo assetto, pronti a ricevere ciascuno almeno 500 feriti o ammalati ed in caso di necessità anche qualche centinaio di più.

Le due navi sono gemelle, identiche quindi nella loro apparenza esterna e nelle disposizioni interne, identico il materiale sanitario imbarcato ed il concetto che ha presieduto alla disposizione di esso, sicché la descrizione di una sola di dette navi può servire a farle conoscere ambedue al pubblico, il quale, in gran parte, non può avere un’idea esatta di quanto è preparato per la cura in navigazione dei soldati e dei marinai feriti o malati.

I due piroscafi sono di circa 7000 tonnellate (lorde) colla velocità di circa miglia 14.5 all’ora e sono costrutti ed usati pei viaggi dall’Italia a New York, portando all’incirca 1500 passeggeri di terza classe (emigranti) alloggiati in due ponti sotto coperta. Hanno una grande sovrastruttura centrale che comprende, nel piano di coperta, rinfermeria emigranti, gli alloggi per gli ufficiali del piroscafo ed i servizi (cucine, forni, dispense). Nel piano superiore è disposta a 4 letti, con sala da pranzo , sala da musica, fumoir ed una bella passeggiata che circonda tutto il corpo centrale. Ancora al disopra è il ponte delle lande, il comando, la sala nautica, il telegrafo Marconi.

Questi piroscafi sono armati con persoli ale mercantile, il quale ha accettato di partecipare alla missione, comandato da un capitano proposto dalla Società armatrice. Il personale della regia marina è rappresentato dal direttore dell’ospedale (Colonnello o Tenente-Colonnello medico), da quattro Maggiori medici capi riparto e da altrettanti Ufficiali medici inferiori quali aiuti o assistenti. Il personale sanitario è poi completato da un farmacista col grado di Tenente e, per l’assistenza religiosa dei malati, è imbarcato un sacerdote dell’ordine dei Camilliani. I medici civili, dipendenti dalla Società, hanno nobilmente offerto la loro opera e disimpegnano essi pure l’ufficio di assistente. Comandante militare della nave-ospedale è un Ufficiale superiore di vascello (riserva navale) al quale fa capo tutto ciò che ha relazione col servizio puramente militare-marinaresco. Un opportuno numero di graduati e di comuni della categoria infermieri della regia marina è distribuito ai vari servizi ospitalieri.
Tutto l’ospedale è diviso in quattro riparti, capace ciascuno di circa 125 letti e, al bisogno, anche di più; essi sono retti da un maggiore medico con l'assistenza di un capitano e e di un tenete medico.
 
Nave ospedale La farmacia

Questi riparti poi sono situati a livello del primo ponte sotto coperta (batteria), il quale è un unico grande ambiente che si stende da prima a poppa, ben ventilato ed illuminato da una doppia fila di sportelli e da cinque ampi boccaporti. La batteria, la cui parte centrale è occupata dal grande boccaporto delle macchine, conserva, disposte in due piani, le cuccette per gli emigranti e ora, abolito il piano superiore di cuccette, diradando opportunamente il numero di quelle inferiori, vi si trovano circa trecento lettini.
 
Nel secondo ponte inferiore (corridoio) venne lasciata la disposizione delle cuccette per emigranti e questa parte dell'ospedale è destinata a dar ricovero ai molti convalescenti rimpatriati e a tutti coloro che non hanno bisogno della permanenza a letto; siche questo non serve che per riposo della notte. Le ore della giornata vengono da questi malati impiegate, con loro vantaggio, a passeggiare in coperta ed a respirare la libera e pura aria marina.
 
Essiccatoio per la biancheria Nave ospedale
 
Dei riparti, separati da semplici tele che non intralciano la venti la ventilazione dei locali, tre servirebbero per malati chirurgici ed uno, detto misto, accoglierebbe tutti gli altri casi ; la suddivisione però è subordinata alle circostanze, essendo sempre necessario che diventi misto anche qualcuno degli altri riparti. In quelli destinati alla cura chirurgica si è stabilito uno speciale posto per medicazione o per piccoli atti operatori ; ogni posto è dotato di sterilizzatrice elettrica, di forti lampadari, d’acqua potabile, ecc. Il materiale di medicazione per questi posti e per tutto il resto dell’ospedale è contenuto in ampie scatole di rame o di zinco a finestre ermeticamente eclissabili, ritagliato e piegato opportunamente pei diversi usi ; esse, come quelle che contengono il materiale per le operazioni, man mano che il bisogno si presenta, vengono poste, per la sterilizzazione, in una grande stufa a vapore, della quale i piroscafi, in forza degli ordinamenti sull'emigrazione, sono provvisti.
 
Le parti estreme di prua e di poppa dei due piani di batteria e di corridoio, dove i malati, pel rumore delle catene delle ancore, per le vibrazioni suscitate dalle eliche e per altre ragioni starebbero a disagio, furono trasformate in magazzini di materiale ospidaliero e di medicata, di cui le due navi-ospedale sono abbondantemente dotate tanto da permettere loro spesso di rifornire altre infermerie o posti sanitari.
Nel piano di coperta, oltre ai gabinetti gabinetti per osservazioni microscopiche e per la radioscopia, si trovano la sala d’ operazioni, la farmacia ed un riparto per ufficiali feriti o ammalati; questi tre ambienti risultarono da un’ingegnosa trasformazione dei locali della preesistente infermeria emigranti.
 
La sala operatoria, assai ben riuscita e perfino elegante, è fornita di tutto ciò che è necessario per eseguire, secondo i più moderni criteri chirurgici, qualunque atto operativo.
Verso la parte prodiera di questo piano di coperta fu installata la lavanderia a vapore la cui utilità, anzi necessità, è facile immaginare. dato l’ufficio e la destinazione delle navi sulle quali non è poca la biancheria che si consuma, dato l'ufficio e la destinazione delle navi sulle quali non è poca la biancheria che si consuma.
 
Un problema importante e delicato da risolversi è quello dei mezzi di trasporto e d’imbarco dei feriti, il cui trasferimento è tutt’altro che semplice se si considera che. dall’infermeria di terra fino alla marina, dalla spiaggia o dal porto fino alla nave, dalla lancia a bordo della nave stessa ed al definitivo posto di letto, devono cambiarsi varie direzioni e sistemi di traslazione. 11 problema fu risolto in modo felice e tale che l’individuo, dal momento in cui lascia il suo letto a terra fino a quando viene coricato a bordo, giace sempre in posizione orizzontale, nella stessa barella, col minimo di disturbo, di scosse o di sballottamenti. A tale scopo serve assai bene la semplicissima barella dell’esercito o meglio ancora quella della marina, più snella e leggera; in essa il ferito, adagiato e comodamente disposto, viene trasportato a mano fino al mare. Quivi le varie barelle sono disposte sui banchi di grosse lande da salvataggio che in numero di tre, quattro o cinque vengono rimorchiate sotto il bordo della nave-ospedale. Per alzare, rientrare e ricalare ciascuna barella dalla lancia fino ai riparti si utilizza l’apparecchio a vapore, l’albero di carico ed il filo d’acciaio a più capi, coi quali si sogliono imbarcare i colli di merce. Al filo d’acciaio è agganciata la cosidetta branda all’inglese, la quale non è altro che una scatola rettangolare di forte tela, tenuta aperta da un telaio disposto sul suo fondo; essa è tenuta sospesa per mezzo di un’asta di ferro che la mantiene distesa e costantemente orizzontale.
 
Trasporto dei feriti alla nave ospedale
 
Calata la branda inglese fino alla lancia, vi si adatta la barella col ferito e la si alza, con moto uniforme e moderato, fino all’altezza della coperta: due cordicelle, applicate ai due estremi della branda e manovrate dal basso, impediscono che essa possa, per movimenti della lancia o della nave, subire degli urti. Giunta la branda in coperta, viene rientrata fin sopra il boccaporto e ammainata finché giunge al piano del riparto. Allora si estrae la barella dalla branda e la si trasporta a braccia fino al posto di letto che un medico, di ciò incaricato, ha assegnato al ferito o malato.
La pratica che di questa delicata manovra ha acquistato ora il personale, il quale la esegue in minor tempo di quel che si richiede a descriverla, è tale da renderla preferibile a qualunque altra, anche con mare fortemente agitato.
 
Coll’armamento e coll’ordinamento di queste navi la R. Marina intendeva di approntare il necessario per lo sgombro e la cura dei feriti in combattimenti navali. Nella presente guerra però l’attività di esse dovette specialmente rivolgersi ai militari dell’esercito, i cui vari reparti sono frazionati in sei nuclei comunicanti solo per mare sulla lunga costa libica (Tobruk Derma, Bengasi, Homs, Tripoli, Forwa), ai quali si sono in questi ultimi tempi aggiunti altri nuclei nell’Egeo, dai piccolissimi delle isole minori al più considerevole presidio della storica Rodi.
 
Branda inglese fuori bordo
 
Nei primi mesi della guerra, quando nelle nuove sedi di Libia non si poteva contare su un vero e completo servizio d'ospedali fortunatamente brevissima, l'epidemia di colera, le due navi ospedale furano validamente aiutate del Menfi e dal Regina Margherita, piroscafi noleggiati dal governo ed armati da personale appartenente a benemerite associazioni.
 
Branda inglese sopra il boccaporto
 
Il Menfi, nave-ospedale della Croce Rossa italiana, è noto già a tutti gli italiani come quello sul quale ai sofferenti era conforto la sollecitudine di S. A. la Duchessa d’Aosta e delle dame, che vi rappresentavano l’amore e la pietà di tutte le donne d'Italia.
 
Il Regina Margherita fu armato dal Sovrano Ordine di Malta, i cui nobili cavalieri si mossero ricordando le lunghe lotte combattute col turco dai loro predecessori, che lasciarono le loro insegne gentilizie scolpite sui cadenti palazzi, sui bastioni ed al sommo delle porte turrite del fortissimo castello di Rodi.
 
Dell’ opera che le due navi-ospedale h anno compiuto durante il loro armamento sarà fatta, a suo tempo, la storia con esattezza statistica e scientifica; in essa verrà detto anche tutto quello che l’esperienza, insuperabile critica e maestra, ha trovato indispensabile modificare o aggiungere per il perfezionamento della nuova istituzione marinara, nè v’ha dubbio che tali ammaestramenti abbiano a cadere nel vuoto.
Basterà qui ricordare, come titolo d’onore per le due navi, le giornate dello sbarco e della presa di Bengasi (Re d’Italia) e del combattimento di Sciara Sciat (Regina d’Italia) e rendere noto che la prima di esse (a cui specialmente si riferisce la presente descrizione) ha finora percorso circa 20.000 miglia, contando press’a poco giornate di cura, dati non molto dissimili da quelli offerti dall’attività della nave gemella.
 
Sbarco feriti molo Catania
 
I nitidi riparti e la bianche cuccette dei due ospedali naviganti non saranno tanto presto dimenticati da coloro che vi furono, anche per breve tempo ricoverati, dopo mesi di vita passati sotto le tende con poca paglia senza potersi svestire, e che vi trovarono in abbondanza a loro conforto ciò che per necessità di cose altrove scarseggiava. Nè verrà loro meno nella memoria il ricordo delle persone che si muovevano attorno a quei lettini, sforzandosi di utilizzare tutto quello che nei grossi fianchi della nave era stato, in patria, raccolto e conservato a vantaggio di chi aveva alla gloria d’Italia offerto il proprio sangue. La speranza che questo memore sentimento sia sbocciato e perduri negli animi di tanti generosi fratelli, è, senza dubbio, per coloro che colla mente e col cuore cercarono di seminarlo, la più dolce ed ambita delle ricompense.

Samuele Angeloni
 
Feriti nave ospedale grande guerra
 
Fonte: Adolfo Cotronei, Le navi ospedale della nostra Marina. Estratto dal periodico 'La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera', Milano, 1912. © Museo Risorgimento Bologna - Certosa.
 
 
 
Navi ospedale italiane

Navi ospedale:
  • Washington (1854 - 1904)
  • Albaro (1890)
  • Brasile (1905)
  • Clodia (1905)
  • Menfi (1911)
  • Cordova (1906 - 1918)
  • Ferdinando Palasciano (1899 - 1923)
  • Italia (1905 - 1943)
  • Marechiaro (1911-1916)
  • Re d'Italia (1907 - 1929)
  • Regina d'Italia (1907 - 1928)
  • R 1 (1911)
  • Santa Lucia (1912)
  • Gargano
  • Aquileia (1914 - 1943)
  • Arno (1912 - 1942)
  • California (1920 - 1941)
  • Città di Trapani (1929 - 1942)
  • Gradisca (1913 - 1950)
  • Po (1911 - 1941)
  • Principessa Giovanna (1923 - 1953) 
  • Ramb IV (1937 - 1941)
  • Sicilia (1924 - 1943)
  • Tevere (1912 - 1941)
  • Toscana (1923-1961)
  • Virgilio (1928-1944)


Navi soccorso

Navi soccorso:

  • Capri (1930 - 1943)
  • Epomeo (1930 - 1943)
  • Laurana (1940 - 1944)
  • Meta (1930 - 1944)

Fonte: wikiwand


 
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 

La nascita dell’Associazione, dalla Compagnia di Pubblica Assistenza e dalla Croce Bianca alle “Società Riunite”

La Pubblica Assistenza Società Riunite di Pisa nasce il 30 settembre 1886. A seguito di un’epidemia di colera del 1884 in cui la Fratellanza Militare di Pisa, una mutuo soccorso tra i soci che dovevano aver militato o militare nell’esercito, aveva prestato soccorso ai cittadini colpiti, si iniziò a sentire l’esigenza di istituire un soggetto che agisse in caso di pubbliche calamità. Fu quindi fondata una Compagnia di Pubblica Assistenza che impiegò circa sei anni a diventare indipendente dalla Fratellanza Militare.

Pubblica Assistenza Pisa

Nel 1887 furono rilevate le attività e le attrezzature della Società di Soccorso degli Asfittici, nata nel 1878 ma che era di fatto chiusa. Questa società si occupava di salvamento in acque marine e fluviali, non rare anche nel fiume Arno. Con questa operazione la neonata Pubblica Assistenza aveva risorse a sufficienza per iniziare e rivendicare indipendenza dalla Fratellanza Militare.

Nel 1889 le attività dell’Associazione iniziarono a essere rilevanti al punto di far si che il Prefetto convocasse una riunione con la Misericordia di Pisa per accordarsi sulla suddivisione dei compiti.
Il 21 gennaio 1891 la Pubblica Assistenza raggiunse la totale autonomia dalla Fratellanza Militare portando a se anche uomini e risorse della Società Pisana per la Cremazione dei Cadaveri.
 
Nel 1894, per opera di alcuni fuoriusciti dalla Misericordia di Pisa, nasceva sempre a Pisa la Croce Bianca, con lo scopo di assistere gli infermi nelle loro abitazioni, raccogliere e trasferire feriti e malati presso gli ospedali, dare dei sussidi in caso di malattia ai soci bisognosi, rendere gli onori funebri ed effettuare il trasporto dei cadaveri. In pochi anni le attività di questa associazione cominciarono a essere vive e fiorenti al punto che nel 1897 furono svolti più di 7000 servizi e l’associazione aveva un ambulatorio aperto anche di notte. Abbiamo notizie anche della partecipazione di volontari della Croce Bianca anche al terremoto di Messina nel 1908 e nei comuni vesuviani.
 
Nel 1908 venne discusso e approvato un nuovo Statuto che dava possibilità alla Pubblica Assistenza di aprire succursali sul territorio. Furono normate le figure sociali, regolamentata la presenza di personale dipendente e furono introdotte le figure dei Capisquadra e oltre ai due medici che prestavano servizio fu affiancato anche un odontoiatra. Fu anche normata la funzione di Onoranze Funebri, con grande risalto alle cerimonie laiche alle quali tutti i soci erano invitati a partecipare, con segni di lutto e rispetto codificati, mentre erano più sobrie le partecipazioni ai riti religiosi.
 
Nel 1909 la Compagnia di Pubblica Assistenza e la Croce Bianca decisero di fondersi creando la “Pubblica Assistenza Società Riunite”. Questa scelta portò a far si che la nascente realtà cominciasse ad avere un ruolo egemone nel panorama dell’associazionismo mutualistico e sanitario pisano.

Nel 1914 inizia la Prima Guerra Mondiale. Le Pubbliche Assistenze parteciparono in prima linea al conflitto dando un forte aiuto per il soccorso dei feriti e dei rifugiati assieme alla Croce Rossa. Nella nostra Associazione sono 38 i caduti per cause legate alla guerra. Non è chiaro se morirono negli scontri o per le epidemie, ma i loro nomi sono riportati su una lapide esposta nell’attuale sede.

Il fascismo e la rinascita dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1933, il regime fascista sciolse la Pubblica Assistenza di Pisa, facendo passare tutti i possedimenti alla Croce Rossa mentre i volontari smisero le loro attività. Solo dopo la guerra, nel 1945 l’Associazione riprese corpo, creando nuovamente un consiglio e grazie alla donazione di una Lancia su cui realizzare un’ambulanza e di un fuoristrada americano Dodge ripresero le attività.

Uno dei problemi da risolvere fu la mancanza di una sede sociale, che fu riaperta in dei locali usati dai fascisti, in via San Martino 1 a Pisa. L’originaria sede dell’Associazione, nell’attuale Piazza Chiara Gambacorti (o Piazza alla Pera) fu infatti demolita. Non meno importante fu la mancanza di attrezzature, per le quali furono mossi numerosi passi per cercare finanziamenti sia da privati che dalle grandi fabbriche che rinascevano nel dopoguerra.

Riprese anche il presidio del territorio, riaprendo sedi distaccate nei quartieri di San Marco e Barbaricina ma anche nei comuni vicini. A Vecchiano, nella frazione di Migliarino la sede aprì nel 1947, nel comune di San Giuliano Terme riaprirono le sedi sia nel capoluogo, sia nella frazione di Asciano.
 
Piano piano ripresero tutte le attività, sia di soccorso sia per le onoranze funebri e non mancarono casi in cui fu prestato soccorso per calamità come nel 1950 a Pisa, in zona Piagge, sia i primi aiuti portati fuori regione per l’Alluvione del Polesine nel 1951.

 

Fonte: P.A.Pisa

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Durante i primi assalti dell'esercito italiano durante la Grande Guerra, uno degli ostacoli più temibili era rappresentato dalla Trincea delle Frasche.
 
Questo formidabile sbarramento, scavato dall'esercito asburgico nei primi mesi di conflitto, resistette tenacemente fino alla fine del 1915. Il suo nome evoca l'ingegno militare degli uomini ungheresi, che, con astuzia, camuffarono la trincea utilizzando rami per renderla meno visibile agli occhi dei nemici, compresi gli osservatori terrestri e aerei.
 
Questo ingegnoso stratagemma rappresentava una sfida significativa per le truppe italiane, che affrontavano una resistenza feroce e ingegnosa lungo il fronte. La Trincea delle Frasche rimane così un simbolo della determinazione e dell'ingegno delle forze nemiche durante uno dei conflitti più cruenti della storia mondiale.
 
Roberto Marchetti

 

carso 1
Foto: luogo dove morì, il 23 ottobre 1915, Filippo Corridoni, leader del sindacalismo rivoluzionario e amico personale di Benito Mussolini.

Fonte: turismofvg.it

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti  

 

 

 

 

 

 

Terremoto San sepolcro
Foto: arteventinews

 

Il terremoto di Sansepolcro del 13 giugno 1948 ha lasciato un'impronta indelebile nella memoria della comunità dell'Alta Valle del Tevere. Con epicentro proprio nella zona di Sansepolcro, questo sisma ha scosso le fondamenta della tranquillità locale, lasciando dietro di sé un sentiero di distruzione e disperazione.

Con un'intensità massima valutata a IX grado della scala Mercalli e una magnitudo di 4.9 sulla scala Richter, il terremoto ha causato il crollo di quindici abitazioni, lasciando 2.500 persone senza tetto. Una tragica perdita umana ha colpito la comunità, con la morte di una donna causata dal crollo di parte della volta della chiesa di San Francesco.

Le scosse di assestamento, avvenute alle ore 13:50 e 14:20, hanno ulteriormente aggravato la situazione, mentre i danni materiali sono stati stimati intorno a un miliardo di lire. In risposta a questa catastrofe, la solidarietà è emersa come un faro di speranza: il governo ha inviato tende e medicinali, mentre il Papa stesso ha offerto il suo sostegno con provviste di pasta, riso e zucchero.

L'arrivo del Presidente del Consiglio dei ministri, Alcide de Gasperi, e del Ministro del Lavoro Amintore Fanfani, nativo della zona, ha rappresentato un momento di conforto e supporto per una comunità che stava affrontando una delle prove più difficili della sua storia recente.

Gli accampamenti allestiti fuori Porta del Ponte, in viale Diaz, viale Vittorio Veneto e nei pressi di Porta del Castello, hanno testimoniato la resilienza e la solidarietà di fronte alla tragedia. Pur tra le macerie, la forza e la determinazione della comunità di Sansepolcro hanno illuminato un cammino verso la ricostruzione e la rinascita.

Roberto Marchetti

Fonte: wikipedia


Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Il Battaglione Veliti faceva parte dele truppe granducali

Veliti
Fonte: Carabinieri.it

 

Il Battaglione Veliti era un'unità militare che faceva parte delle truppe granducali del Granducato di Toscana, che esisteva dal 1569 al 1859. Queste truppe facevano parte dell'esercito del Granducato e svolgevano diverse funzioni, tra cui la difesa del territorio e l'assistenza nelle operazioni militari. Il termine "Veliti" era spesso utilizzato per riferirsi a truppe leggere o fanteria leggera.

Il reclutamento prevedeva requisiti molto particolari: condotta morale ineccepibile, età compresa tra i 18 e i 25 anni, altezza minima di 1,65 m. e appartenenza ad una famiglia benestante che potesse versare una quota annua piuttosto cospicua.

Il 22 novembre 1848 Leopoldo II emanò un decreto che, dopo le considerazioni generali di rito, dispose nei primi due articoli:
"Art. 1 - Il Corpo dei Carabinieri, la cui denominazione è falsa quando il soldato non è armato di carabina, è nello stesso tempo sciolto e ricomposto col nome di reggimento Veliti.
Art. 2 - Gli Uffiziali e soldati del novello corpo dovranno essere fra quelli che godono e serbano probità specchiata e non comune valore nell'esercito".

Dopo aver dettato negli articoli seguenti le norme relative alle caratteristiche ed all'ordinamento dei Veliti, il decreto stabilì: "Gli Uffiziali e soldati del Reggimento Veliti godranno gli stessi stipendi e soldi che godeva il Corpo dei Carabinieri".

Il 5 maggio 1859 a Livorno, veniva costituito il Reggimento Granatieri del Governo provvisorio Toscano su due battaglioni, uno dei quali è il battaglione "Veliti".

Con l'applicazione della legge 11 marzo 1926 sull'ordinamento dell'esercito, assume la denominazione di 35° Reggimento Fanteria "Pistoia" ed a seguito della formazione delle brigate su tre reggimenti viene assegnato alla XVI Brigata di Fanteria assieme al 36° "Pistoia" ed al 66° "Valtellina"; rimane articolato in due battaglioni. 

 

Fonte: carabinieri.it, storiaememoriadibologna.it, regioesercito.it
Ricerca storica Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Un Viaggio Indimenticabile lungo la Via dei Molini a Molina di Quosa: Tra Storia, Natura e Bellezza Toscana

Molina di Quosa, un incantevole borgo toscano, offre ai visitatori un'esperienza unica attraverso la sua suggestiva Via dei Molini. Immerso nella bellezza naturale e nella storia millenaria, questo percorso offre uno sguardo affascinante sulla tradizione e la tranquillità della campagna toscana.

La Via dei Molini, un sentiero tortuoso che si snoda tra antiche casette e mulini storici, si estende per circa due chilometri, regalando un viaggio suggestivo attraverso i secoli di storia e cultura locali.

Dopo aver completato questa affascinante prima parte del percorso, il viaggio prosegue lungo una strada più moderna, ma non meno affascinante. Attraverso la borgata Ciapino, i viaggiatori possono ammirare una vigna incantevole a sinistra e una pittoresca chiesetta circondata da alberi secolari a destra.

La strada continua a rivelare panorami mozzafiato, soprattutto in giornate limpide dove l'isola di Gorgona fa da sfondo netto, creando uno spettacolo divino tra cielo e terra.

Ma il viaggio non è solo un'esperienza visiva; è anche un'occasione per riflettere sulla storia e la memoria. La fermata presso il monumento ai caduti a "La Romagna" aggiunge profondità al percorso, invitando i visitatori a onorare coloro che hanno sacrificato per il bene comune.

Attraversando l'ultima parte di bosco, i viaggiatori sono avvolti da un'atmosfera di serenità e tranquillità, che completa l'esperienza unica della Via dei Molini a Molina di Quosa.

Questa strada non è solo un itinerario turistico, ma un viaggio attraverso il tempo e la cultura di un borgo toscano affascinante. Con i suoi mulini antichi, le chiese secolari e la maestosità della campagna circostante, la Via dei Molini offre un'esperienza indimenticabile per chi cerca una fuga dalla frenesia della vita moderna.

Roberto Marchetti

 

 

 

Ricerca storica: Roberto Marchetti 

 

 

 

 

Pugnano: Tesoro Storico nel Cuore della Toscana

Immerso nella bellezza della valle del fiume Serchio, nel cuore della Toscana, si trova il pittoresco borgo di Pugnano, una frazione incantevole del comune di San Giuliano Terme, provincia di Pisa. Questo gioiello nascosto, situato sulla riva sinistra del fiume, ha una storia ricca e affascinante che risale all'alto medioevo.

Le sue origini risalgono a quel periodo cruciale dell'XI secolo, come testimoniato da un documento del 951 proveniente dal monastero di San Michele in Borgo, dove il villaggio è menzionato con il nome di Apuniano. Tuttavia, è tra il IX e il XIV secolo che Pugnano ha raggiunto il culmine della sua importanza storica, diventando il fulcro di un piviere, un'unità ecclesiastica territoriale, che controllava un vasto territorio comprendente ben quindici chiese parrocchiali e numerosi villaggi minori. Questo periodo ha segnato profondamente l'identità e l'importanza della frazione di Pugnano nella regione.

L'incantevole borgo è circondato da paesaggi mozzafiato: a est, le maestose alture del Monte Pisano dominano il panorama, mentre a ovest il tracciato della ferrovia e il canale Demaniale delimitano il suo confine, seguendo l'ansa del fiume Serchio. Un elemento naturale di rilievo è il fosso Civitonia, che discende dal Monte Tondo (423 m s.l.m.) e si unisce al canale Demaniale, arricchendo la bellezza paesaggistica della zona.

Pugnano è un luogo che incanta non solo per la sua bellezza naturale, ma anche per il suo patrimonio storico e architettonico. Le strade lastricate e le antiche case di pietra narrano storie di tempi passati, mentre le numerose chiese disseminate nel territorio testimoniano la profonda devozione e l'importanza religiosa che questo borgo ha sempre avuto.

Confina a nord con Ripafratta, a sud con Molina di Quosa, e ad ovest con Colognole, mantenendo saldi legami con le comunità circostanti e arricchendo la tessitura sociale e culturale della regione.

Oggi, Pugnano continua a essere un gioiello storico, un'oasi di tranquillità che conserva gelosamente il suo patrimonio e le sue tradizioni. Visitare questo antico borgo significa immergersi in un viaggio nel tempo, tra le testimonianze di un passato glorioso e la bellezza intatta della natura toscana.

In sintesi, Pugnano è molto più di un semplice borgo; è un tesoro storico che riflette l'essenza stessa della Toscana, con la sua storia millenaria, la sua bellezza mozzafiato e la sua autenticità senza tempo.

Roberto Marchetti

La Certosa di Pisa a Calci è un vasto complesso monumentale che sorge alle pendici del Monte Pisano, a pochi chilometri dalla città di Pisa. Fondato nel 1366 da una famiglia di certosini, il complesso è stato ampliato tra il XVII e il XVIII secolo e si presenta oggi come uno splendido monumento barocco inserito in un contesto paesaggistico fortemente suggestivo. Originariamente detta “buia”, la valle di Calci fu rinominata Val Graziosa (piena di grazia) proprio in seguito alla fondazione del complesso monastico. Nel 1972 la Certosa, abbandonata dai pochi monaci rimasti, divenne Museo Nazionale, mentre nel 1979 la parte occidentale del complesso fu concessa in uso perpetuo e gratuito all’Università di Pisa, che vi fondò il Museo di Storia Naturale, da allora ampliato, arricchito e rinnovato.

Oggi la Certosa ospita quindi due distinti musei: il Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci e il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa. Le due istituzioni museali sono nate in tempi diversi, appartengono a enti pubblici distinti, sono collocate in parti differenti del complesso e hanno due diversi profili tematici e didattici. Tuttavia le loro vicende e collezioni, apparentemente così diverse, si intrecciano indissolubilmente all’affascinante storia del grande edificio che le custodisce.

 

Certosa di Pisa

Foto: Roberto Marchetti
 

Fonte: msn.unipi

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Sottocategorie