Croce Rossa Italiana - Comitato di Pisa
 
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La duchessa crocerossina

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Nel 1908 viene inaugurata a Roma la scuola per infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana e l’anno dopo fra le allieve in divisa bianca c’è anche una signora sottile ed elegante. La nuova aspirante crocerossina si chiama Hélène d’Orléans ed oltre ad essere altissima, affascinante ed energica è anche la moglie di Emanuele Filiberto di Savoia duca Aosta, cugino di re Vittorio Emanuele III. La prestigiosa adesione viene salutata con la massima soddisfazione dai vertici italiani della Cri, poiché la principessa è, come si direbbe oggi, una persona molto dinamica e la cosa in giro si sa. Ispettrice Generale delle Infermiere Volontarie dal 1911, la duchessa crocerossina partecipa alla sua prima missione sulla nave ospedale Menfi che rimpatria i soldati feriti o malati dalla Libia. Nel 1915, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Hélène inizia a visitare ospedali grandi e piccoli lungo tutta la linea del fronte, quello che vede spesso non le piace, ma lei non è certo il tipo da stare zitta e far finta di nulla. “Grazie al suo spirito organizzativo – racconta il nipote, il principe Amedeo attuale duca di Aosta – e insieme a validissime collaboratrici, riuscì ad organizzare il Corpo delle Infermiere Volontarie e a gestire una logistica non facile, con le crocerossine sempre a fianco dell’esercito, che svolgevano la loro missione fin nei luoghi più avanzati del fronte. Grazie al suo forte carattere riuscì ad imporre le sue infermiere in seno ad un ambiente sanitario e militare che fino ad allora tendeva a considerare le donne solo alla stregua di buone samaritane e non certo professioniste preparate e motivate quali erano; bastò poco comunque perché le Sorelle si facessero conoscere ed apprezzare per il loro prezioso lavoro”. La duchessa di Aosta durante tutti gli anni della guerra si impegna in prima persona e, come testimoniano i suoi superiori, dà prova di coraggio, resistenza alla fatica ed ai disagi, e grande efficienza. Ma è anche pronta a protestare quando si trova di fronte a situazioni insostenibili dal punto di vista medico e sanitario. Energica, piena di iniziativa e di una severità che la fa giudicare intransigente (ma ci voleva specie nei primi tempi della guerra) Hélène non si lascia intimidire dalle greche del generali a cui rivolge le sue richieste di provvedimenti. La duchessa crocerossina non ha paura, né dei bombardamenti, spesso resta in prima linea accanto ai soldati, né dei vertici dell’esercito e per tutti gli anni del conflitto combatte una sua personale lotta contro l’inefficienza e le disposizioni assurde. Il diario che tiene in quel periodo è ricco di annotazioni sui feriti trasportati in carri bestiame nei quali le condizioni igieniche sono disastrose, sugli ospedali disorganizzati e sporchi, ma anche sulle strutture dove l’assistenza funziona come si deve. Donna di gran cuore la duchessa crocerossina è spesso vicina ai malati e ai feriti in un modo non certo convenzionale per una signora dell’alta società per di più reale; a Venezia ad esempio non esita ad assistere fino all’ultimo minuto, tenendolo stretto fra le sue braccia, un giovane fante moribondo che nel delirio l’ha scambiata per la madre. “Dai numerosi diari, lettere ed altri scritti di infermiere volontarie – osserva il nipote – si evincono soprattutto le doti di profonda umanità, compassione e bontà (non disgiunta mai da fermezza) della loro ispettrice generale. Sempre preoccupata anche del benessere fisico e psicologico delle sue ‘figliole’ come spesso chiama le sue infermiere o col termine stesso di “sorelle di carità” da lei usato in una commemorazione e che sostituirà definitivamente quello di ‘dame’ utilizzato fino ad allora”.

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Hélène in abito da sposa

Italiana per matrimonio e francese per origini, Hélène è inglese di nascita, ma assolutamente europea per conoscenze, frequentazioni, cultura, studi e abitudini. La principessa, nata a Twickenham nei pressi di Londra il 13 giugno 1871, è infatti una delle figlie di Luigi Filippo “conte di Parigi”, condannato all’esilio in quanto pretendente al trono di Francia. La futura duchessa d’Aosta, che ha una sorella regina del Portogallo e per via materna discende dai Borboni di Spagna, cresce fra Villamanrique, una grande finca vicino a Siviglia, e la Gran Bretagna dove frequenta la corte inglese e ha come compagni di giochi i figli del principe di Galles, futuro re Edoardo VII. Le relazioni sono così strette che una storia d’amore fra i rampolli reali è quasi inevitabile: il duca di Clarence primogenito dell’erede al trono, non resiste al fascino di Hélène, le fa una corte assidua, si comincia a parlare di nozze, ma il padre della principessa, nonostante il prestigio di una tale unione, pone un veto deciso ed irremovibile. Hélène non può abiurare al cattolicesimo, conditio sine qua non per salire sul trono d’Inghilterra, e lo stesso papa Leone XIII fa sapere che una scomunica seguirebbe a ruota ad una eventuale conversione della principessa francese alla chiesa anglicana. Così il matrimonio inglese sfuma. Lui ci rimane molto male, però si fidanza prontamente con un’altra perché la dinastia ha bisogno di eredi, ma una polmonite lo stronca poco prima delle nozze e la promessa sposa passa velocemente al fratello. Saranno re Giorgio V e la regina Mary. Come volergliene alla povera Mary per questo frettoloso rimpiazzo, sapendo che il defunto fidanzato nell’agonia aveva invocato solo la perduta Hélène?

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Emanuele Filiberto duca d’Aosta

Sempre per questioni di fede e di abiure non contemplate va a monte anche un altro progetto matrimoniale, quello con lo zarevic Nicola, figlio dello zar Alessandro III, così Hélène a 23 anni è ancora insolitamente (per la sua epoca e per il suo ceto sociale) nubile. Ci vuole un lutto per cambiare drasticamente la situazione. Al funerale del padre nel 1894, Hélène solleva per un attimo il fitto velo nero ed incontra lo sguardo di Emanuele Filiberto duca d’Aosta, inviato dallo zio re d’Italia a rappresentare i Savoia. Un’occhiata rapidissima, ma più che sufficiente. L’unione, per quanto dinasticamente perfetta, però non è vista di buon occhio in Italia e lo sposo fatica a portare all’altare la sua principessa francese la quale oltre ad un albero genealogico impeccabile pare abbia anche una buona dote (e forse persino qualche lascito dal prozio duca di Aumale), il che non dispiace allo squattrinato duca d’Aosta. I motivi delle perplessità sabaude sono politici (con la Francia i rapporti non sono cordiali) e di opportunità visto che il principe ereditario Vittorio Emanuele è ancora scapolo. Il duca di Aosta la spunta ed il 25 giugno 1895 sposa finalmente Hélène, ma l’accoglienza in Italia è freddina, la principessa cosmopolita, padrona di quattro lingue, colta, a suo agio nell’alta società internazionale, viene guardata quasi con timore da una corte recente e tutto sommato ancora abbastanza provinciale. Il commento apparentemente benevolo della regina Margherita ha un retrogusto al veleno: “per educazione e per fisico è una vera inglese, la dicono buona, intelligente e colta, diventerà una bella donna”. La prima sovrana d’Italia non solo odia cordialmente tutto quanto connesso con la Francia, ma soprattutto ha un figlio che non è un adone (al contrario di tutti i Savoia Aosta) e che non riesce ad accasare. Con il resto della famiglia non va meglio, il principe ereditario è per carattere scontroso e diffidente, la matrigna del marito Letizia Bonaparte, contrarissima alle nozze, mantiene la sua posizione ad oltranza, i cognati uno dedito ai cavalli, l’altro alle esplorazioni (è il famoso duca degli Abruzzi) sono praticamente invisibili, solo il re è cordiale. Così Hélène si butta sulla beneficenza e nel frattempo mette al mondo due figli Amedeo e Aimone che educa secondo il severo modello britannico. Il matrimonio ad ogni modo funziona molto bene e una reale complicità nasce fra i due sposi che non prendono mai decisioni senza il consiglio l’uno dell’altro. Negli anni ci saranno cedimenti e da una parte e dall’altra, ma la coppia resterà sempre unita e solidale. Hélène ha le “physique du role” e lo stile della vera principessa, è brillante, elegante, raffinata, originale e quindi diventa presto molto popolare fra tutte le classi sociali della nuova nazione. Compiaciuta per il rispetto che le dimostrano gli italiani la duchessa di Aosta sposa gli interessi e le cause del suo nuovo paese e la “figlia di Francia” diventa rapidamente più italiana degli italiani.

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Hélène con il marito, i due figli e la madre l’infanta Isabella (figlia a sua volta di Luisa Fernanda sorella della regina Isabella II di Spagna) vedova del conte di Parigi, pretendente Orléans al trono di Francia

La principessa però non gode di buona salute, è spesso febbricitante ed una tosse stizzosa la lascia sovente senza forze, i medici diagnosticano una tubercolosi e, come si usava all’epoca, le consigliano un lungo soggiorno nei climi caldi. La duchessa parte nel 1907, arriva in Egitto e poi si spinge fino all’Oceano Indiano. Torna in Italia giusto in tempo per accorrere a Messina dove presta assistenza alle popolazioni colpite dal disastroso terremoto, il che non giova alla sua salute, così nel 1908 riprende i suoi viaggi, ma questa volta si dirige verso sud, Sudafrica, Rodhesia, poi l’anno dopo Kenya e Somalia. I paesi lontani e sconosciuti l’attraggono in modo irresistibile, nel 1913 arriva fino in Asia, visita l’India, Ceylon, l’Indocina, il Borneo, Sumatra, l’Australia, la Nuova Zelanda, torna attraverso gli Stati Uniti, il Canada e la Spagna. La malattia ormai è solo un ricordo e durante questi lunghi peripli prende appunti che diventeranno dei libri: “Viaggi in Africa”, “Verso il sole che si leva”, “Vita errante”, “Attraverso il Sahara”. Nel frattempo è diventata crocerossina, è stata nominata Ispettrice Generale (lo resterà fino al 1921), ha fondato l’Opera Nazionale di Assistenza all’Italia Redenta e D’Annunzio l’ha celebrata con versi non particolarmente belli, ma molto esaltati. Hélène per il Vate è la personificazione della amatissima Francia unita alla regalità italiana; per la duchessa la “La canzone di Elena di Francia” la sesta delle “Canzoni d’Oltremare” è invece la consacrazione ad eroina sabauda.

Foto5bisE quegli ch’ebbe stritolato il mento/dalla mitraglia e rotta la ganascia,/e su la branda sta sanguinolento/e taciturno, e i neri grumi biascia,/anch’egli ha l’indicibile sorriso/all’orlo della benda che lo fascia,/quando un pio viso di sorella, un viso/d’oro si china verso la sua guancia,/un viso d’oro come il Fiordaliso./Sii benedetta, o Elena di Francia,/nel mar nostro che vide San Luigi/armato della croce e della lancia”. Hélène ammira D’Annunzio per l’eroismo, ma è infastidita da certi aspetti del suo carattere e della sua personalità di uomo libertino e miscredente. Infatti la principessa anticonformista, amica di intellettuali e massoni, è profondamente religiosa e vive il suo rapporto con il cattolicesimo in una maniera intensa e priva di ostentazione.

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Nel 1905 i duchi di Aosta si trasferiscono a Napoli e nel palazzo di Capodimonte Hélène tiene una corte splendida e il suo prestigio diventa quasi quello di una regina. Stimata dalla Chiesa per la sua devozione e la sua carità ossequiata dalle autorità, popolare fra la gente, la duchessa visita i bassi di Napoli e fra la miseria più nera si muove con naturalezza; persino Matilde Serao, la potentissima giornalista de “Il Mattino” le dimostra una certa simpatia.

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Allo scoppio della I Guerra Mondiale la principessa, interventista fin da subito, è al fronte con il marito, comandante della III Armata, ed i figli di 17 e 15 anni. Ottiene una medaglia d’argento al valor militare due croci al Merito di Guerra, due onorificenze francesi, una inglese, e la medaglia Florence Nightingale, ma il drammatico conflitto lascia su di lei una impronta indelebile, scrive: “niente potrà cancellare la visione mostruosa della guerra”. Nel 1919 riprende a viaggiare, ma rientra per manifestare la sua adesione all’impresa dannunziana di Fiume, recandosi nella città contestata accolta dal poeta, ed attirandosi così i fulmini del Governo. Nitti la definisce una “lady Macbeth” che, “nella più pura tradizione di tradimento degli Orléans, sta lavorando per spodestare il ramo principale della casata a favore del marito e dei figli”.

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Una celebre foto, da sinistra il duca d’Aosta, Hélène, e i figli Aimone e Amedeo, tutti e due altissimi e molto belli

Con Mussolini la duchessa ha rapporti amichevoli tanto che il libro sulla sua esperienza al fronte, pubblicato nel 1930 “Accanto agli Eroi. Diario di guerra” ha la prefazione del Duce. Il capo del Governo è sempre deferente verso di lei, accontenta le sue richieste, tollera le asprezze del suo carattere in sostanza se ne fa un’alleata, ma pare che ad un certo punto Mussolini si sia irritato per la mania della duchessa di farsi ritrarre nei suoi sempre molto frequenti viaggi in Africa assieme alle popolazioni locali.

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Il duca e la duchessa d’Aosta escono da una udienza al Vaticano, il figlio Aimone racconterà che la madre si era messa a discutere con il Papa al quale aveva chiesto di intervenire per risolvere un problema legato ad un istituto benefico.

Emanuele Filiberto muore all’improvviso nel 1931, ma lei resta a Capodimonte (dove si installa anche il secondo marito il colonnello Otto Campini, sposato nel 1936) e nonostante l’età e la malattia ai polmoni conserva una stupefacente energia fisica e nervosa. In quel periodo un affetto particolare la lega alla principessa di Piemonte, Maria José del Belgio come lei intelligente, anticonformista, priva di pregiudizi, di mentalità aperta al limite della stravaganza. Sono anche gli anni in cui i figli si sposano, Amedeo con Anna d’Orléans, cugina per parte di madre e per parte di padre, Aimone che all’epoca era considerato uno degli uomini più affascinanti d’Italia, con Irene di Grecia.

Nel palazzo di Capodimonte la duchessa rimane durante tutto il secondo conflitto mondiale e nei giorni dell’occupazione nazista è il suo coraggio a salvare una situazione disperata. “Un giorno un soldato tedesco viene colpito da una fucilata tirata da una finestra del palazzo – racconta il nipote Amedeo – poco dopo si presenta un colonnello delle SS insieme ai suoi uomini armati di mitragliatrici e dopo aver fatto allineare contro un muro tutti i domestici chiede di denunciare il colpevole. Mia nonna scende dai suoi appartamenti e dice al colonnello: ‘signore, in questo palazzo niente si fa senza che io lo sappia. Dunque sono l’unica responsabile. Se lei ha qualcosa da dire o da fare è a me che si deve rivolgere’. L’ufficiale impressionato sparisce con i suoi soldati. A Napoli ancora se ne parla”.

Sono anni di grandi dolori, la morte dei figli lontani (Amedeo, prigioniero degli inglesi nel 1942, Aimone a Buenos Aires nel 1948), la fuga del re, il referendum che cancella la monarchia, ma Hélène resiste e va avanti. Dopo il 2 giugno 1946 si ritira in un albergo a Castellammare di Stabia e quando Umberto impone a tutta la famiglia di lasciare il paese la duchessa non si muove. “Sire – fa sapere al re – sono diventata italiana e resto in Italia”. L’ultimo gesto di amore nei confronti di quella che è ormai la sua patria è il dono, nel 1947, alla Biblioteca Nazionale di Napoli del Fondo Aosta, costituito dalla Raccolta libraria (oltre 11.000 volumi ed opuscoli), ed anche dalla straordinaria Raccolta africana e da una notevole Raccolta fotografica. Hélène d’Oléans duchessa di Aosta muore a Castellammare di Stabia il 21 gennaio 1951.

Fonte: altezzareale.com
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

foto collezione Silvio Fioravanti

(foto collezione Silvio Fioravanti)

Il terremoto della Garfagnana e Lunigiana fu un disastroso evento sismico avvenuto il 7 settembre 1920, che colpì le due regioni storiche della Toscana, tra le provincie di Lucca e Massa Carrara causando, secondo le stime dell'epoca, 171 morti e 650 feriti.
È stato uno degli eventi sismici più distruttivi registrati nella regione appenninica nel ventesimo secolo: fu il più forte mai registrato in Toscana in tempi storici, nonché quello con il più alto numero di vittime del novecento, superando quello avvenuto l'anno precedente in Mugello. Grazie alla buona copertura di notizie, alla disponibilità dei documenti ufficiali sui danni e all'abbondanza di registrazioni da stazioni di sorveglianza in tutta l'Europa, è stato considerato come un caso di studio di prim'ordine per migliorare la conoscenza della tettonica e dell'analisi macrosismica.

La zona dell'epicentro è situata tra l'Appennino tosco-emiliano e le Alpi Apuane, sopra un'area di subduzione tra la placca adriatica e tirrenica; la regione, attraversata da diversi sistemi di faglie attive, presenta variazioni notevoli nella composizione del terreno. La zona è stata interessata da fenomeni di tettonica estensionale dal tardo Miocene al Pliocene. Questa estensione è il risultato dello stesso processo che ha aperto il mar Tirreno durante lo stesso periodo. L'estensione continua ha portato ad una serie di faglie orientate prevalentemente in senso nordovest-sudest, che delimitano bacini riempiti da sedimenti più recenti.

L'evento del 7 settembre fu preceduto durante il giorno precedente da scosse di minore intensità: alle 16:25 da una scossa del sesto grado Mercalli, alle 22:30 da un'altra del quarto grado Mercalli. Il sisma del 7 settembre, alle ore 7:56, interessò un’area di circa 160 km² nella Toscana settentrionale, ai confini con la Liguria: all’epicentro l'intensità registrata fu del IX-X grado della scala MCS (Mercalli Cancani Sieberg). La scossa provocò gravi danni in numerosi centri abitati delle province di Lucca e Massa, radendo al suolo completamente i paesi di Vigneta (frazione di Casola in Lunigiana) e Villa Collemandina (LU), quest'ultima località epicentro del sisma.

Anche Fivizzano, il centro abitato più popolato fra quelli colpiti, fu praticamente raso al suolo: non rimase più alcuna casa abitabile e quelle pochissime che restarono in piedi, riportarono lesioni talmente profonde che alle successive scosse di assestamento rovinarono al suolo definitivamente. Tutta la popolazione rimase all’addiaccio, accampata in tende di fortuna. Sempre in Lunigiana si registrarono danni anche nei paesi di Sassalbo, Vignetta, Regnano, Luscignano, Montecurto, Comano e Ceserano, Villafranca, Merizzo, Fornoli, vittime anche a Virgoletta e a Filattiera.

A Pontremoli la scossa fece crollare il tetto della Chiesa della Misericordia e i detriti caddero sull'antico organo a canne, danneggiandolo.

Il sisma fu avvertito anche in provincia di Bologna dove provocò panico nella popolazione e lievissimi danni vennero segnalati nel circondario di Vergato. In provincia di Pisa, il comune più colpito fu Calcinaia con un morto e quattro feriti e danni, oltre che ad alcune abitazioni, alla chiesa e al municipio. Nella provincia di Modena ci furono tre vittime e alcuni feriti; alcune case crollate e moltissime danneggiate vennero segnalate soprattutto nei comuni di Frassinoro e Pievepelago. Gli effetti del terremoto interessarono anche il territorio della confinante Liguria. In provincia di Genova, nei circondari della Spezia e Chiavari, la popolazione venne presa dal panico e vennero segnalate alcune case lesionate alla Spezia e a Sarzana.

Fu avvertito distintamente sino nelle province di Siena e Livorno, ma senza danni a persone e cose.

La scossa avvenne in un momento della giornata nel quale gli abitanti della zona, in maggioranza contadini, erano impegnati nel lavoro dei campi, mentre nelle case erano rimasti soprattutto donne e bambini, che furono le principali vittime. La disastrosità del sisma fu amplificata dalla tecniche di costruzione degli edifici diffuse in quei paesi: le case, infatti, erano per la gran parte costruite con materiali particolarmente scadenti come grossi ciottoli di fiume arrotondati utilizzati come pietra da costruzione al posto dei mattoni, tenuti insieme da malte di infima qualità.

I soccorsi furono segnati da ritardi e difficoltà di organizzazione, in parte spiegabili con l’interruzione delle comunicazioni telegrafiche; fu impossibile, infatti, avere notizie certe, in particolare dai piccoli centri dell’entroterra montuoso della regione colpita dal terremoto.

L'entità dei danni non fu immediatamente chiara alle autorità: i primi telegrammi, inviati la mattina del 7 settembre dai Prefetti dell’area colpita alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, sottolineavano la violenza della scossa ma ancora non disegnavano con precisione la gravità del danno. Solo nella tarda mattinata da Massa, la provincia più colpita, il Prefetto comunicava i primi preoccupanti dati sulle conseguenze della scossa sismica. Mentre le notizie che giungevano da Lucca, riferite al capoluogo, inizialmente segnalavano solo lievi e rare lesioni. Nel primo pomeriggio del 7 settembre – come si evince dal telegramma del Prefetto Bodo inviato da Castelnuovo Garfagnana alle ore 15.50 – anche in questa provincia lo scenario assunse contorni più precisi: "disastro sempre maggiore. Comuni con case crollate inabitabili, richiesta soccorsi urgenti".

I cronisti del quotidiano “La Nazione” furono tra i primi a recarsi sui luoghi colpiti e a descrivere la gravità delle conseguenze della scossa:

«A mano a mano che ci inoltriamo nella regione colpita, tutto conferma, purtroppo, la fondatezza delle prime notizie. I paesi che sono successivamente attraversati dalla nostra macchina, mostrano sempre più gravi gli effetti della formidabile scossa, che ha scrollato tutto il sistema montuoso che corona le valli del Serchio e dei suoi affluenti. E’ una triste teoria di rovine che mette sgomento nell’animo; un seguirsi di scene di dolore e di disperazione che ci procura una pena infinita per l’impossibilità di portare un soccorso e un aiuto, che possa lenire in parte il danno irreparabile dell’immensa rovina»

Dopo una prima sottovalutazione delle conseguenze dell’evento, quando il quadro cominciò a delinearsi nella sua effettiva gravità, il Ministero dell’Interno attraverso i Prefetti mise in moto la macchina dei soccorsi. Le forze armate svolsero, come era consuetudine, un ruolo chiave per fronteggiare l’emergenza, costituendo l’unica struttura organizzata in grado di intervenire per il primo soccorso e l’assistenza nei luoghi colpiti. Dalla vicina Liguria e dalla Spezia in particolare, furono organizzate le prime squadre di soccorso e inviati marinai della nave Cavour dal comandante della Piazza marittima, adibiti allo sgombero delle macerie, al disseppellimento dei cadaveri, al salvataggio di eventuali superstiti. Per le operazioni di primo soccorso intervennero a Fivizzano e negli altri centri colpiti, oltre ai marinai della nave Cavour, volontari da Spezia, da Massa, da Carrara, squadre della pubblica assistenza e un migliaio di soldati di fanteria, zappatori e del genio da Firenze, Piacenza, Bologna, Reggio Emilia, e la squadra di Vigili del Fuoco inviata dal Comune di Rimini, che operarono, alternandosi, fino al primo dicembre 1920.

Già la sera del 7 settembre dalla Spezia fu organizzato un treno speciale con materiali per il ricovero dei superstiti e l’8 settembre, con altri due treni, furono inviati attendamenti, viveri, medici e medicinali, materiali e attrezzi per lo sgombero delle macerie, ingegneri per la valutazione dei danni e degli interventi di ripristino. La stazione di Aulla divenne il punto di raccolta e smistamento dei materiali.

Fonte: wikipedia
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

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La sequenza iniziò nelle prime ore del 29 giugno con alcune piccole scosse avvertite nella notte; attorno alle 10:15 della mattina (ora locale) ci fu una forte scossa che causò alcuni danni a Borgo San Lorenzo (FI) e in alcune piccole frazioni vicine, e che allarmò notevolmente la popolazione, la quale si riversò all’aperto; seguirono altre scosse più leggere nelle ore successive. L’evento principale avvenne nel pomeriggio, alle 17:06 ed ebbe effetti distruttivi, causando molti crolli e danni gravissimi.

Epicentro del terremoto è stato Vicchio, che ha avuto parecchie case distrutte e dove sono molti i feriti e una quarantina i morti. […] Nei paesi limitrofi, quasi tutte piccole frazioni costituite da case basse dove fortunatamente l’agglomerazione di persone è scarsa, queste case sono state completamente rase al suolo. Ho visto io stesso abitati di cui non resta pietra su pietra.” [Corriere della Sera, 1 luglio 1919] 

Con queste parole l’inviato del Corriere della Sera descrive gli effetti gravissimi della scossa nel territorio di Vicchio (FI), il comune più colpito. I piccoli abitati di cui “non resta pietra su pietra” erano le frazioni di Mirandola e Rupecanina, dove crollarono quasi tutti gli edifici e il terremoto raggiunse un’intensità pari al grado 10 della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg). Altri piccoli centri, come Casole, Rostolena, Villore, Vitigliano, e la stessa cittadina di Vicchio, subirono effetti gravissimi con la distruzione di circa la metà degli edifici (intensità pari a 9 MCS).

Danni molto gravi e diffusi si ebbero anche nei vicini comuni di Borgo San Lorenzo e di Dicomano, sempre in provincia di Firenze. A Borgo San Lorenzo moltissime case subirono lesioni gravissime e divennero inagibili. Fu rilevato che in generale gli edifici all’esterno sembravano apparentemente poco danneggiati, mentre all’interno erano gravemente lesionati o completamente crollati. A seconda delle fonti, tra il 50% e il 75 % dell’edificato di Borgo San Lorenzo divenne inabitabile. Gli effetti nel capoluogo del Mugello sono stati stimati tra i gradi 8 e 9 della scala MCS.

La devastazione causata dal terremoto nella frazione di Casaglia, nel comune di Borgo San Lorenzo (FI), in una cartolina d’epoca [Archivio EDURISK]. In questo villaggio sul crinale appenninico vi furono due vittime e numerosi feriti [Corriere della Sera, 01.07.1919].

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Gravi danni interessarono anche decine di località situate sul versante romagnolo dell’Appennino, nell’area denominata all’epoca “Romagna Toscana”, che in parte rientrava nelle attuali provincie di Firenze e di Forlì. Qui l’impatto dell’evento fu notevolmente aggravato dal fatto che appena 7 mesi prima, il 10 novembre 1918, un forte terremoto aveva colpito il territorio dell’Appennino forlivese, con effetti distruttivi in diversi centri delle alte valli del Savio e del Bidente. La scossa del 29 giugno 1919 causò nuovi danni diffusi e crolli in centri come Santa Sofia, Bagno di Romagna, Galeata, Civitella di Romagna (FC), dove la ricostruzione era appena iniziata e il patrimonio edilizio risultava ancora indebolito, con una vulnerabilità peggiorata proprio a seguito del terremoto precedente.

Fu colpita anche la provincia di Arezzo, soprattutto il territorio del Casentino, dove ci furono danni diffusi a Pratovecchio, Poppi, Stia e a Bibbiena. Anche qui l’impatto fu aggravato dai danni preesistenti che erano stati causati dal terremoto del novembre 1918. Danni furono registrati infine nel Valdarno superiore, in particolare a Loro Ciuffenna, Terranova Bracciolini, San Giovanni Valdarno (tutti in provincia di Arezzo) e a Figline Valdarno (FI).

Le vittime complessivamente furono poco meno di un centinaio, di cui una settantina nel solo territorio di Vicchio. Un numero relativamente contenuto, se rapportato alla elevata intensità della scossa e alla gravità delle distruzioni. Contribuirono a limitare il numero di morti una serie di circostanze “fortunate”: in primo luogo le scosse avvenute nel corso della mattina (soprattutto quella forte delle 10:15) allarmarono enormemente la popolazione e la spinsero a riversarsi all’aperto dove rimase per molte ore, scampando all’evento principale delle 17:06, come scrive anche l’inviato del Corriere della Sera: “tutta la popolazione, avvenuta la prima scossa, si è riversata sulle piazze e questa circostanza ha fatto sì che le vittime non fossero tante come avrebbero potuto essere se alla scossa più forte la popolazione si fosse trovata nelle case.” (Corriere della Sera, 1 luglio 1919); in secondo luogo, anche il fatto che il terremoto colpì un’area prevalentemente rurale e avvenne in piena estate, in ore diurne, quando una buona parte della popolazione si trovava all’aperto e nei campi. Se la scossa fosse avvenuta in piena notte e non fosse stata preceduta da scosse minori, con tutta probabilità il numero di vittime sarebbe stato molto più elevato.

 

Fonte: ingvterremoti

Ricerca storica: Roberto Marchetti

I treni ospedale della croce rossa italiana nella prima guerra mondiale
Raffaele Attolini
 
Treni ospedale
 
Durante la Prima Guerra Mondiale lo sgombero dei malati e feriti per ferrovia veniva fatto con treni appositamente allestiti (treni-sanitari), oppure con treni ordinari per viaggiatori o per merci (treni-trasporto improvvisati).

 
 
Opedalizzazione militare in guerra
 
I treni sanitari per trasporto feriti e malati vanno distinti in:
treni-ospedale allestiti dalle Associazioni di Soccorso e destinati a viaggi di parecchi giorni per trasportare i feriti nell’interno del paese (fonte: Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato 1918).
Croce Rossa 
1918
numerazione da I a XXI con 300 barelle
1918
numerazione XXII e XXIII (contumaciali) con 96 barelle e 240 
posti a sedere
1918
numerazione XXVI (contumaciale) con 300 barelle
 
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Treni attrezzati della Sanità Militare utilizzati soltanto per il trasporto a brevi distanze di infermi e feriti leggeri (fonte: Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato 1918)
Treni composti con carri F
1918 numerazione da 1 a 24 con 300 barelle
Treni composti con carrozze CIz
1918 numerazione da 25 a 38 con 300 barelle
1918 numerazione da 49 a 54 con 236 barelle e 64 posti a sedere
Treni composti con carrozze CT
1918 numerazione da 39 a 47 con 360 barelle
1918 numerazione 48 con 180 barelle e 160 posti a sedere
1918 numerazione 55 contumaciale con 180 barelle e 160 posti a sedere
 
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Composizione del treno ospedale della croce rossa (1915)
(fonte: Rivista tecnica delle ferrovie italiane – luglio 1915)

Il treno ospedale, lungo 240 metri esclusa la locomotiva, poteva trasportare 206 infermi (tutti coricati su letti-barella).
Il personale era composto da:
Ufficiali:
1 Direttore del treno,
4 medici (un medico capo + 3 medici assistenti),
1 farmacista,
1 cappellano,
4 infermiere
Uomini di truppa:
impiegati amministrativi e contabili, militi per i servizi di infermeria e di manovalanza.
 
La formazione delle carrozze del treno ospedale era la seguente:
Carrozza n°1: bagagliaio
Carrozza n°2: alloggio personale direttivo
Carrozza n°3: cucina
Carrozza n°4: mensa, magazzino viveri, infermeria (12 barelle)
Carrozza da n°5 a n°11: infermeria (24 barelle)
Carrozza n°12: sala medicazione, farmacia, bagno, infermeria (12 barelle)
Carrozza n°13: alloggio personale assistenza
Carrozza n°14: infermeria per infetti (14 barelle)
 
Treni ospedale 1
 
Treni ospedale della croce rossa mobilitati
(fonte bibliografica)
1915-1918

Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato
1915 Circolare n. 87 del 2 dicembre 1915

Treni ospedali della C.R.I.: 21 (numerazione da I A XXI)
1916 Circolare n. 15 del 10 febbraio 1916
1916 Circolare n. 45 del 11 maggio 1916
1916 Circolare n. 80 del 12 ottobre 1916

Treni ospedali della C.R.I.: 22 (numerazione da i a XXI più XXVI siculo)
1918 circolare n. 59 del 17 ottobre 1918

Treni ospedali della C.R.I. 24 (numerazione da I a XXI più XXII, XXIII, XXIV (contumaciali)
 
1915-1919
C.R.I. archivio storico. – “ opera svolta dalla cri durante la guerra 1915-1919“
Treni ospedali della C.R.I.: 24 (numerazione da I a XXI più XXII, XXIII, XXVI)

1924
Ministero della guerra – “i rifornimenti dell’esercito mobilitato durante la guerra alla fronte italiana 1915-1918”
treni ospedali della C.R.I.: 24 (nessuna numerazione citata)

1939
ministero della guerra – “indice delle truppe e dei servizi mobilitati durante la guerra 1915-18 - volume ii: i servizi”
treni ospedali della C.R.I.: 22 (numerazione da I a XXII)

1990
Belogi r. – “il corpo militare della croce rossa italiana – volume i “ treni ospedali della C.R.I.: 25 (numerazione da I a XXIV più treno ausiliario) 2005
Rebagliati n. – “i treni ospedale “
Treni ospedali della C.R.I.: 25 (numerazione da I a XXI più XXII, XXIII, XXIV, treno ospedale della sicilia)
 
Treni ospedale 4
 
Elenco dei treni ospedale della croce rossa mobilitati
(fonte: c.r.i archivio storico. – opera svolta dalla cri durante la guerra 1915-1919)

I treno ospedale centro mobilitazione Torino
 
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre 
- I armata da gennaio ad aprile e da giugno a luglio III armata a maggio intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad agosto e da novembre a dicembre IV armata a settembre III armata a ottobre
1918 da gennaio a dicembre intendenza generale
 
II treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre 
- II armata da gennaio a marzo I armata da maggio a luglio intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre 
- intendenza generale da gennaio ad agosto e da novembre a dicembre
- IV armata a settembre
- III armata a ottobre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad agosto e da novembre a dicembre
- IV armata a settembre
- III armata a ottobre

III treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio a maggio
- V armata a giugno intendenza generale luglio II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre 
- IV armata da gennaio a marzo intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre 
- intendenza generale da gennaio a novembre
- I armata a dicembre

IV treno ospedale centro mobilitazione Verona
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- II armata a gennaio e da marzo a maggio
- III armata a febbraio intendenza generale da giugno a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a marzo
- zona Gorizia da aprile e maggio
- II armata da giugno a ottobre intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre 
- intendenza generale da gennaio ad aprile e a dicembre
- III armata da maggio a novembre

V treno ospedale centro mobilitazione Verona
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre 
- II armata da gennaio a marzo   
- zona Gorizia aprile e maggio  
- II armata giugno a ottobre
- intendenza generaleda novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile
- IV armata da maggio ad agosto
- Grappa altipiani da settembre a ottobre
- IV armata da novembre a dicembre

 

VI treno ospedale centro mobilitazione Verona
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- IV armata a gennaio a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a maggio
- VI armata da giugno a settembre
- I armata a ottobre
- intendenza generaleda novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
 -intendenza generale

 

VII treno ospedale centro mobilitazione Bologna
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- IV armata a gennaio ad aprile
- III armata da maggio ad agosto
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a marzo
- intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
 - intendenza generale da gennaio a novembre
- III armata a dicembre

 

VIII treno ospedale centro mobilitazione Bologna
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- I armata a gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio ad agosto
- III armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio a marzo
- IV armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- IV armata a dicembre

 

IX treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1916 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile e da giugno a luglio
- III armata a maggio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

X treno ospedale centro mobilitazione Firenze
Dipendenza:
1915 da maggio
- II armata
1916 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a marzo
- I armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XI treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1915 da giugno
- III armata
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- I armata da maggio a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- III armata a dicembre

 

XII treno ospedale centro mobilitazione Bari
Dipendenza:
1915 da giugno
- II armata
1916 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile
- III armata da maggio a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a marzo
- intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XIII treno ospedale centro mobilitazione Roma
Dipendenza:
1915 da giugno
- III armata
1916 da gennaio a dicembre
- II armata generale da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a luglio
- IV armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- IV armata da gennaio a marzo
- I armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XIV treno ospedale centro mobilitazione Roma
Dipendenza:
1915 da maggio
- marina da maggio a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a luglio
- IV armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- IV armata da gennaio a marzo
- I armata da aprile a maggio
- VI armata da giugno a settembre
- intendenza generale da ottobre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XV treno ospedale centro mobilitazione Napoli
Dipendenza:
1915 da giugno
- II armata da giugno a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- IV armata generale da gennaio a luglio
- zona Puglie da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- zona Puglie da gennaio a maggio
- intendenza generale da giugno a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio ad aprile
- I armata da maggio a dicembre

 

XVI treno ospedale centro mobilitazione Genova
Dipendenza:
1915 da giugno
- intendenza generale da giugno a luglio
- III armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XVII treno ospedale centro mobilitazione Firenze
Dipendenza:
1915 da giugno
- zona Carnia da giugno a luglio i
- intendenza generale da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- II armata a maggio
V armata a giugno
- intendenza generale a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio a febbraio
- zona Gorizia da aprile a maggio
- II armata da giugno a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XVIII treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1915 da giugno
- II armata
1916 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a maggio
- I armata da giugno a luglio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale

 

XIX treno ospedale centro mobilitazione Ancona
Dipendenza
1915 da giugno
- III armata
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile
- intendenza generale da maggio a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a marzo e da novembre a dicembre
- IV armata da aprile a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- IV armata a dicembre

 

XX treno ospedale centro mobilitazione Torino
Dipendenza:
1915 da giugno
- zona Carnia da giugno a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- III armata da gennaio ad aprile e da giugno a luglio
- II armata a maggio
- intendenza generale da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a maggio
- VI armata a giugno a settembre
- I armata a ottobre
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- I armata a dicembre

 

XXI treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1915 da luglio
- intendenza generale luglio
- III armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- I armata da gennaio ad aprile
- IV armata a maggio a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- II armata da gennaio a marzo
- intendenza generale da aprile a dicembre
1918 da gennaio a dicembre
- intendenza generale da gennaio a novembre
- IV armata a dicembre

 

XXII treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1918 da novembre
- intendenza generale da novembre e a dicembre

 

XXIII treno ospedale centro mobilitazione Milano
Dipendenza:
1918 da dicembre
- intendenza generale a dicembre

 

XXVI treno ospedale Sicilia centro mobilitazione Palermo
Dipendenza:
1915 da giugno
- intendenza generale da giugno a luglio
- I armata da agosto a dicembre
1916 da gennaio a dicembre
- disposizione ministero a gennaio
- Bari - Brindisi da febbraio a marzo
- zona Puglie ad aprile
- Taranto a maggio
- zona Puglie da giugno a luglio
- II armata da agosto a dicembre
1917 da gennaio a dicembre
- IV armata generale da gennaio a febbraio
- intendenza generale da aprile a maggio
- zona Puglie da giugno ad agosto
- intendenza generale da novembre a dicembre
1918 da novembre
- intendenza generale a dicembre
 
 
Treni ospedale 5
 
 
Fonti:
I treni ospedale della croce rossa italiana nella prima guerra mondiale
 di Raffaele Attolini.
Guerrabianca.it
 
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 

 

BURCI, Enrico. - Nacque a Firenze il 26 maggio 1862 da Gaetano e da Laura Zagri-Chelli. Si laureò in medicina e chirurgia nell'università di Pisa nel 1885. Uno zio paterno, Carlo Burci, fu un celebre chirurgo; i suoi primi maestri in chirurgia furono G. Corradi e P. Landi. Divenuto subito dopo la laurea, nel 1886, assistente effettivo presso la clinica chirurgica di Pisa, per circa tre anni il B. concentrò il suo interesse su argomenti di fisiopatologia sperimentale, di patologia generale, di igiene; in seguito si dedicò esclusivamente alla pratica chirurgica e allo studio di argomenti di patologia di interesse chirurgico. Dopo aver prestato servizio nei R.R. Ospedali di Pisa in qualità di chirurgo primario, nel 1892 conseguì la libera docenza in patologia chirurgica e nel 1898 quella in clinica chirurgica e medicina operatoria. Professore straordinario di patologia chirurgica a Padova nel 1899-900, e nel 1902 a Firenze professore di patologia chirurgica nell'Istituto di studi superiori e direttore della clinica chirurgica pediatrica dell'ospedale Mayer, nel 1903 divenne titolare della cattedra di clinica chirurgica dell'università di Firenze. Durante la guerra balcanica nel 1912 diresse una importante unità sanitaria militare in Serbia; durante quella del 1915-18 fu consulente chirurgo negli ospedali militari del corpo d'armata di Firenze e presidente del comitato sanitario regionale del dipartimento di Firenze e La Spezia. Fu inoltre ispettore straordinario nazionale per l'assistenza ai mutilati e agli invalidi di guerra nel 1916 e presidente della delegazione italiana nel Comitato interalleato per l'assistenza degli invalidi di guerra nel 1917. Dal 1926 al 1930 fu rettore dell'università di Firenze.

Il B. fu autore di ben 124 pubblicazioni e vantò una casistica clinica di oltre 30.000 interventi. Nel primo periodo della sua attività condusse studi accurati soprattutto in campo batteriologico, alcuni dei quali particolarmente originali e interessanti, anche per i loro riflessi pratici (Contributo alla conoscenza del potere patogeno del Bacillus Pyogenus Foetidus. Nota clinica, Pisa 1892 [estr. della Riv. gener. ital. di clin. medica, IV, 1891]; Sulla mutabilità di alcuni caratteri biologici del Bac. Coli comune, Pisa 1892). Ma ben presto il B. cominciò ad affrontare quegli argomenti di patologia chirurgica e di medicina operatoria che dovevano rappresentare il settore di studi preferito. Fu autore di interessanti ricerche sulla patogenesi e sul processo di guarigione della peritonite tubercolare, sulle localizzazioni extragenitali del gonococco, sull'actinomicosi dell'uomo; escogitò nuovi processi operatori e introdusse tecniche chirurgiche personali, che furono più tardi largamente seguite dagli altri chirurghi, quali la nefropessia, la riduzione dell'ernia ombelicale e di quella epigastrica, la resezione epatica e degli organi parenchimatosi in genere mediante sutura incavigliata semplice o combinata con legatura elastica. I suoi lavori nel campo della chirurgia intestinale contribuirono validamente alla soluzione di delicati problemi tecnici, rappresentati principalmente dalla difficoltà di intervenire in condizioni di asepsi e di operare correttamente sull'intestino (Ricerche sperimentali sopra alcuni mezzi che possono servire a diminuire i pericoli delle sepsi nelle operazioni del tubo digerente, Firenze 1894 [estr. da Lo Sperimentale, XLVIII, sez. clinica]; Le enterostasi durante le operazioni sull'intestino. Proposta di un nuovo enterostato, Firenze 1896 [estr. da La settimana medica dello Sperimentale, L]; Ricerche sperimentali sulla enterostasi, Pisa 1897; Sul saldamento della mucosa intestinale ravvicinata mediante la sutura, Firenze 1897 [estr. da La settimana medica dello Sperimentale, LI]). Di particolare rilievo fu, soprattutto, l'opera del B. nel campo della chirurgia vascolare: i progressi che si erano registrati in questo settore, dovuti in larga misura ai problemi terapeutici imposti dalle lesioni traumatiche e dalle dilatazioni aneurismatiche, consistevano essenzialmente nelle perfezionate conoscenze anatomo-topografiche, e nella conseguente precisazione dei vari tratti arteriosi o venosi ove poter effettuare le legature rispettando i circoli collaterali, e nelle corrette tecniche di tali interventi. Fu opera del B. l'aver dimostrato la possibilità di suturare i vasi sanguigni ripristinandone la continuità e conservandone la pervietà del lume, e di aver descritto le metodiche idonee a tale processo operativo per le arterie e per le vene. Egli iniziò i suoi esperimenti con poveri mezzi, non più che due semplici pinze emostatiche con le branche rivestite da tubicini di gomma e un sottile ago da sutura; ma questo strumentario gli fu sufficiente a effettuare la riparazione di ferite longitudinali e trasverse dei vasi sanguigni e a praticare brillanti interventi di anastomosi termino-laterali e termino-terminali, i quali ultimi sono oggi di comune impiego nella moderna chirurgia cardiovascolare. Nel corso delle sue ricerche in questo settore, il B. dimostrò sperimentalmente la possibilità di decorticare le arterie mediante l'asportazione della tunica avventiziale, senza determinare lesioni anatomiche e funzionali del vaso: tale tecnica fu successivamente perfezionata e impiegata nella terapia delle arteriopatie obliteranti, grazie soprattutto alla genialità di R. Leriche che, riprendendo precedenti studi sull'argomento, introdusse il processo operatorio nella cura della causalgia (De la causalgie envisagée comme une névrite du sympathique et de son traitement par la dénudation et l'excision des plexus nerveux périartériels, in LaPresse méd., XXIV [1916], pp. 178-180). Al B. spetta dunque il merito di aver dato inizio agli studi clinici e sperimentali di chirurgia vascolare e di aver intrapreso la sistemazione nosografica delle vasculopatie di interesse chirurgico (Malattie chirurgiche delle arterie, in Trattato ital. di chirurgia..., Milano s.d., II, parte 2, pp. 75-172; Malattie delle vene [con Q. Vignolo], ibid., pp. 173-189).

Il B. morì a Firenze il 30 ott. 1933.

Bibl.: G. F., Prof. E. B., in Pensiero medico, XVIII (1929), pp. 748-49; D. Taddei, E. B., in Policlinico, sez. pratica, XL (1933), pp. 1835-36; C. Righetti, Comm. del prof. E. B., estratto da Boll. d. Acc. pugliese di scienze, IX (1933); E. B., in Riv. di ter. moderna e di med. pratica, XXVI (1933), p. 55; G. D'Agata, E. B., in Riv. san. sicil., XXI (1933), p. 1779; J. Fischer, Biograph. Lex. der hervorragendenÄrzte..., I, pp. 201-02.

Fonte: Treccani

Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

Comm. Prof. Franco Mosca

Il professore Franco Mosca, chirurgo di fama internazionale,ha promosso l'utilizzo della robotica nelle sale operatorie e luminare dei trapianti di organi.
Nel 2018 era entrato nell'olimpo mondiale della chirurgia, con il conferimento dell'onorificenza massima per un chirurgo, venendo nominato «Honorary Fellow» dall'American College of Surgeons, la più grande e prestigiosa società scientifica di chirurghi al mondo.

Mosca era nato a Biella nel 1942 e aveva portato a Pisa i trapianti d'organo, fornendo le competenze e la spinta necessaria per l'apertura dei centri trapianti di fegato e di pancreas e per lo sviluppo di quello di rene, per quest'ultimo, proseguendo l'attività che aveva già iniziato insieme al suo maestro, il professor Mario Selli. Aveva quindi guidato i rispettivi centri trapianti, dove oggi vengono a curarsi pazienti da tutt'Italia, raggiungendo numerosi primati e portandoli ai vertici nazionali e internazionali per volumi di attività, risultati e reputazione scientifica.

Prima di essere collocato a riposo nel 2012, presso l'Aoup Mosca è stato direttore delle Unità operative di Chirurgia Generale e Sperimentale, Chirurgia Generale e Trapianti, Chirurgia Generale 1 Universitaria, del centro EndoCas e del Dipartimento di Chirurgia Generale. Dal punto di vista accademico, invece, è stato nominato professore ordinario di chirurgia generale all'Università di Pisa nel 1986 e, nel corso della sua carriera, è stato vicepreside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, direttore del Dipartimento di Oncologia dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, oltre che di diverse Scuole di Specializzazione e di Dottorato.


Fonte: Il Messaggero
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

Cav. Gran Croce Dr. Rodolfo Bernardini

Cav. Gran Croce Dr. Rodolfo Bernardini

Dirigente bancario, attivista politico, giornalista pubblicista, uomo impegnato nel volontariato cattolico, collezionista raffinato, studioso e storiografo. Sono solo alcuni dei molteplici tratti che hanno caratterizzato l’impegno e i poliedrici interessi di Rodolfo Bernardini, distintosi in ogni sua attività per un profondo rigore, divenuto insieme modello e irrinunciabile stile di vita. Due lauree (economia e giurisprudenza), Bernardini ha svolto tutta la sua carriera professionale all’interno della ex Cassa di Risparmio di Pisa raggiungendo il massimo grado del personale direttivo, ma sempre ha coltivato una divorante passione per la storia della sua città, collaborando alle principali iniziative storico-rievocative, dalla Regata delle antiche Repubbliche Marinare (per 25 anni è stato componente del Comitato) alla ripresa nel Gioco del Ponte nel 1982.

Anche l’impegno politico, che lo vide giovanissimo, a guerra non ancora finita, partecipare alla costituzione clandestina della Democrazia Cristiana, partito del quale sarà a lungo ai vertici e per 15 anni (dal 1970 all’85) consigliere comunale e provinciale (una legislatura) e al quale rimarrà iscritto fino allo scioglimento del 1993. Poi l’avvicinamento al Ccd-Centro Cristiano Democratico — del quale è stato presidente provinciale per alcuni anni — e in seguito a Forza Italia, nelle cui liste Bernardini è risultato primo dei non eletti alle Comunali del 2003. Cresciuto nelle file dell’Azione Cattolica è sempre stato impegnato in attività e associazioni di volontariato, a partire dalla Misericordia, al cui interno ha ricoperto la carica di Governatore.

Nel campo culturale il suo impegno prevalente è stato rivolto all’Istituzione dei Cavalieri di Santo Stefano, che ha presieduto per un quarto di secolo (fino al 2007) promuovendo decine di convegni e una collana storica («I Quaderni Stefaniani») che ha prodotto oltre 80 volumi, che oggi resta punto di riferimento per gli studiosi e quanti vogliano approfondire la storia stefaniana e più in generale toscana. Socio di una ventina di Accademie e Istituzioni culturali, Bernardini è stato autore prolifico di studi, pubblicazioni e ricerche ed è stato insignito di onorificienze italiane e straniere e riconoscimenti culturali. Basti dire che per ben sei volte ha ricevuto il Premio cultura della Presidenza del consiglio dei ministri: l’ultima nel 2006 per la trilogia «Un pisano racconta» (ed. Ets), diario storico, politico e di costume della nostra città dagli anni Venti a oggi. La camera ardente è allestita alle cappelline della Misericordia in via Pietrasantina e le esequie saranno celebrate domani, martedì, alle ore 17 nella Chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano. In questo momento di immenso dolore «La Nazione» è vicina alla signora Anna Maria, alle figlie Francesca e Giovanna e alla sorella Lucia, alle quali giungano sentite condoglianze dalla nostra redazione.


Fonte: iagiforum - Guglielmo Vezzosi
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 Gr.Uff. Dr. Paolo Padoin

Paolo Padoin è nato nel 1947 a Firenze, dove ha compiuto i suoi studi fino alla laurea in Giurisprudenza, conseguita nel 1969. È Procuratore legale. È coniugato con Lucia Lazzerini, professore ordinario di Filologia romanza all’Università di Firenze.
Nel 1972 ha iniziato il servizio presso la Prefettura di Arezzo.
Dal 1980 al 1984 ha prestato servizio quale amministratore presso la Commissione dell’Unione Europea a Bruxelles.
Nominato Prefetto nel 1993 è stato destinato al Ministero dell’Interno. Nel maggio del 1997 è Prefetto di Pavia, nel 2000 di Pisa, da febbraio a dicembre
2003 di Campobasso (dove ha affrontato i problemi dell’emergenza post-terremoto che ha colpito San Giuliano di Puglia e altri comuni della zona), dal dicembre 2003 al marzo 2008 di Padova, dal marzo 2008 all’agosto 2010 Prefetto di Torino e fino all’aprile 2012, Prefetto di Firenze, la sua città, dove attualmente ricopre l’incarico di presidente dell’Opera Medicea Laurenziana.
Esperto di diritto comunitario, di amministrazione locale, di sicurezza, di immigrazione e di protezione civile, è autore di numerosi volumi e articoli, ed è collaboratore della Guida Normativa per l’Am- ministrazione locale.
Ha pubblicato due edizioni del libro Il Prefetto questo sconosciuto, Torino 2010 e 2015.

Fonte: prefettura.it
Ricerca storica: Roberto Marchetti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Auschwitz: La Tragedia Inenarrabile Diventata Simbolo di Orrore
 
Auschwitz binari di Valeria Alpi 768x601
Fonte: informareunh
 

Il campo di concentramento di Auschwitz, situato nei pressi della cittadina polacca di Oświęcim, è un tragico monumento che testimonia la brutale ferocia perpetrata durante la seconda guerra mondiale. Conosciuto anche come Konzentrationslager Auschwitz o KZ Auschwitz, questo complesso di campi di concentramento e sterminio è diventato il simbolo universale del lager nazista, rappresentando il culmine dell'orrore dell'Olocausto.

Tra il 1940 e il 1944, oltre un milione di prigionieri, principalmente ebrei, furono uccisi nei campi che costituivano Auschwitz. Il campo principale, Auschwitz I, fu solo l'inizio di un complesso che comprendeva anche il noto campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III) e altri 45 sottocampi. Questi luoghi divennero tristi testimonianze di un progetto di "soluzione finale della questione ebraica", che nascondeva lo sterminio sistematico di milioni di persone.

Durante l'occupazione tedesca della Polonia, il complesso di Auschwitz si espanse su circa 40 chilometri quadrati, includendo aziende modello e agricole volute personalmente da Hitler, dove i prigionieri venivano sfruttati come schiavi. Le espropriazioni forzate e le demolizioni delle proprietà crearono un clima di terrore che avvolgeva l'intera regione.
La liberazione di Auschwitz avvenne il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche raggiunsero il campo. Il Giorno della Memoria, istituito nel 2005, simboleggia il ricordo delle vittime e l'importanza di preservare la memoria di queste atrocità.

Dopo la guerra, nel 1947, il parlamento polacco decise di creare un memoriale-museo che comprendesse le aree di Auschwitz I e Auschwitz II. Nel 1979, il sito fu dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO e la sua denominazione fu modificata in Memorial and Museum Auschwitz-Birkenau - German Nazi Concentration and Extermination Camp.

Auschwitz rimane una ferita aperta nella storia dell'umanità, un monito contro l'odio e la brutalità. La sua memoria è essenziale per garantire che tali atrocità non si ripetano mai più, e il suo status di patrimonio dell'umanità è un impegno a mantenere viva la testimonianza di chi ha sofferto e perso la vita in quel luogo di orrore.

Roberto Marchetti

Fonte: wikipedia

 


Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gunter Demnig (Berlino, 27 ottobre 1947), artista tedesco. 

Gunter Demnig

Gunter Demnig è diventato una figura di rilievo grazie all'iniziativa delle pietre d'inciampo, un progetto che ha avuto inizio nel 1992 e si è diffuso in tutto il territorio europeo. Questa iniziativa, volta a commemorare le vittime del nazismo, prevede il posizionamento di piccole pietre d'ottone nei luoghi in cui vivevano o lavoravano le persone prima di essere perseguitate.

Prima di dedicarsi a questa importante missione, nel 1985 Demnig ha aperto il suo studio a Colonia, in Germania, dove si è impegnato su diversi progetti locali. La sua carriera è stata caratterizzata da un profondo impegno sociale e dalla volontà di rendere tangibile e duraturo il ricordo delle vittime dell'Olocausto.

A partire dal 1994, Demnig ha collaborato attivamente con l'IGNIS-Kulturzentrum (IGNIS Cultural Center), contribuendo alla diffusione della consapevolezza storica e culturale attraverso progetti concreti e significativi.

L'iniziativa delle pietre d'inciampo è diventata un simbolo tangibile della memoria collettiva europea, sottolineando l'importanza di preservare la memoria storica per le generazioni future. Demnig ha dimostrato con il suo lavoro che anche un semplice gesto, come posare una pietra, può avere un impatto profondo nel mantenere viva la memoria delle tragedie del passato e nell'inculcare valori di tolleranza e umanità per il futuro.

Roberto Marchetti

Fonte: wikipedia
 
 
Ricerca storica: Roberto Marchetti

 

 

 

 

 

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